UN ABUSO A TRE ANNI NEGATO E MINIMIZZATO

UN ABUSO A TRE ANNI NEGATO E MINIMIZZATO

Riprendo una mail inviata da Rebecca al forum “CURARE IL TRAUMA E’ POSSIBILE!” che ho lasciato in sonno per parecchio tempo. E’ la mail buona per riprendere ad avvivare e ad alimentare il blog.
Sono in fase di sperimentazione e dunque proverò all’interno di questo blog a riprendere le sollecitazioni, le questioni le emozioni circolate nel forum CURARE IL TRAUMA E’ POSSIBILE!”

Ecco la mail di Rebecca.

“Buongiorno. Sono finita per caso a leggere questo forum…..anzi no per caso non succede mai niente!. Non so se questo forum è ancora attivo ma per me fa lo stesso.

Sto per compiere cinquant’anni. Da circa un anno ho “scoperto” di essere stata abusata all’età di 3 anni. Ed è per questo che sto scrivendo. Cinque anni fa è morta mia mamma. Da dodici anni è invece morto mio padre. Dopo la morte di mia madre ho iniziato una psicoterapia per affrontare il lutto , ma da questo lavoro è invece emerso in modo chiaro e lampante il vero problema della mia vita intera: l’abuso.

All’età di tre anni un amico di mio padre, durante un momento di festa famigliare , mi ha messo le mani addosso, anzi mi ha messo le mani dentro…….Mio padre e mia madre hanno reagito forse con l’unica modalità che conoscevano o con l’unica che sono stati in grado di mettere in atto: hanno negato. O meglio hanno minimizzato, hanno nascosto a tutti e a se stessi la gravità della cosa, hanno fatto finta che non fosse successo niente pensando che l’episodio non fosse così grave. Hanno pensato che tutto ciò non avrebbe portato conseguenze nella mia e nella loro vita.

Dopo quell’episodio la mia vita è scivolata via regolare…….sono stata riempita di affetto e attenzione, sono stata la cocca di famiglia, quella che doveva essere coccolata e difesa. Mio padre ha messo in atto una strategia di difesa nei miei confronti e nei confronti di mia sorella, verso i pericoli dell’esterno, con una politica di chiusura e di “messaggi” verso il pericolo esterno che mi ha portata ad avere paura degli altri ed in particolare delle persone dell’altro sesso. Per contro ci ha cresciute con una rigidità educativa che ha plasmato il mio carattere e il mio modo di essere in modo indelebile: non mi sono mai concessa sgarri, infedeltà, errori….non era previsto. Mia madre invece ha svolto il suo ruolo di fonte di affettività , anche se di un’affettività poco fisica, poco fatta di abbracci, baci e coccole. Nella mia famiglia sono cresciuta in un ambiente in cui il dimostrare emozioni, il lasciarsi andare, l’andare oltre certe regole non era previsto…….

Ed io? Io ho iniziato ad avere mal di testa all’età di cinque/sei anni, con l’inizio della scuola elementare ( anche perché alla scuola materna non mi hanno mandato…..). Ed ho convissuto con questo sintomo sino ad oggi……

Oggi dopo un lungo cammino psicoterapico e individuale fatto di tanti tasselli e di tante esperienze, sono arrivata ad un punto che non vuol essere di arrivo, anche perché credo che nella vita non possiamo mai pensare di essere arrivati da qualche parte. Un punto di maturazione, di consapevolezza: io sono stata abusata e non sono stata protetta.

In questi ultimi mesi di lavoro e di riflessione il mio pensiero , dopo aver rivisto e riletto tutte le vicissitudini della mia vita e della vita della mia famiglia, quella d’origine e quella attuale, alla luce di questo segreto che ho scoperto e che è solo mio per il momento…., dicevo il mio pensiero è rivolto a due aspetti:

– il segreto: ho condiviso questo segreto solo con la mia psicoterapeuta e con nessun altro…….sento che è giusto per me così, ma potrebbe invece essere una forma di difesa: come dire devo rivelare al “mondo” questo segreto o devo tenerlo per me?

– il perdono: è possibile che una via d’uscita o di interpretazione per me possa essere il perdono? Il perdono verso mio padre e mia madre, che non mi hanno protetta? Il perdono verso il colpevole di tutto ciò? Il perdono come meccanismo per rimettermi in contatto con l’energia dell’amore? come strumento per alleggerire il mio bagaglio?

So che tutte queste riflessioni aprono tante vie d’uscita e so che non ci sono risposte univoche……..Ma scrivere aiuta……..Grazie dell’ascolto comunque……”

Rebecca

 

Cara Rebecca, con la sua mail il sito “Curare il trauma è possibile! riprende la sua attività. Non è semplice dare continuità alle mie risposte ai vari interventi che pervengono. Mi limiterò in molti casi a brevi commenti.

La sua testimonianza è particolarmente lucida e sembra rivelare che è stato svolto un ottimo lavoro psicoterapeutico.

“Mio padre e mia madre hanno reagito forse con l’unica modalità che conoscevano o con l’unica che sono stati in grado di mettere in atto: hanno negato. O meglio hanno minimizzato, hanno nascosto a tutti e a se stessi la gravità della cosa, hanno fatto finta che non fosse successo niente pensando che l’episodio non fosse così grave.”

Negazione e minimizzazione sono in effetti le reazioni difensive che risultano ancora le più frequenti di fronte al compito di riconoscere la gravità dell’abuso sessuale su un bambino e i suoi inevitabili effetti, che si moltiplicano in misura direttamente proporzionale a quanto l’abuso tenda a non essere ascoltato e i suoi possibili danni tendano a non essere considerati.

Negazione e minimizzazione non solo nella famiglia, ma nell’ambito stesso della comunità degli psicologi, dei medici, degli educatori , degli operatori minorili continuano ad esercitare il loro fascino di sistemi che tendono a risolvere il problema sopprimendone la percezione.

La sintesi che compie è comunque molto efficace e mi complimento con lei: “Oggi dopo un lungo cammino psicoterapico e individuale fatto di tanti tasselli e di tante esperienze, sono arrivata ad un punto che non vuol essere di arrivo, anche perché credo che nella vita non possiamo mai pensare di essere arrivati da qualche parte. Un punto di maturazione, di consapevolezza: io sono stata abusata e non sono stata protetta.”

Mi viene innanzitutto da precisare, ma credo che lei ce l’abbia chiaro a giudicare dalle riflessioni che compie, che “il vero problema” della sua vita “intera” non è stato l’abuso, ma come la sua famiglia e dunque la sua mente ha reagito all’abuso.

La questione del perdono, così come la pone, è troppo complessa per affrontarla nella sua generalità e nei suoi diversi aspetti. Mi viene solo da dire che il perdono non può precedere la comprensione, ma procede dalla comprensione. Quando s’è realizzato un contatto mentale pieno e consapevole con la propria storia, con il proprio dolore e la propria rabbia ed anche il proprio odio inespresso, quando si è raggiunta un’elaborazione sufficiente e nel contempo la funzione di consapevolezza è lucida sullla dimensione del presente e sulla dimensione del passato-nel presente l’“energia dell’amore” per riprendere la sua espressione si potenzia sicuramente. Un perdono ricercato invece per ragioni ideologiche o moralistiche in modo prematuro e sostitutivo rispetto ai processi di elaborazione rischia di essere elusivo e contrastante l’impegno ad ascoltare le parti del Sé ferite e sofferenti (cfr. A Miller, Il bambino inascoltato, Bollati Boringhieri).

Sul segreto posso dire che la differenza tra la sana riservatezza e il segreto patogeno è che la prima è il frutto di una libera e realistica scelta, il secondo è una necessità, accompagnata da angoscia e colpa: il segreto è dunque qualcosa che non si può rivelare neppure a coloro che potrebbero mostrare maggiore vicinanza e comprensione se conoscessero con maggiore autenticità la nostra storia e che noi stessi potremmo conoscere meglio se potessimo valutare il modo con cui reagiscono alle maggiori informazioni che possiamo concedere loro, nel momento in cui ci liberiamo dal peso obbligante e logorante del segreto.