CI SONO ANCHE IO! SIBLINGS: FRATELLI E SORELLE DI FIGLI SVANTAGGIATI.

CI SONO ANCHE IO! SIBLINGS: FRATELLI E SORELLE DI FIGLI SVANTAGGIATI.

Di Chiara Martorelli


Il termine sibling è una parola inglese che viene utilizzata nel territorio anglosassone per designare il legame di fraternità.  In Italia, invece, assume un’accezione diversa e sta ad indicare fratelli e sorelle di bambini con disabilità.  La disabilità è una condizione che non riguarda solo la persona affetta da una problematica fisica o psichica, ma interferisce con i membri di tutta la famiglia. Alcuni di questi sono appunto i siblings, ovvero tutti i fratelli e sorelle i cui vissuti emotivi, affettivi o relazionali , vengono spesso dimenticati o trascurati.

In una famiglia in cui è presente un bambino con malattie genetiche, ritardi mentali o qualsivoglia condizione patologica cronica, le dinamiche del nucleo familiare quasi sempre si modificano. Tutto comincia a ruotare attorno alla disabilità, i genitori investono le proprie energie nel figlio che richiede più attenzioni, quello che viene percepito come più debole e bisognoso, e questo può comportare una forma, anche involontaria o inconsapevole,  di trascuratezza nei confronti dell’altro figlio, quello che viene visto come chi, alla fin dei conti, non avrebbe poi così tante necessità ma riuscirebbe a far da solo. I genitori vedono il figlio “più fortunato” come poco bisognoso di cure e attenzioni. Talvolta proprio nelle famiglie più  sensibili e più impegnate nella “riparazione” del figlio svantaggiato può capitare che venga dimenticata la problematica degli altri figli e non venga considerata la ricaduta di un particolare peso emotivo e relazionale sui fratelli e sulle sorelle di persone con disabilità.

Nel sito “disabili.com” , vengono riportate  diverse testimonianze di ragazzi,  fratelli e sorelle di persone con disabilità, come Alessandro, che dice: “La disabilità di mio fratello mi lascia impotente quando vedo che le porte si chiudono, viene lasciato solo, riceve pochi inviti ad uscire”; oppure di Irene che afferma : “A scuola, poi, io ero per tutti la sorella del disabile, ma da parte dei compagni c’era solo curiosità. Ho il mio carattere, ma le maestre attribuivano il mio modo di essere al fatto di avere un fratello disabile”; della sua storia Ilaria riporta: “Ho provato una sentimento di rabbia nei suoi confronti: lo ritenevo colpevole di aver minato la felicità della nostra famiglia”. Vissuti di rabbia, impotenza, esclusione, son quelli che restano spesso silenti, senza voce, quasi non fossero legittimi in una famiglia dove di problemi ce ne sono già tanti. I bambini in questi casi temono di essere un “peso” ulteriore per i propri genitori e tendono a responsabilizzarsi e ad evitare di esternare i sentimenti che sentono spiacevoli e che potrebbero recare ulteriori preoccupazioni.

Dondi (2008) scrive: “La particolare condizione di sibling , è costituita dal fatto che la sua crescita o lo sviluppo dell’identità si compiono confrontandosi continuamente con la presenza di un fratello o una sorella disabile, e, aggiungo, con genitori che si trovano a gestire un trauma.” La famiglia rappresenta il terreno fertile dove si sviluppa l’identità di un individuo e nel momento in cui una famiglia subisce l’impatto con la disabilità, che spesso prorompe in maniera del tutto inaspettata, questo ha delle conseguenze su tutti i componenti e in particolare sui più piccoli, gli altri bambini della famiglia. È importante perciò una presa in carico non solo delle emozioni di chi in prima persona deve fare i conti con la disabilità, ma anche di chi gli sta intorno, per creare un ambiente supportivo ed evitare lo sviluppo di stress cronico o difficoltà emotive.

Un altro aspetto che può caratterizzare i siblings è il mancato accesso alle informazioni che riguardano la malattia del fratello o sorella. Come riportato da Farinella (2015), i genitori sono riluttanti a parlare delle condizioni di fragilità del figlio e condividere all’interno della famiglia preoccupazioni ed emozioni, questo per diversi motivi: alcuni per evitare di caricare di un peso i bambini, altri sostengono che ansie e preoccupazioni devono essere tenute nascoste perché gestibili unicamente da adulti. Ma il nascondere le informazioni spesso può generare più ansia di quella derivante da un’esplicitazione sincera dei problemi con la possibilità di elaborarli.  La mancata comunicazione e il mistero che si crea attorno alla condizione patologica crea una forte angoscia, che porta spesso il bambino a ritenere di essere responsabile del malessere del genitore. Tenere sotto chiave gli stati emotivi spiacevoli è, in realtà, più un bisogno del genitore che un fattore di protezione per il bambino. Il pensiero che sottende in genere questa decisione è che il bambino non sia in grado di comprendere. In realtà i bambini respirano gli stati emotivi del genitore e perciò sarebbe protettivo comunicare piuttosto che nascondere gli stati d’animo che vengono vissuti dagli adulti. Sarebbe più utile stare con gli altri figli anche in uno stato emotivo spiacevole e condividerlo, piuttosto che mascherarlo, fornendo ai siblings gli strumenti per poter comprendere le emozioni dei genitori in base alla loro età. Spiegare ai propri bambini con sviluppo tipico, le proprie ansie, le emozioni di tristezza, paura e rabbia, porta questi a comprendere di non essere la causa del loro stress e di essere amati anche se sono presenti delle preoccupazioni per il bambino con disabilità.

Farinella (2015) riporta come sia fondamentale che i siblings si sentano autorizzati dai genitori ad esprimere i dubbi, la sofferenza e le difficoltà che provano nella relazione con il fratello con disabilità. Spesso infatti i genitori temono che il figlio affetto da una patologia non venga amato dal fratello e quindi tendono a legittimare solo le dinamiche affettuose, condannando quelle rifiutanti o di gelosia. Questo fa si che il rapporto tra fratelli sia costruito con censure  in funzione della fragilità dell’altro. Quando i fratelli sono invece lasciati liberi di scegliere i legami, esprimere le emozioni che possono e vogliono intrattenere reciprocamente, la fratria può svilupparsi in modo sano, determinando la costruzione della personalità dei soggetti e del loro ruolo nella vita familiare.

Tutte le emozioni, la tristezza, l’ansia, la paura così come la gioia e la curiosità hanno ragione di esistere e per questo devono essere legittimate, solo in questo modo e mantenendo uno spazio relazionale di confronto e ascolto, ogni bambino può trovare il proprio spazio all’interno della famiglia e sentirsi amato, anche quando sono presenti delle difficoltà imprescindibili, il bagaglio di emozioni è essenziale.

Fonti:

  • Dondi A., (2008). Disabilità, trauma familiare e resilienza. Il peso della normalità per fratelli e sorelle delle persone disabili . Rispondere al trauma. Quaderni di psicologia. Analisi transazionale e scienze umane 49 (117- 141). Sesto San Giovanni (Milano): Mimesis Editore.
  • http: //www.disabili.com
  • Farinella A., (2015), Essere fratelli di ragazzi con disabilità. Trento: Erickson editore.