BULLO NON SI NASCE, LO SI DIVENTA: IL CICLO DELLA VIOLENZA

BULLO NON SI NASCE, LO SI DIVENTA: IL CICLO DELLA VIOLENZA

Di Chiara Martorelli


Quando si pensa al bullismo o al cyberbullismo una delle prime immagini che salta alla mente è quella di un teppista che se la prende con i più deboli, proprio come in quei video che in maniera virale spopolano sui social o vengono trasmessi alla tv, dove il bullo con estrema aggressività insulta, picchia e umilia la vittima come se fosse un oggetto. Ma cosa porta dei ragazzi o dei bambini ad agire in questo modo? Ad esplodere con così tanta aggressività facendo vivere un vero e proprio inferno ai malcapitati? Per poterlo comprendere bisogna prima di tutto inquadrare il fenomeno del bullismo, che presenta spesso dei confini un po’ confusi, come riportano Pisano e Saturno (2007).

L’attenzione mediatica, che periodicamente ricade su questo fenomeno, porta spesso a classificare episodi di criminalità isolata o comportamenti derivanti da psicopatologie conclamate, in maniera errata come bullismo. Per poter parlare di bullismo, in realtà, sono necessarie tre caratteristiche: 1. l’intenzionalità, nel senso che l’azione del bullo deve essere volta deliberatamente a fare del male e ferire la vittima verbalmente o fisicamente; 2. l’asimmetria di potere, il bullo prevarica e si trova in posizione up, mentre la vittima in posizione down; 3. la persistenza, in quanto non basta un unico episodio e magari tra sconosciuti per poter parlare di bullismo, ma è necessario che le azioni siano continue nel tempo, infatti possono durare settimane, mesi ma anche anni.

In questo scenario, per lo più appartenente all’ambiente scolastico, esistono diverse figure: il bullo, i gregari che lo sostengono, la vittima e gli spettatori. Questi ultimi hanno un ruolo solo apparentemente marginale, in quanto in realtà sono coloro che non agiscono direttamente la violenza ma non fanno nulla per impedirla, anzi, spesso, ridono delle malefatte del bullo. Ma al di là delle facili etichette, utili unicamente per comprendere chi sono gli attori in scena, è importante indagare sugli elementi che accomunano questi bambini o ragazzi: violenza e aggressività.

Il bullismo trova spazio all’interno di relazioni disfunzionali, ma qual è l’origine? Il bullo non nasce tale ma lo diventa. Dietro ai comportamenti di prevaricazione, aggressività e prepotenza si nasconde molto spesso una sofferenza psicologica, che vede il bullo come una vittima nelle circostanze di vita in cui si trova. Certo, questo non giustifica i calci e gli insulti ai pari, ma sicuramente ci aiuta a capire le “ragioni” di tale atteggiamento e come fare per poterlo prevenire e contrastare. Spesso il bambino vive situazioni di violenza e aggressività di continuo, nell’ambiente domestico e da parte di figure di riferimento come i genitori. Tutta l’aggressività che il minore subisce può esplodere all’esterno e portare il così detto bullo a riprodurre tali comportamenti tra i pari, percepiti come più deboli, proprio come lo è o lo è stato lui steso per l’adulto maltrattante. È solo a scuola che il bambino può dimostrare di essere forte e rispettabile, mettendo in atto comportamenti di prevaricazione che gli donano una certa sicurezza agli occhi degli altri, ma che in verità, celano una sfiducia di fondo, una bassa autostima legata a un ambiente familiare non accogliente e umiliante. Nell’articolo “Il ciclo della violenza: maltrattamento familiare, bullismo e dating aggression psicologico” (2014), viene riportato uno studio che dimostra come l’essere esposti a un contesto familiare violento, specialmente per i maschi, sia correlato all’assunzione di comportamenti di bullismo nel gruppo dei pari. Un’ulteriore ricerca (Shaffer 1996)  mostra come una delle conseguenze più frequenti, del maltrattamento infantile, sia data da un’alterazione delle capacità di elaborazione delle emozioni. I bambini maltrattati sviluppano un’immagine di sé negativa, tendono a mostrare reazioni emotive incontrollate, e sono riluttanti ad accettare se stessi in termini positivi.

Nella società in cui viviamo, dove gli schiaffi e le sculacciate servono per “venir su bene”, dove per farsi ascoltare è necessario gridare e per far capire la lezione serve invece insultare, come speriamo che il bullismo possa essere contrastato? Eh già, è più facile assumere un atteggiamento colpevolizzante e puntare il dito su un ragazzo o un bambino in particolare. Molto più scomodo ammettere che proprio quel bambino è figlio di storie familiari che ci sono vicine, di un sistema sociale di cui siamo tutti partecipi.

Il bullo può aver imparato che nella vita l’unico modo per rapportarsi agli altri è prevaricare e far vedere chi è il più forte, la vittima può sentir risuonare dentro di sé una voce che dice che ciò che subisce se l’è meritato, gli spettatori che osservano senza intervenire, possono invece, dal canto loro, aver appreso che è meglio chiudere gli occhi davanti alla violenza, giustificarsi, minimizzare o voltarsi dall’altra parte. Queste dinamiche che ruotano attorno al fenomeno del bullismo possono essere il riflesso di ciò che avviene nel nucleo familiare e più in generale nella società.

I metodi “educativi” che ammettono schiaffi e umiliazioni dei più piccoli, rappresentano oggi la miccia del fuoco che si accenderà domani. Forse, al di là di ogni intervento stigmatizzante per “raddrizzare” il bullo, sarebbe opportuno chiederci quali sono le responsabilità del mondo degli adulti in un fenomeno che viene addebitato spesso e unicamente ai più piccoli.

Fonti:

  • Pisano L., Saturno M. E., (2007) Prepotenze, devianza, criminalità minorile, psicopatologia: i confini incerti e confusi del bullismo, Che loro devono essere trattati come noi, perché sono persone come loro. Monitoraggio sulle prepotenze tra pari, Punto di Fuga Editore.
  • Palladino E. B., Pini S., Nocentini A., Menesini E., (2014).

Il ciclo della violenza: maltrattamento familiare, bullismo e dating aggression psicologico (The violence cycle: child maltreatment, peer bullying and psychological dating aggression). Maltrattamento E Abuso All’infanzia,  18 (3) P. 29-46.

  • Shaffer, H. R. (1996). Regolazione emotiva ed emozioni sociali. In Di Blasio, P. (2000) Psicologia del bambino maltrattato. Bologna: il Mulino.