Abuso sessuale. Dramma universale e realtà sarda

di Elisabetta Illario, Anna Pes [1]

 

Al convegno “L’educazione sessuale che non c’è, l’abuso sessuale che c’è e il mancato ascolto del bambino” organizzato dal Centro Studi Hansel e Gretel e da Rompere il silenzio, parteciperà fra gli altri Elisabetta Illario, psicologa, psicoterapeuta, che ha contribuito a fondare ed animare il gruppo CIAMA che svolge a Cagliari funzioni di coordinamento consulenza all’interno dell’ASL sugli interventi di contrasto al maltrattamento e all’abuso sui bambini.

Pubblichiamo qui alcuni stralci di uno scritto sulle forme di abuso nella realtà della Sardegna, uno scritto, elaborato assieme ad  Anna Pes,  che aiuta a cogliere alcune caratteristiche universali e profonde del fenomeno. Ecco il testo.

«C’era una volta un imperatore e questo imperatore volle farsi un vestito nuovo, straordinario che tutti potessero ammirare. Era così vanitoso che si fece convincere da sarti imbroglioni a farsi un vestito di niente. Tutta la sua corte gli era così devota e sottomessa che non osò mai dire che quel vestito che si stava confezionando era fatto di niente e che l’imperatore era nudo.

Quando l’imperatore uscì in piazza per mostrare il suo bellissimo vestito nuovo, un bambino pieno di innocenza riuscì a dire la verità: il re è nudo”.

E nel sentire quella voce, via ,via, la corte capisce che è proprio così, anche loro vedendo che è nudo   iniziano a dire “l’imperatore è nudo, l’imperatore è nudo…»

Ci piace cominciare da questa fiaba che tutti conosciamo per poter parlare di quella che non è una fiaba ma le storie della nostra esperienza di psicologi in Sardegna sul tema dell’abuso e del maltrattamento dei bambini.  Anche nelle nostre storie cliniche c’è un imperatore con un vestito nuovo e c’è un bambino che dice la verità su di lui, c’è anche una corte sottomessa e timida che asseconda la sua vanità e il suo strapotere.

C’è un padre imperatore nelle storie dei nostri bambini così potente da far sembrare vera una verità che non c’è e che solo un bambino innocente denuncia come falsa, e poi c’è una famiglia, e un paese, una comunità intera di adulti che soggiace al potere del padre imperatore.

I nostri bambini maltrattati e abusati hanno detto che il padre imperatore è nudo, e cioè che è abusante, violento, ma intorno hanno una corte di adulti, uomini e donne che sta in silenzio che non osa aggiungere la propria voce a quella del bambino, la corte ha scelto il silenzio, ha scelto l’altra verità.

Il potere del padre imperatore è il potere maschile ed in particolare di una figura paterna come agente della perversione e strumentalizzazione sessuale dei soggetti più deboli per supportare proprie carenze psichiche e relazionali É il potere che usa l’abuso del soggetto debole come collante per la integrità del proprio sé.

Il nostro imperatore è un padre potente perché è violento, oppure seduttivo e manipolativo che confonde e ammalia i suoi bambini con inviti a volte con affetto e dolcezza, altre con paure e minacce. (…)

Il potere del nostro padre imperatore, la sua forza, è la violenza; una violenza spesso efferata, quasi impensabile e indicibile. Le forme efferate di crudeltà e di violenza fisica, psicologica e sessuale sono il sigillo del dominio dell’abusante sulla vittima.

La violenza

La violenza viene esercitata in modo minaccioso, efferato, colpevolizzante ed esibito:

  • minaccioso: la violenza è preceduta e seguita dalla minacce. Il padre di Luca, Grazia e Miriam si infilava un passamontagna nero e minacciava i figli di ucciderli con un coltello, se avessero parlato;
  • efferato: il padre di Giacomo si accaniva a picchiarlo ripetutamente in un piede sino a slogarglielo prima, e fratturarglielo poi, mentre il padre di Luciana, di due anni le legava mani e piedi prima di abusare di lei. L’accanimento è feroce è gratuito;
  • colpevolizzante: il padre di Maria le dice tu non vali niente, non sei capace di niente ed è per questo che ti picchio: Il padre di Federico gli dice: ti picchio perché sei un bambino cattivo e meriti questo e nient’altro. Ti insegnerò io a comportarti bene, a non pretendere ciò di cui ha bisogno;
  • annunciato: le sequenze che annunciano la violenza sono sempre le stesse, si ripetono in modo analogo. Giovanni da adulto, raccontando il suo abuso subito da bambino, ricorda: “mi faceva un cenno e mi chiamava in una stanza, io sapevo già cosa sarebbe successo e cercavo di preparare i muscoli e la pelle alle botte”;
  • esibito: i segni sul corpo del bambino, e talora anche su quello della madre, sono evidenti, inequivocabili testimonianze del suo potere invasivo, distruttivo, incontrastato, esibito in famiglia e rigorosamente taciuto all’esterno, finchè, talvolta, la gravità delle ferite inferte pregiudica la sopravvivenza del bambino e costringe la famiglia a ricorrere alle cure mediche. Laura aveva contusioni ed escoriazioni in tutto il corpo, le mancavano ciocche di capelli, e per questo non andava a scuola.

La violenza è esibita, quasi a sottolineare il possesso e il dominio totale sul bambino: il sigillo del dominio dell’abusante. Ma la violenza dell’ imperatore sarebbe ben poca cosa, avrebbe ben poca forza se non avesse il sostegno del potere del silenzio di chi gli è vicino:

Il potere del silenzio delle madri

Il nostro lavoro clinico ci permette infatti di poter affermare che queste madri silenziose amplificano il potere della figura abusante, la supportano dandole una sorta di legittimità. Le madri, le mogli, le donne, le figure femminili della famiglia in genere esercitano quello che potremo definire potere del silenzio, derivato anche da un modello millenario di subalternità e carenza comunicativa.

Ci troviamo in Sardegna, la nostra esperienza clinica si è svolta e si svolge in questa realtà, con bambini e famiglie appartenenti a questa cultura. Non pensiamo né vogliamo fare analisi sociologiche e antropologiche, le lasciamo ad altri specialisti competenti, però abbiamo le nostre storie cliniche che ci consentono di sostenere che il silenzio delle donne risulta elemento di collusione col padre abusante. Ci viene immediato ricordare il comportamento di silenziosa acquiescenza delle donne, mogli, madri, sorelle, coinvolte nelle sanguinose faide delle zone interne della Sardegna. Ma si può altrettanto dire che quelle stesse donne, mogli, madri, sorelle, rinunciando al silenzio hanno innescato una potenzialità di svelamento e di progressiva demolizione del consenso sociale e dell’omertà attorno ai delitti di faide.

Perché i delitti di faide sono crimini. Perché l’abuso sessuale   è un crimine. Un crimine orrendo che colpisce i soggetti sociali più deboli: i nostri bambini. Il potere del silenzio delle madri! Un silenzio che lascia solo il bambino a dire che l’imperatore è nudo.

Come il silenzio della mamma di Maurizio, una mamma che pur vedendo con gli occhi l’abuso che si consuma ai danni del proprio figlio da parte del marito, non parla, non parla perché non vede. É abbagliata dalla rassicurazione alla propria profonda fragilità psichica che riceve nell’appartenenza al marito, nella relazione di dipendenza e di passività nei suoi confronti.

La mamma di Maurizio è anch’essa una bambina, fragile, anche lei abusata, che solo nella forza bruta e rude del marito potente e violento, trova il puntello per la sua sopravivenza psichica e materiale.

Non parla perché parlare significa incontrare ferite, accettare di vederle e di guardarle sanguinare magari di un sangue antico, quasi di sicuro a suo tempo rimosso, non riconosciuto, tenuto nascosto e non asciugato.

Non parla perché le nuove ferite vanno a colpire punti già sottoposti a trauma e si sa che le vecchie fratture non curate se vengono colpite ancora fanno certamente più male.

Non parla neanche la mamma di Claudio che non sentendosi mai sicura di sé, trova nell’uomo tutto d’un pezzo, nel professionista stimato, dalla sobria eleganza e compostezza esterna, la rassicurazione alla sua propria inadeguatezza.  Non parla la mamma di Sara che non può pensare che il padre di sua figlia, suo marito, sia capace di usare un corpo in erba e non il proprio di donna adulta, non può pensarlo perché sarebbe una catastrofe interiore, un crollo del suo sé.

Non parla neanche la mamma di Maria che la manda a calmare il marito violento e ubriacone ogni volta che questo è agitato e dà in escandescenze alla ricerca di un sedativo naturale più soddisfacente della solita bottiglia che lo possa rilassare nel corpo e nella mente.

Non parla perché ha nel suo corpo le botte di tutti i giorni e non sa che lei ha una dignità, non lo sa perché gliel’hanno rubata quando era una bambina , gliel’ha rubata suo nonno quando aveva sei anni e abusò di lei.

 

(…)

A sorreggere il potere dell’abusante, oltre alla sua forza violenta, oltre al potere del silenzio femminile o comunque familiare, c’è sempre l’arma del consenso sociale attraverso il vestito nuovo, l’immagine di persona perbene, di bravo cittadino, di padre affettuoso di uomo stimato, di infaticabile lavoratore.  Come nella storia di Monica che all’età di 12 anni si innamora di un trentacinquenne che la convince ad avere rapporti sessuali prima con lui poi con un suo amico.

A scuola Monica diventa aggressiva e distratta, cala visibilmente il suo rendimento. Monica ne parla con la sua amica e poi con l’insegnante che informa i genitori e invia la segnalazione.

Ma il processo non si celebra perché secondo il gip occorreva la querela di parte, mentre per i carabinieri, i servizi sociali, l’avvocato della famiglia il procedimento doveva partire d’ufficio.

Parlare, dire che l’imperatore è nudo non è servito, la giustizia non va avanti. L’ambiente del piccolo paese ha paura, lascia soli e impotenti Monica e la famiglia, volta loro le spalle . La famiglia di Monica possedeva un bar che è costretta a chiudere perché la gente non ci va più, la ragazza è vista come una puttanella ed anche i suoi compagni di scuola, con qualche eccezione la attaccano come una poco di buono.

Monica ha comportamenti sempre più sessualizzati e provocatori, viene allontanata dalla famiglia e messa in comunità, mentre i suoi abusanti, onesti padri di famiglia, bravi lavoratori, figli rispettosi, mariti affettuosi, circolano nel paese, avendo ripreso a godere a tutti gli effetti della stima sociale. La corte-paese ancora una volta ha scelto di non vedere , ha scelto il silenzio, ha scelto l’altra verità.

Pensiamo a Silvia che dall’età di 8 anni si è sottoposta per diversi anni ai giochi erotici del suo capo scout, amico di famiglia, stimato da tutti, uomo gentile e affettuoso, attento e premuroso. “Era il padre che non avevo”, dice Silvia. Ha potuto abusare di lei, approffittando del suo bisogno di attenzioni nelle gite domenicali insieme alla famiglia di Silvia, ai suoi figli e a sua moglie.

Silvia si tiene questo segreto per anni, con la promessa che non sarebbe successo mai più e che la volta successiva non sarebbe andato più avanti. Silvia si illude di poterlo fermare da sola. Ma poi capisce di non potercela fare e racconta tutto alla mamma. Da quel momento le gite domenicali finiscono, così come finisce l’avventura negli scout, si dissolvono tutte le amicizie perchè tutte le mamme ritirano le bambine dal gruppo. Altre bambine hanno parlato alle loro madri, le madri adesso sanno , ma non parlano, si accontentano di allontanare le loro figlie da quella persona. Gli scout non si toccano, sono un istituzione , e chi ci crederebbe? Ora lei è sola e la sera quando rientra a casa talvolta trova il suo capo scout alla fermata dell’autobus e ha paura. Paura per se e per tutte le altre bambine a cui potrebbe ancora fare del male. Vorrebbe cambiare paese, ma per questo dovrebbe raccontare al padre ciò che è accaduto, ma la mamma le ricorda che non è possibile perché papà è già tanto malato e pieno di problemi soffre di cuore. Silvia decide allora che appena maggiorenne andrà fuori a studiare, lontano.

Le bambine hanno detto che l’imperatore è nudo, ma la corte ha deciso che non si può dire, è pericoloso, il gruppo scout non si tocca, meglio scegliere l’altra verità.

Nessuno vuole dire che il padre imperatore è nudo, eppure tutti lo vedono.

Vedono i colpi sul corpo della moglie, sentono le urla nel buio, vedono che molesta le altre bambine al gruppo scout. Tutti sanno: il prete, il farmacista, il bidello, il vicino di casa, ma come si fa a dire che l’imperatore è nudo?

La famiglia, il padre, non si discutono, il padre imperatore è padrone della sua famiglia, l’imperatore ha sempre vestiti di seta, lucenti e leggeri, anche se tutti vedono che il suo corpo è nudo, grasso e laido, oppure asciutto e scattante. Ma non basta.

Nella corte non ci sono solo gli uomini e le donne della strada, ci sono uomini e donne di scienza, di giustizia, di carità. Ma di fronte alle varie forme di potere e di condizionamento sociale e psicologico esercitato dalla figura dell’abusante, operatori sanitari, sociali, giudiziari, si mostrano spesso inesperti, insicuri, dubbiosi, confusi esposti a paure, timorosi di andare incontro a sconfitte e a disconferme, molto preoccupati di se stessi e poco preoccupati di tutelare i bambini.

E così nessun psicologo dice che Claudio è attendibile, le sue parole di denuncia dell’imperatore nudo sono definite invece pure suggestioni di una madre arrabbiata e insicura, il suo malessere costante e profondo è frutto di angosce interne connesse ai rapporti conflittuali fra i genitori. Gli psicologi temono di dover dire che quella sofferenza così devastante per la mente del bambino ha altre ragioni, le ragioni dell’esperienza di una condizione di vittima di abuso sessuale che ha invaso la mente di Claudio perseguitandolo giorno e notte. Gli psicologi invocano la loro scienza. Una scienza che sancisce di non essere in grado di poter sostenere che i bambini possono saper dire ciò che gli è successo.

Così come l’insegnante di Giorgia dice che non può essere né ascoltata, né creduta perché Giorgia è solo una bambina piena di fantasia, che lei conosce come le proprie tasche e non può certo essere vero che alluda a suo padre quando racconta di venire legata e violentata. L’insegnante metterebbe le mani sul fuoco: quel padre è così garbato e gentile, sempre premuroso e attento, si informa sempre ai colloqui scolastici sull’andamento della bambina, ha una famiglia così dabbene, il suo vestito nuovo è proprio lucente da fare invidia a tutti! Non può proprio essere vero, Giorgia e solo una bambina bugiarda!

Ma non basta.  Il potere dell’imperatore influenza anche gli adulti del sistema giudiziario, anche punte più avanzate del sistema preferiscono non vedere la realtà del disagio del bambino presentata dagli operatori, per cui sono riscontrabili dati oggettivi della situazione pregiudizievole in modo inequivocabile. E così questa realtà resta muta, non esiste visivamente nella società, è inconsistente, non può essere affermata. Il vestito nuovo è incontestabile.

Come quel giudice che è rimasto scottato dal guardare la realtà, ora dice che non conviene più, ha provato una volta a dire che la verità è un’altra, ha pagato un prezzo ed è tornato alla realtà finta. I giudici hanno paura del potere mediatico dell’imperatore, se sono troppo protettivi e non se non lo sono. Confusione, rigide certezze, rassegnazione sono alcuni dei processi difensivi dall’angoscia causata dall’ascolto del disagio messi in atto dall’adulto

La favola drammatica che vi abbiamo raccontato ha anche qualche raggio di speranza. Il grido: “l’imperatore è nudo” comincia già da qualche tempo anche qui in Sardegna ad essere sentito da operatori sensibili, da madri sofferenti, da giudici coerenti.

La forza del cambiamento può essere trovata nell’ascolto del grido del bambino fuori e dentro di noi. Il cambiamento non è solo nelle conoscenze tecniche del dramma dell’abuso, degli indicatori, degli effetti devastanti, delle dinamiche collusive, è nell’ascolto del nostro bambino interno, della paura dell’ascolto, dei conflitti all’ascolto. Il cambiamento è nel riconoscere le nostre difese dalla sofferenza, nell’ idealizzazione di una realtà sempre benevola, di un padre e di una madre sempre protettivi. Il cambiamento è nel sentire sostenibile un conflitto che inevitabilmente l’ascolto del grido “l’ imperatore è nudo” comporta sia nei rapporti professionali che sociali e personali di adulti e operatori.

[1] Relazione elaborata dal Gruppo di Psicologia Clinica sull’abuso sessuale dell’Associazione Rompere il Silenzio Sardegna. La relazione è stata presentata a Sassari il 24.05.01 e a Cagliari il 25.05.01 al convegno “Abuso sessuale: dramma universale, realtà sarda” tenutosi nell’ambito della terza campagna di sensibilizzazione nazionale “Abuso dei bambini: e tu cosa fai?”.