COME VALIDARE LA NARRAZIONE DI UN BAMBINO PRESUNTA VITTIMA DI ABUSO

COME VALIDARE LA NARRAZIONE DI UN BAMBINO PRESUNTA VITTIMA DI ABUSO

 

Convincere un bambino a narrare avvenimenti falsi, come un falso abuso, non è impresa facile, ma in qualche caso può avvenire; per verificare questa possibilità è tuttavia indispensabile rintracciare l’atteggiamento induttivo di un adulto patologico o comunque con un’intenzionalità distruttiva o manipolativa. Riuscire a condizionare un bambino al punto da fargli esprimere non solo un racconto concernente un abuso, ma anche delle emozioni del tutto coerenti con quel racconto  (per esempio emozioni di dolore, rabbia, sconcerto, paura, terrore, impotenza, vergogna, colpa, confusione, eccitazione…) è un’impresa quasi impossibile. Spingere un bambino a raccontare un abuso con un discorso ed un atteggiamento emotivo e relazionale dove i contenuti narrativi, le emozioni ed anche i meccanismi difensivi risultano coerenti ed incardinati fra loro  è un’impresa del tutto impossibile.

C’è un approccio fondamentale per valutare la credibilità della narrazione di un possibile abuso sessuale da parte della presunta piccola vittima: si tratta di effettuare una validazione incrociata su tre livelli comunicativi che rappresentano la modalità complessiva di espressione del bambino stesso e che analizzati nel loro insieme possono far comprendere se quanto racconta corrisponde ad un trauma sessuale realmente sperimentato. Questo approccio valutativo tiene conto non solo di ciò che viene detto, ma anche di come viene detto, prendendo in considerazione dunque le dinamiche emotive e conflittuali che accompagnano la verbalizzazione, in altri termini consentono di ipotizzare che cosa capita nel mondo interno di quel bambino mentre sta raccontando.

Questi tre livelli di analisi si orientano su:

1) il piano narrativo, i contenuti verbali del racconto; si tratta di valutare la  concretezza e la determinazione dei contenuti, la loro coerenza logica e nel contempo la spontaneità e la produzione non strutturata, la contestualizzazione del racconto in coerenza con le capacità conoscitive e comunicative del soggetto;

2) il piano emotivo, la specificità e la congruità  delle emozioni che vengono espresse in relazione al racconto soprattutto quando tale racconto fa riferimento ad aspetti traumatici ;

3) last but not least, il piano dei meccanismi di difesa, che eventualmente si attivano nei passaggi più penosi e mentalmente indigesti della narrazione, conflittualizzandola e rendendola difficile e fonte di tensione psico-fisica, nel caso il bambino abbia effettivamente patito ciò che racconta.

La presenza di intensi vissuti emotivi sofferti e conflittuali, coerenti con la narrazione, non può comparire in racconti inautentici o indotti, che non risultano frutto di un’esperienza personale patita in prima persona. A maggior ragione l’attivazione di meccanismi difensivi dal trauma, che rappresentano un livello psichico ancor più profondo ed autentico di quello emotivo, e che risultano emergere in connessione con il racconto o con la possibilità di raccontare un’esperienza traumatica, non può essere costruita artificiosamente o sollecitata induttivamente dall’esterno del soggetto.

1. L’ANALISI DEI CONTENUTI. Può essere approfondita da  strumenti, quali il C.B.C.A (Criteria Based Content Analysis). La logica di questo sistema d’indagine mira a valutare la credibilità del racconto e l’attendibilità del minore, non considerando tale credibilità come una caratteristica del soggetto deducibile da una diagnosi della personalità o da un’interpretazione psicologica dei contenuti del discorso, bensì come una qualità inferibile dalle caratteristiche del racconto.

L’assunzione di base di questo strumento di analisi (C.B.C.A.) è l’ipotesi di Undeutsch (1989), secondo la quale un racconto basato su un’esperienza reale differisce per aspetti osservabili e coerenti da un racconto falso: proprio questi aspetti sono considerati elementi in grado di discriminare in modo efficace tra i racconti veri e quelli falsi.

Il valore che può essere attribuito al C.B.C.A. deriva dal fatto che esso, fornendo una griglia attraverso la quale leggere la deposizione, riesce in qualche modo a guidare l’attenzione sugli elementi della deposizione che sono significativi, riducendo il rischio che la deposizione venga valutata in base al solo giudizio personale, che può essere condizionato: decidere della veridicità o meno di una deposizione è un giudizio probabilistico. La certezza assoluta non si può raggiungere mai, ma con questo strumento si possono fortemente  ridurre i rischi di errore (Ghetti, Agnoli, 1998), a maggior ragione se si utilizza questo strumento come ausilio di una valutazione che segue altre rigorose procedure.

2. L’ANALISI DEI VISSUTI EMOTIVI.  In base agli studi e alle ricerche della letteratura che si è occupata di child abuse and neglect nell’esame diagnostico e nel lavoro terapeutico con le piccole vittime di abuso sessuale si riscontrano in maniera massiccia e pervasiva  alcuni vissuti emotivi, presenti contemporaneamente ed ubiquitariamente, vissuti emotivi derivanti dalla vittimizzazione subita. Tali vissuti, che “sono stati descritti da più autori con una convergenza impressionante dei dati rilevati nelle più disparate esperienze cliniche” (Malacrea), rappresentano una sorta di stigmate emotive dell’abuso.

La sistematizzazione più classica e più citata nelle trattazioni cliniche è quella di Finkelhor e Browne, che individuano quattro sentimenti fondamentali che si possono ritrovare in modo consistente nella vita emotiva del soggetto che ha subito un trauma sessuale:

a) vissuto di impotenza;

b) vissuto di tradimento;

c) vissuto di sessualizzazione traumatica;

d) vissuto di stigmatizzazione.

I vissuti emotivi di protesta, rabbia, odio, vendetta, ricorrenti sulla base dell’esperienza clinica nelle vittime di abuso possono essere collegati allo schema di Finkelhor e Browne come modalità di reazione nei confronti di  tutti i suddetti quattro  vissuti-base.

3. L’ANALISI DEI MECCANISMI DIFENSIVI. Occorre considerare poi con attenzione i meccanismi difensivi che possono attraversare la narrazione di un bambino che riferisce di un abuso sessuale subito. Se il racconto è fondato la narrazione non risulterà pacifica e lineare, ma attraversata da un conflitto fra forze opposte: tra il bisogno di parlare e l’esigenza di tacere, tra l’avvicinamento e l’allontanamento ai nuclei più sofferti del ricordo e questo conflitto s’intensificherà in relazione ai contenuti soggettivamente più spinosi e più disturbanti della narrazione.

Ovviamente l’analisi del possibile ricorso a meccanismi difensivi richiede nell’esperto chiamato a valutare la presunta vittima di abuso una competenza clinica, maturata nel lavoro psicoterapeutico con piccole vittime di violenza e di abuso, e non già una semplice e generica competenza psicologico-forense, competenza quest’ultima che viene spesso enfatizzata per coprire il vuoto di una formazione che l’esperto può concretamente acquisire nel lavoro di aiuto e di cura di minori traumatizzati.

Vale la pena soffermarsi sul meccanismo difensivo dell’evitamento: è il più frequente tra le strategie  intrapsichiche utilizzate nel corso dei colloqui dai bambini abusati per difendersi dalla sofferenza. Il suddetto meccanismo difensivo serve a proteggere la mente dal contatto con stimoli vari, situazioni, ricordi, luoghi, persone, che evocano l’evento traumatico. In questa maniera la mente della piccola vittima viene protetta dall’invasione di informazione associata al trauma che risulterebbe troppo disturbante. L’inconveniente di questo meccanismo è quello di generare all’infinito la dialettica patogena del trauma: tanto più il contenuto scombussolante del trauma viene tenuto lontano dalla consapevolezza e dall’elaborazione mentale, tanto più questo tende a diventare patogeno. Tenuto lontano dalla porta ritorna penosamente dalla finestra della ripetizione inconsapevole dei sintomi (pensieri intrusivi, angosce improvvise ed apparentemente immotivate, gioco post-traumatico, incubi, flash back, disagio psicologico e reattività fisiologica agli stimoli che assomigliano all’evento traumatico…).