10 RIFLESSIONI PER EDUCARE L’AFFETTIVITÀ E LA SESSUALITÀ

10 RIFLESSIONI PER EDUCARE L’AFFETTIVITÀ E LA SESSUALITÀ

(questo testo è stato rielaborato da Claudio Bosetto sulla base di un contribuito di Daniela Bruno, una amica e collega che per molti anni ha collaborato con noi e di cui rimpiangiamo la prematura morte)

 

1) L’educazione affettiva e sessuale non è una semplice “trasmissione di informazioni” o un indottrinamento legato a ideologie precostituite; si avvale delle conoscenze scientifiche e cerca di trasmetterle in modo adeguato, così come non prescinde della complessità delle diverse convinzioni etiche. A fondamento del nostro modello educativo c’è l’ascolto dei bisogni di conoscenza e di crescita dei bambini e dei ragazzi; c’è l’ascolto e la condivisione delle dimensioni emotive e relazionali; c’è la consapevolezza dell’ambivalenza dell’esperienza affettiva e sessuale, che è fatta di desiderio, piacere, gioia, ma anche di conflitto, problematicità e, talvolta, di violenza.

2) Se la “lezione” non serve, l’alternativa non è “diventare un po’ psicologi” e fare interpretazioni e analisi su quello che dicono i bambini o gli adolescenti. Dobbiamo resistere alla tentazione “psicologista”, fare silenzio, porci in una posizione incondizionata di ascolto, far provare al bambino interesse non tanto per la risposta quanto per la domanda e l’amore per la scoperta di sé e per l’incontro con l’altro.

3) Dobbiamo stare attenti a non porci come chi detiene il sapere o come chi valuta le competenze dei minori in materia. Atteggiamenti di questo tipo possono bloccare la comunicazione, alimentare vissuti di svalutazione o comunque creare un’atmosfera di giudizio e non di accettazione delle emozioni e delle curiosità dei bambini. L’atteggiamento che riteniamo più corretto è quindi quello di chi offre ascolto a ciò che l’altro vuole comunicare: in questo modo è possibile stabilire una relazione in cui il minore si sente libero di essere veramene se stesso, di fare domande, di esprimere dubbi. L’obiettivo che ci poniamo è quello di consentire al bambino e al ragazzo di percepire cosa avviene dentro di loro quando entra in gioco l’affettività e la sessualità, di accettare le proprie paure e ambivalenze.

4) L’espressione delle emozioni è resa possibile dalla creazione di un clima di tolleranza, di fiducia reciproca e di accettazione. È necessario rinunciare ad essere genitori che si presentano come giudici, come coloro che detengono la conoscenza su ciò che è bene e su ciò che è male; quenso non significa assolutamente rinunciare ai nostri principi etici, ma comprendere che alla base di ogni cammino di umanizzazione c’è l’accettazione di noi stessi e l’accettazione dei nostri figli, per quello che siamo e che sono.

5) Il contatto con la realtà emotiva può far emergere tematiche che possono sembrare esterne all’affettività e alla sessualità, ma che in realtà sono parte del quadro esistenziale problematico in cui si svolge il nostro processo di umanizzazione. Possono ad esempio presentarsi emozioni legate al conflitto; al rapporto con noi genitori; esperienze di lutto, abbandono, separazione; può emergere l’ansia legata alla paura di essere rifiutati dall’altro sesso o al timore della propria inadeguatezza; temi legati all’immagine di uomo e donna trasmessi dai media e circolanti tra i coetanei… Dobbiamo essere attenti a cogliere, valorizzare e condividere anche questi ed altri importanti argomenti, senza l’ansia di non concludere il nostro discorso sulla sessualità, che magari avevamo “preparato”. L’emergere di temi paralleli è invece proprio il segno della complessità e inesauribilità della nostra esperienza umana. Rispondere alle domande con altre domande è amore per la conoscenza.

6) Offrire un ascolto caratterizzato dall’accettazione incondizionata di ciò che l’altro vuole comunicare significa anche essere disponibili ad ascoltare anche ciò che non vorremmo sentir dire ai bambini. La sessualità è ambivalente: è gioia, piacere, intimità, affettività, ma anche dolore, paura, sopraffazione, violenza- Dobbiamo saper accogliere tutte queste componenti. Se i bambini possono esprimere le loro paure e ansie è possibile poi intervenire per correggere idee o convinzioni errate, restuitire con una spiegazione semplice e chiara una immagine realistica dei problemi da loro vissuti.

7) Educare l’affettività e la sessualità significa anche rendere i minori consapevoli delle eventuali esperienze negative o traumatiche vissute, di rompere il muro del silenzio, per tradurle in una comunicazione liberatoria. L’adulto che ascolta può aiutare a ristabilire la verità e la giustizia, restituendo all’eventuale vittima una immagine positiva di sè, svincolata dai sensi di colpa, può diminuire il senso di solitudine, di incomprensione e di sfiducia nelle persone che le esperienze di prevaricazione o violenza generano. Chi subisce un abuso ha bisogno di trovare accanto a sè un familiare, un amico, un educatore capace di ascoltare i sentimenti di dolore, collera, impotenza prodotti nel bambino da quella situazione e di condividerli come un “avvocato difensore”.

8) L’educazione sessuale può quindi diventare anche uno strumento di prevenzione dalle varie forme di strumentalizzazione sessuale ai danni dei minori e di aiuto a chi ha subito abuso o violenza, sia per farle uscire dall’isolamento che per rielaborare i vissuti negativi di colpa che possono esserne derivati e anche per interrompere la spirale dell’abuso qualora fosse ancora presente.

9) Essere educatori in materia di sessualità non è facile. Sovente si incontrano nei gruppi di discussione genitori che riferiscono che il loro figlio preadolescente “non chiede nulla sul sesso” o che “è disinteressato all’argomento”; genitori che fanno fatica a comprendere che in realtà loro stessi hanno trasmesso inconsapevolmente ai figli il loro imbarazzo in materia di sessualità, eludendo le occasioni quotidiane per affrontare l’argomento. Altrettanto negativo è l’orientamento, che nella nostra società si sta diffondento soprattutto a livello mediatico, che considera la sessualità come un “non problema” come un’esperienza da vivere senza limiti e senza il necessario fondamento etico che deve caratterizzare qualsiasi esperienza umana che coinvolge l’Altro.

10) Possiamo dire che il primo lavoro di educazione degli affetti e della sessualità lo dobbiamo fare con noi stessi. Per evitare di trasmettere messaggi diseducativi in materia di sessualità occorre riflettere sulle nostre parole ed atteggiamenti, cercando di renderli coscienti. Pensiamo ad esempio alla difficoltà di riflettere sul proprio atteggiamento personale verso la sessualità, alla non accettazione del proprio e dell’altrui disagio, al fastidio e all’intolleranza di fronte a manifestazioni sessuali diverse dal proprio modello ideale o, all’opposto all’accettazione acritica di qualsiasi manifestazione della sessualità e dell’affettività che rischia di farci perdere di vista la finalità ultima di qualsiasi lavoro educativo: la ricerca, per quanto possibile, della felicità e dell’umanizzazione.