26 Gen Dire la verità ai bambini, di Alice Miller
Sabato, 22 dicembre 2007
A volte cerco di immaginare che tipo di sensibilità potrebbe avere un individuo cresciuto su un pianeta dove a nessuno viene in mente di picchiare i bambini. Un giorno, forse, grazie ai progressi della ricerca spaziale, sarà possibile viaggiare da un pianeta all’altro, ed esseri con abitudini completamente diverse dalle nostre arriveranno sulla nostra terra. Che cosa passerà allora nella testa e nel cuore di uno di essi quando vedrà degli umani adulti e vigorosi scagliarsi su bambini indifesi e picchiarli in uno slancio di furore?
È ancora molto comune oggi credere che i bambini non possono avere sentimenti, ed essere persuasi che ciò che facciamo loro subire sarà senza conseguenze, o queste saranno di minore gravità rispetto a maltrattamenti subiti da adulti, proprio perché essi sono “ancora bambini”. Così, fino a poco tempo fa, le operazioni senza anestesia ai bambini erano ancora autorizzate. Ancora più importante, la circoncisione e l’infibulazione sono viste in molti paesi come legittimi costumi tradizionali, così come i riti di iniziazione sadici.
Picchiare gli adulti è considerata una tortura, picchiare i bambini è considerata educazione. Non è sufficiente questo ad evidenziare in modo chiaro e netto un’anomalia che sconvolge la mente della maggior parte delle persone, una “lesione”, un enorme vuoto là dove si dovrebbe trovare l’empatia, soprattutto verso i figli? In sostanza, questa osservazione è sufficiente a dimostrare la correttezza della teoria secondo la quale la mente di tutti i bambini che sono stati picchiati ne conserva le conseguenze, perché quasi tutti gli adulti sono insensibili alle violenze subite dai bambini!
Dato che le torture subite dai bambini sono rimosse e negate da così tante persone si può supporre che questo meccanismo (di protezione) sia costitutivo della natura umana, che risparmi sofferenza agli esseri umani e, quindi, svolga un ruolo positivo. Ma ci sono almeno due fatti che contraddicono questa affermazione. In primo luogo, è proprio quando i maltrattamenti sono negati che vengono trasmessi alla generazione successiva, impedendo così l’interruzione della catena della violenza, e, in secondo luogo, è il ricordo di ciò che è stato subito che consente la scomparsa dei sintomi della malattia.
È ormai accertato che il racconto, in presenza di un testimone compassionevole, delle sofferenze subite da bambini, ha portato alla scomparsa dei sintomi fisici e psichici (come ad esempio la depressione); dobbiamo quindi metterci alla ricerca di forme diverse di terapia, poiché non è alleandosi con la tendenza a negare che si trova la via della liberazione, ma confrontandosi con la nostra verità in tutto ciò che essa ha di penoso.
A mio avviso, le stesse conclusioni si applicano al trattamento dei bambini. Per molto tempo, come la maggior parte delle persone, sono stata dell’avviso che i bambini hanno un disperato bisogno di illusione e di rimozione per sopravvivere, perché sarebbe per loro troppo doloroso affrontare la verità. Ma oggi sono convinta che ciò che è vero per gli adulti è vero anche per i bambini: chi conosce la verità sulla propria storia è protetto da disturbi e malattie di ogni genere. Ma per ottenere questa conoscenza, gli è indispensabile l’aiuto dei suoi genitori.
Oggi, molti bambini hanno disturbi comportamentali, e sono anche numerosi i programmi di trattamento. Purtroppo, essi si basano in generale su concezioni pedagogiche secondo le quali sarebbe possibile e necessario inculcare adattamento e sottomissione al bambino “difficile“. Abbiamo qui a che fare con terapie comportamentali più o meno di successo, che consistono in una sorta di “riparazione” del bambino. Tutte queste varianti terapeutiche hanno in comune il silenzio o l’ignoranza sul fatto che ogni bambino difficile esprime la storia dei danni alla sua integrità, che comincia molto presto nella sua vita, come lo dimostra il mio lavoro d’indagine, nei bambini tra zero e quattro anni, mentre il loro cervello si sta formando (vedere il mio articolo del 2006 “L’impotenza delle statistiche “, non ancora tradotto in francese). La maggior parte delle volte, questa storia viene rimossa.
Tuttavia non si può realmente aiutare un essere straziato ad occuparsi delle proprie ferite se ci si rifiuta di guardarle in faccia. Molto fortunatamente, le prospettive di cura sono migliori per un organismo giovane, e questo è anche vero per le ferite psichiche. Il primo passo da fare sarebbe dunque di prepararsi a guardare autenticamente le sue ferite, prenderle sul serio e cessare di negarle. Ciò non ha nulla da vedere con una “riparazione dei disordini“ del bambino, si tratta al contrario di occuparsi delle sue ferite con empatia ed informazioni giuste e vere.
Questo maggiormente serve affinché il bambino giunga al suo pieno sviluppo emozionale (la sua maturità vera), non l’apprendimento di comportamenti adeguati alla norma. Affinché non sviluppi più tardi né depressione né disordini dell’alimentazione, perché non cada neppure nella droga, ha bisogno di avere accesso alla sua storia. Penso che, nei bambini che hanno conosciuto le percosse, gli sforzi educativi e terapeutici meglio intenzionati sono destinati alla fine al fallimento se l’umiliazione vissuta allora non è stata mai evocata, in altre parole se il bambino resta solo con questo vissuto. Per sollevare il coperchio che fa pesare quest’isolamento (la solitudine di fronte al suo segreto), i genitori dovrebbero trovare il coraggio di riconoscere il loro errore di fronte bambino. Ciò cambierebbe completamente la situazione. In occasione di una discussione calma, potrebbero ad esempio dirgli: “Noi ti abbiamo picchiato quando eri ancora piccolo, perché noi anche siamo stati istruiti in quel modo e pensavamo che era ciò che occorreva fare. Ma ora sappiamo che non avremmo mai dovuto autorizzarci a farlo, e siamo spiacenti delle umiliazioni che ti abbiamo fatto subire e dei dolori che ti abbiamo inflitto, non ricominceremo mai. Noi ti chiediamo di ricordarci questa promessa se dovessi pensare che rischiamo di dimenticarla”.
Ci sono già 17 paesi, dove questa pratica è sanzionata dalla legge, dove è semplicemente proibito. Nel corso degli ultimi decenni, sempre più gente infatti ha capito che un bambino che riceve percosse vive nella paura, cresce nel timore permanente dei colpi che verranno. Ciò altera molte delle sue normali funzioni. Tra le altre cose, non sarà capace più tardi di difendersi in caso di aggressione o il timore causerà uno choc sproporzionato. Un bambino che vive nel timore può difficilmente concentrarsi sui suoi doveri, tanto a casa che a scuola. La sua attenzione è meno concentrata su ciò che deve apprendere che sul comportamento dei suoi professori o dei suoi genitori, poiché non sa mai quando la loro mano partirà. Il comportamento degli adulti gli sembra completamente imprevedibile, deve dunque essere costantemente in guardia. Il bambino perde fiducia in genitori che dovrebbero, come è il caso di tutti i mammiferi, proteggerlo delle aggressioni esterne, e mai attaccarlo. Ma privato della fiducia nei suoi genitori, il bambino si sente molto insicuro ed isolato perché tutta la società è dalla parte dei genitori e non dalla parte dei bambini.
Quest’informazioni non sono per il bambino delle rivelazioni, poiché il suo corpo sa già tutto ciò da tempo. Ma il coraggio dei genitori e la loro decisione di non di cercare più di fuggire dinanzi ai fatti avranno senza dubbio un effetto benefico, liberatore e duraturo. Ed è un modello di una grande importanza che gli viene presentato, non soltanto a parole, ma con un atteggiamento coraggioso capace di andare alla radice di ciò che si pensa, ed anche di rispetto della verità e della dignità del bambino, piuttosto che di violenza e di mancanza di controllo di sé. Poiché il bambino apprende dell’atteggiamento dei suoi genitori e non delle loro parole, da una tale ammissione potranno scaturire solo effetti positivi. Il segreto con il quale il bambino era solo ormai è stato nominato ed integrato nella relazione, che può ora stabilirsi sulla base del rispetto reciproco e non dell’esercizio autoritario del potere. Le ferite nascoste fino ad allora si possono curare perché non restano più a lungo conservate nell’inconscio. Quando dei bambini consapevoli diventano a loro volta genitori, non corrono più il rischio di riprodurre in modo compulsivo il comportamento a volte molto brutale o perverso dei loro genitori, non vi sono spinti dalle loro ferite rimosse. Il rammarico dei genitori ha cancellato le storie tragiche e le ha private del loro potenziale pericoloso.
Il bambino battuto dai suoi genitori ha appreso da loro a reagire con la violenza, è per così dire innegabile, e qualsiasi membro del personale di un asilo-nido potrebbe confermarlo se si autorizzasse a vedere ciò che ha sotto gli occhi: il bambino che riceve percosse a casa picchia i più deboli a scuola come nella sua famiglia. Riceve una punizione quando picchia suo fratello minore, e non comprende nulla di come funziona il mondo. Non è ciò che ha appreso dai genitori? Così sorge molto presto una confusione che si manifesta sotto forma di “disturbo nel comportamento“, e si porta il bambino in terapia. Ma nessuno si è arrischiato ad avvicinarsi alle radici di questo male, mentre sarebbe invece così ovvio.
La terapia con il gioco condotta da terapeuti dotati di una forte sensibilità può certamente aiutare il bambino ad esprimersi e prendere fiducia in lui in un quadro protetto e costante. Ma poiché il terapeuta tace sulle prime ferite ricevute nel passato, il bambino resta in generalmente solo con ciò che ha vissuto. Anche i più dotati dei terapeuti non possono sollevare questo coperchio se la preoccupazione di proteggere i genitori li fanno esitare a valutare in modo adeguato le ferite dei primi anni. Ma non sono loro che dovrebbero parlarne con il bambino, perché ciò susciterebbe in lui immediatamente il timore di essere punito dai suoi genitori. Il terapeuta deve lavorare con i genitori e deve loro spiegare come il fatto di parlarne potrebbe essere liberatore per essi stessi e per il bambino.
Certamente non tutti i genitori sottoscriveranno questa proposta, anche se è fatta loro da terapeuti, cosa che sarebbe ovviamente auspicabile. Alcuni troveranno certamente ridicola quest’idea e diranno che il terapeuta è ingenuo perché non sa quanto i bambini sono ipocriti e quindi capaci di sfruttare la benevolenza dei genitori. Non occorre stupirsi di tali reazioni, poiché la maggior parte dei genitori vede nei figli i propri genitori ed ha timore di riconoscere di fronte a loro un proprio errore perchè nel passato per qualsiasi errore furono minacciati di pesanti punizioni. Si aggrappano alla maschera della loro perfezione ed è molto probabile che siano incapaci di correggersi.
Voglio tuttavia credere che tutti i genitori non siano dei presuntuosi incorreggibili. Penso che nonostante questo timore, ci siano molti genitori che vorrebbero rinunciare a questa relazione di potere, che hanno da tempo la volontà di aiutare i loro bambini ma che fino ad ora non sapevano come fare, poiché provavano timore all’idea di aprirsi francamente a loro. È molto probabile che questi genitori arriveranno più facilmente ad imporsi una discussione franca sul ”segreto” e, con la reazione del loro bambino, faranno l’esperienza degli effetti positivi della rivelazione della verità. Constateranno allora da soli come i valori che si predicano autoritariamente dall’alto sono inutili comparati con il sincero riconoscimento dei propri errori, condizione indispensabile perché l’adulto si veda conferire la vera autorità, proprio perché è credibile. Va da sé che qualsiasi bambino ha bisogno di tale autorità per trovare il suo cammino nel mondo. Un bambino a cui si è detta la verità, che non è stato educato ad accettare bugie e atrocità, può sviluppare tutte le sue potenzialità, come una pianta nella buona terra, le cui radici non sono preda di animali nocivi (le menzogne).
Ho provato a testare quest’idea su amici, ho chiesto a genitori, ma anche a bambini, ciò che ne pensavano. Molto spesso ho dovuto constatare che ero male interpretata, che i miei interlocutori interpretavano la mia proposta come se fosse una questione di scuse da parte dei genitori. I bambini rispondevano che bisognava essere capaci di perdonare ai genitori, ecc.… Ma la mia idea è molto lontana da ciò. Se i genitori si scusano, i bambini possono avere la sensazione che si attende da loro un perdono per scaricare i genitori e liberarli dalle loro sensazioni di colpa. Sarebbe troppo chiedere questo al bambino.
Al contrario, ciò che ho in testa, è un’informazione che confermi ciò che il bambino sa nella sua carne e dia centralità al suo vissuto. È il bambino che è in primo piano, con le sue sensazioni e le sue necessità. Quando il bambino osserva che i genitori si interessano a cosa ha provato nel momento dei loro eccessi, vive un momento di grande sollievo unito con una sensazione confusa di giustizia… Non si tratta qui di perdono, ma dello sgombro di segreti che separano. Si tratta di costruire una relazione nuova, fondata sulla fiducia reciproca, e sollevare la copertura che isolava fino allora il bambino maltrattato.
Una volta che da parte dei genitori ha avuto luogo il riconoscimento della ferita, molte vie bloccate si liberano, in un processo di cura spontaneo. È dai terapeuti che si attende in realtà tale risultato, ma senza il contributo dei genitori non possono giungervi.
Quando i genitori si rivolgono al bambino con benevolenza e rispetto, e riconoscono francamente il loro difetto, senza dire: “Sei stato tu, con il tuo comportamento, a spingerci a fare ciò che abbiamo fatto”, molte cose cambiano. Il bambino ha ricevuto modelli che gli permettono di trovare il suo cammino, non si cerca più di evitare le realtà, l’obiettivo non è più “riparare il bambino” perché soddisfi meglio ai bisogni dei genitori, gli si ha mostrato che si può mettere la verità in parole e che si può sentire la sua potenza curativa. E soprattutto: non deve sentirsi colpevole delle manchevolezze dei suoi genitori una volta soltanto hanno riconosciuto la loro responsabilità. Negli adulti, tali sensazioni di colpa formano di solito la base di innumerevoli forme depressive.
__________________________________________________________________________________
Dire la vérité aux enfants
samedi 22 décembre 2007
Alice Miller
Traduit par Pierre Vandevoorde (janvier 2007)
J’essaie parfois de m’imaginer comment quelqu’un qui aurait grandi sur une planète où il ne vient à l’idée de personne de battre un enfant pourrait bien ressentir les choses. Un jour peut-être, grâce aux progrès de la recherche spatiale, on pourra voyager de planète en planète, et des êtres aux mœurs complètement différentes aborderont notre terre. Que se passera-t-il donc dans la tête et le cœur d’un d’entre eux lorsqu’il verra des humains adultes et vigoureux se jeter sur de petits enfants sans défense et les frapper dans un élan de fureur?
Il est encore très courant aujourd’hui de croire que les enfants ne peuvent pas avoir de sentiments, et d’être persuadé que ce qu’on peut leur faire subir n’a pas de conséquences, ou à la rigueur d’une moindre importance que chez les adultes, justement parce qu’ils sont „encore des enfants“. C’est ainsi que jusqu’à une date récente, les opérations d’enfants sans anesthésie étaient encore autorisées. Plus encore, circoncision et excision sont considérés dans de nombreux pays comme des coutumes traditionnelles légitimes, tout comme les rites d’initiation sadiques..
Frapper des adultes, c’est de la torture, frapper des enfants, c’est de l’éducation. Est-ce que cela ne suffit pas à mettre clairement et nettement en évidence une anomalie qui perturbe le cerveau de la plupart des gens, une “lésion”, un trou énorme à l’endroit où on devrait trouver l’empathie, en particulier ENVERS LES ENFANTS ? Au fond, cette observation suffit à prouver la justesse de la thèse selon laquelle le cerveau de tous les enfants qui ont été frappés en gardent des séquelles, parce que presque tous les adultes sont insensibles à la violence que subissent les enfants !
Etant donné que les tortures que subissent les enfants sont refoulées et niées par tellement de monde, on pourrait supposer que ce mécanisme (de protection) est constitutif de la nature humaine, qu’il épargne des souffrances à l’être humain et joue de ce fait un rôle positif. Mais il y a au moins deux faits qui contredisent cette assertion. Premièrement c’est justement quand les mauvais traitements sont niés qu’ils sont transmis à la génération suivante, empêchant ainsi l’interruption de la chaîne de la violence, et deuxièmement, c’est le rappel à la mémoire de ce qui a été subi qui permet la disparition des symptômes de maladie.
Il est maintenant établi que la mise au jour des souffrances que l’on a subi enfant en présence d’un témoin compatissant conduit à la disparition des symptômes physiques et psychiques (comme la dépression); ce fait nous oblige à nous mettre en quête d’une toute autre forme de thérapie, car ce n’est pas en se faisant l’allié du déni que l’on trouve la voie de la libération, mais en se confrontant à sa propre vérité dans tout ce qu’elle a de douloureux.
A mon sens, les mêmes conclusions s’appliquent à la thérapie des enfants. J’ai longtemps, comme la plupart des gens, été d’avis que les enfants ont absolument besoin d’illusion et de refoulement pour pouvoir survivre, parce qu’il serait bien trop douloureux pour eux de se trouver confrontés à la vérité. Mais aujourd’hui je suis convaincue que ce qui vaut pour les adultes vaut pour eux aussi: celui qui connaît la vérité sur son histoire est protégé des maladies et des troubles de tous ordres. Mais pour cela, l’aide de ses parents lui est indispensable.
Aujourd’hui, de très nombreux enfants présentent des troubles du comportement, et les programmes thérapeutiques sont eux aussi nombreux. Malheureusement, ils reposent en général sur des conceptions pédagogiques selon lesquelles il serait possible et nécessaire d’inculquer adaptation et soumission à l’enfant “difficile“. On a ici à faire à de la thérapie comportementale plus ou moins aboutie, qui consiste en une sorte de “réparation” de l’enfant. Toutes ces variantes ont en commun de taire ou d’ignorer le fait que chaque enfant à problèmes exprime l’histoire des atteintes à son intégrité, qui débute très tôt dans sa vie, comme le montre mon travail d’enquête (voir mon article de 2006 “l’impuissance des statistiques“, (non encore paru en français), entre zéro et quatre ans, alors que son cerveau est en train de se former. La plupart du temps, cette histoire là reste refoulée.
Pourtant on ne peut pas vraiment aider un être meurtri à soigner ses blessures si l’on se refuse à les regarder en face. Fort heureusement, les perspectives de guérison sont meilleures pour un organisme jeune, et c’est également vrai pour le psychisme. Le premier pas à faire serait donc de se préparer à regarder ses blessures en face, à les prendre au sérieux et à cesser de les nier. Cela n’a rien à voir avec une “réparation des troubles“ de l’enfant, il s’agit au contraire de soigner ses blessures par l’empathie et des informations justes et vraies.
Pour que l’enfant arrive à son plein développement émotionnel (sa maturité véritable), il lui faut davantage que l’apprentissage du comportement adapté à la norme. Pour qu’il ne développe plus tard ni dépression ni troubles de l’alimentation, pour qu’il ne tombe pas non plus dans la drogue, il a besoin d’avoir accès à son histoire. Je pense que chez les enfants qui ont connu les coups, les efforts éducatifs et thérapeutiques les mieux intentionnés sont condamnés à terme à l’échec si l’humiliation vécue alors n’a jamais été évoquée, autrement dit si l’enfant reste seul avec ce vécu. Pour soulever la chape que fait peser cette isolation (la solitude face à son secret), les parents devraient trouver le courage d’avouer leur faute à l’enfant. Cela changerait complètement la situation. Lors d’une discussion tranquille, ils pourraient par exemple lui dire:
“Nous t’avons battu quand tu étais encore petit, parce que nous aussi nous avons été éduqués de cette façon là et que nous pensions que c’était ce qu’il fallait faire. Mais maintenant, nous savons que nous n’aurions jamais dû nous autoriser à le faire, et nous sommes désolés de l’humiliation que nous t’avons fait subir et des douleurs que nous t’avons infligées, nous ne recommencerons jamais. Nous te demandons de nous rappeler cette promesse si tu devais juger que nous risquons de l’oublier”.
Il y a déjà 17 pays dans lesquels cette pratique tombe sous le coup de la loi, où elle est tout simplement interdite. Au cours des dernières décennies, de plus en plus de gens ont en effet compris qu’un enfant qui reçoit des coups vit dans la peur, qu’il grandit dans la peur permanente du coup à venir. Cela altère beaucoup de ses fonctions normales. Entre autres choses, il ne sera pas capable plus tard de se défendre en cas d’attaque ou alors la peur provoquera un choc en retour hors de proportion. Un enfant qui vit dans la peur peut difficilement se concentrer sur ses devoirs, tant à la maison qu’à l’école. Son attention est moins concentrée sur ce qu’il doit apprendre que sur le comportement de ses professeurs ou de ses parents, car il ne sait jamais quand leur main va partir. Le comportement des adultes lui semble totalement imprévisible, il doit donc être constamment sur ses gardes. L’enfant perd confiance en des parents qui devraient, comme c’est le cas chez tous les mammifères, le protéger des agressions extérieures, et en aucun cas l’agresser. Mais privé de la confiance en ses parents, l’enfant se sent très insécurisé et isolé parce que toute la société est du côté des parents et non du côté des enfants.
Ces informations ne sont pas pour l’enfant des révélations, car son corps sait déjà tout cela depuis longtemps. Mais le courage des parents et leur décision de ne plus chercher à fuir devant les faits aura sans aucun doute un effet bienfaisant, libérateur et durable. Et c’est un modèle d’une grande importance qui lui est présenté là, pas seulement en paroles, mais dans une attitude faite du courage d’aller au bout de ce qu’on pense, et aussi de respect de la vérité et de la dignité de l’enfant, plutôt que de violence et de manque de maîtrise de soi. Comme l’enfant apprend de l’attitude de ses parents et pas de leurs paroles, il n’y a que des effets positifs à attendre d’un tel aveu. Le secret avec lequel l’enfant était seul a désormais été nommé et intégré dans la relation, qui peut maintenant s’établir sur la base du respect mutuel et non de l’exercice autoritaire du pouvoir. Les blessures tues jusqu’alors peuvent guérir parce qu’elles ne restent pas plus longtemps emmagasinées dans l’inconscient. Quand des enfants informés deviennent à leur tour parents, ils ne courent plus le risque de reproduire de façon compulsive le comportement parfois très brutal ou pervers de leurs parents, ils n’y sont pas poussés par leurs blessures refoulées. Le regret des parents a effacé les histoires tragiques et les a privées de leur potentiel dangereux.
L’enfant battu par ses parents a appris d’eux à réagir par la violence, c’est pour ainsi dire incontestable, et n’importe quel membre du personnel d’un jardin d’enfants pourrait le confirmer s’il s’autorisait à voir ce qu’il a sous les yeux: L’enfant qui reçoit des coups à la maison tape les plus faibles ici comme dans sa famille. Il y reçoit une punition quand il tape sur son petit frère, et il ne comprend rien à la marche du monde. N’est-ce pas ce qu’il a appris des parents? C’est ainsi que naît très tôt un désarroi qui se manifeste sous la forme d’une „perturbation“, et on emmène l’enfant en thérapie. Mais personne ne s’est risqué à s’attaquer aux racines de ce mal, alors que ce serait pourtant si évident.
La thérapie par le jeu avec des thérapeutes dotés d’une forte sensibilité peut certes aider l’enfant à s’exprimer et à prendre confiance en lui dans un cadre protégé et toujours le même. Mais comme le thérapeute fait silence sur les premières blessures reçues dans le passé, l’enfant reste en général seul avec ce qu’il a vécu. Même les plus doués des thérapeutes ne peuvent soulever cette chape si le souci de protéger les parents les fait hésiter à prendre pleinement en compte les blessures des premières années. Mais ce n’est pas eux qui devraient en parler avec l’enfant, parce que cela susciterait aussitôt la peur d’être puni par ses parents. Le thérapeute doit travailler avec les parents seuls et doit leur expliquer en quoi le fait d’en parler pourrait être libérateur pour eux-mêmes et pour l’enfant.
Bien sûr, tous les parents ne vont pas souscrire à cette proposition, même si elle leur est faite par des thérapeutes, ce qui serait évidemment souhaitable. Certains se moqueront sans doute de cette idée et diront que le thérapeute est naïf et ne sait pas à quel point les enfants sont sournois et chercheront certainement à exploiter la gentillesse des parents. Il ne faut pas s’étonner de telles réactions, car la plupart des parents voient dans leurs enfants leurs propres parents et ont peur d’avouer une faute alorsqu’autrefois de lourdes punitions les menaçaient pour toutes fautes. Ils se cramponnent au masque de leur perfection et il est fort probable qu’ils soient incapables de se corriger.
Je veux cependant croire que tous les parents ne sont pas d’incorrigibles cuistres. Je pense que malgré cette peur, il y a beaucoup de parents qui aimeraient bien renoncer à ce rapport de pouvoir, qui avaient depuis longtemps la volonté d’aider leurs enfants mais qui jusqu’alors ne savaient pas comment faire, car ils éprouvaient de la crainte à l’idée de s’ouvrir sincèrement à eux. Il est très vraisemblable que ces parents arriveront plus facilement à s’imposer une discussion franche sur le “secret“ et que c’est par la réaction de leur enfant qu’ils feront l’expérience des effets positifs de la révélation de la vérité. Ils constateront alors par eux-mêmes comme les valeurs que l’on prêche autoritairement d’en haut sont inutiles comparées à l’aveu sincère de ses fautes, condition indispensable pour que l’adulte se voie conférer la véritable autorité, parce qu’il est crédible. Il va de soi que tout enfant a besoin d’une telle autorité pour trouver son chemin dans le monde. Un enfant à qui l’on a dit la vérité, qui n’a pas été éduqué à s’accommoder des mensonges et des atrocités, peut développer toutes ses potentialités, comme une plante dans de la bonne terre dont les racines ne sont pas la proie des bêtes nuisibles (les mensonges).
J’ai essayé de tester cette idée sur des amis, j’ai demandé à des parents, mais aussi à des enfants, ce qu’ils en pensaient. Très souvent j’ai fait le constat que j’étais mal comprise, que mes interlocuteurs interprétaient mon propos comme s’il était question d’excuses de la part des parents. Les enfants répondaient qu’il fallait bien être capable de pardonner aux parents, etc. Mais mon idée est très éloignée de cela. Si les parents s’excusent, les enfants peuvent avoir le sentiment que l’on attend d’eux un pardon pour décharger les parents et les libérer de leurs sentiments de culpabilité. Ce serait trop demander à l’enfant.
En revanche, ce que j’ai en tête, c’est une information qui confirme ce que l’enfant sait dans sa chair et accorde la place centrale à ce qu’il a vécu. C’est l’enfant qui est en gros plan, avec ses sentiments et ses besoins. Quand l’enfant remarque que les parents s’intéressent à ce qu’il a ressenti lors de leurs débordements, il vit un moment de grand soulagement en lien avec une sensation confuse de justice… Il ne s’agit pas ici de pardon, mais de l’évacuation de secrets qui séparent. Il s’agit de construire une relation nouvelle, fondée sur la confiance mutuelle, et de soulever la chape qui isolait jusqu’alors l’enfant battu.
Une fois que du côté des parents la reconnaissance de la blessure a eu lieu, beaucoup de voies obstruées se dégagent, en un processus de guérison spontané. C’est des thérapeutes que l’on attend en fait un tel résultat, mais sans le concours des parents ils ne peuvent y parvenir.
Quand les parents s’adressent à l’enfant avec bienveillance et respect, et reconnaissent sincèrement leur faute, sans dire: “c’est toi qui nous a poussés à ça par ton comportement“, beaucoup de choses changent. L’enfant a reçu des modèles qui lui permettent de trouver son chemin, on n’essaye plus d’éviter les réalités, l’objectif n’est plus de le „réparer“ pour qu’il plaise mieux aux parents, on lui a montré qu’on peut mettre la vérité en mots et que l’on peut sentir sa puissance curative. Et surtout: il n’a plus à se sentir coupable des manquements de ses parents une fois qu’ils ont reconnu leur culpabilité. Chez les adultes, de tels sentiments de culpabilité forment ordinairement le socle d’innombrables dépressions.
© 2014 Alice Miller – tous droits réservés.