CARO GIUDICE. IL RICORDO DI UN’AUDIZIONE PROTETTA. Un bambino di ieri (ragazzo di oggi)

CARO GIUDICE. IL RICORDO DI UN’AUDIZIONE PROTETTA. Un bambino di ieri (ragazzo di oggi)

Caro Giudice,

ti ricordi quando ci siamo incontrati quel giorno? Forse no, sono passati tanto tempo e tante storie.

Avevo quasi 5 anni e tu avevi bisogno di parlarmi, anzi di ascoltarmi perché avevo detto di aver subito “cose brutte”. Volevi sentire dalle mie parole di bambino quello che io non avevo più voglia di raccontare.

L’avevo già detto a mamma e avevo bisogno di dimenticare. “Mamma, diglielo tu”. “L’ho già detto, amore mio. Ora devi farlo anche tu”. E’ stata una gran fatica quel giorno! E’ ancora stampata qui nella mia mente, come se fosse ieri. Che nervi! Che rabbia!  Non mi volevo lavare, né vestire. Non volevo proprio uscire per andare in quel posto dove c’erano i grandi che dicevano di dover capire.

Ho voluto con me il mio piccolo criceto, piccolo com’ero piccolo io. L’ho portato nella sua gabbietta e mi ha fatto compagnia. “Ma tu non sei più piccolo, amore, sei diventato un ometto! Ti è caduto già un dentino”! E’ vero! Il primo dentino! Chi se lo può dimenticare?

E’ caduto proprio il giorno prima, segno tangibile che oramai ero grande e che ce la potevo fare. E ce l’ho fatta! Con il mal di stomaco e i brividi addosso, con le mie parole di bambino, un po’ papocchiate, un po’ farfugliate…ma comunque chiarissime, per chi le avesse volute ascoltare.

Tu cosa pensavi? Che facessi un discorso tutto d’un fiato? Senza tentennamenti o contraddizioni? Ti ricordo che ero un bambino ed avevo paura.

Paura dei ricordi e delle minacce che per tanto tempo avevano chiuso la mia bocca, fino a scoppiare! Troppo il dolore, nel corpo e nel cuore. Così ti ho parlato e, ti dirò, mi sono anche liberato.

Ebbene, vuoi sapere cos’è successo poi? Già, perché tu non lo sai. Per te è finito tutto quel giorno in cui il caso è stato archiviato. Per me no.

Perché il processo alla fine lo hanno fatto alla mia mamma.

Hanno detto che lei mi aveva confuso, suggestionato. Che era una mamma cattiva, sbagliata, pericolosa. E così mi hanno strappato da lei, con l’inganno mi hanno portato via.

Io sono morto dentro. L’unico punto di riferimento della mia vita, la mia unica speranza, la mia unica salvezza, il mio vero unico, grande, infinito bene! Mi hanno ucciso, per la seconda volta.E tutto questo, sia chiaro, è stato fatto per “il mio bene”.

Da grande mi sono iscritto al liceo e studio psicologia, vorrei aiutare altri bambini. Sto studiando in questi giorni cosa scriveva Renè Spiz negli anni ’40, osservando bambini abbandonati.

Nel primo mese, dopo l’abbandono, il bambino si lamenta e chiama. Nel secondo mese perde peso e piange spesso.Nel terzo mese soffre d’insonnia, evita il contatto fisico, diventa inespressivo.Dopo il quarto mese smette di piangere e cade in depressione.

Questo è il bambino che sono stato io. Per non parlare del resto.

Sono sicuro, però, che tu proprio non immaginavi, quel giorno, quello che mi sarebbe successo in seguito.  Per questo ti scrivo, non per angosciarti, ma solo per dirti: “Pensa! I bambini sono solo piccoli, ma hanno i nostri stessi sentimenti, i nostri stessi bisogni, dicono le nostre stesse grandi verità”.

 

Un bambino di ieri (ragazzo di oggi)