DISSOCIAZIONE: L’UNICA VIA DI FUGA DA UNA REALTÀ TROPPO PENOSA

DISSOCIAZIONE: L’UNICA VIA DI FUGA DA UNA REALTÀ TROPPO PENOSA

Di Chiara Martorelli


La dissociazione è un meccanismo di difesa comunemente conosciuto come un’alterazione dello stato di coscienza. È un termine utilizzato abitualmente per indicare situazioni in cui ci si separa, per così dire, dalla realtà, per esempio durante una lezione noiosa, quando con il corpo si sta seduti nel proprio posto, ma con la mente si viaggia altrove, oppure nel compiere dei classici automatismi come quelli alla guida della macchina.

Nell’ambito clinico la dissociazione è qualcosa che va oltre il semplice stare sovrappensiero durante una lezione noiosa: “Le molte definizioni del fenomeno della dissociazione, presenti nella letteratura clinica, si riferiscono, in generale, alla perdita, da parte del soggetto, della capacità di integrare o associare informazioni o significati delle esperienze vissute in modo mediamente prevedibile”. (Albasi, 2006) Prendiamo in considerazione un ragazzo che è stato fin dall’infanzia vittima di continue vessazioni e maltrattamenti fisici da parte dei genitori e che, in adolescenza, si ritrova di continuo immischiato in colluttazioni o altre circostanze altamente rischiose senza riuscire a spiegarsi il perché, magari affermando di aver avuto una bella infanzia, senza rendersi conto, proprio per via della dissociazione, che ciò che ha vissuto da bambino ha un significato e un ruolo cruciale negli avvenimenti attuali.

Lingiardi (2004) definisce la dissociazione come “ una separazione verticale […] così che i contenuti mentali vengano a trovarsi in una serie di coscienze parallele. La dissociazione, che implica un’alterazione dello stato di coscienza, è una risposta all’evento traumatico, ma una volta mobilizzata può essere riattivata da desideri e aspettative.”  Questo significa che una volta che il soggetto si dissocia da una realtà troppo dolorosa da sopportare, come il lutto per la morte del padre per una bambina, la dissociazione non rimane circoscritta a quell’unico evento, ma l’individuo può essere soggetto a stati dissociativi successivi, che possono anche compromettere la vita sociale o lavorativa. In questo caso, ad esempio, la bambina ormai adulta, si può ritrovare a compiacere le assurde richieste lavorative di un uomo, che somiglia tanto al padre perduto, come se improvvisamente, evadendo dalla realtà, si ritrovasse ad essere quella bambina che si ritrova davanti al proprio genitore da assecondare.

Questo meccanismo agisce impedendo al soggetto di creare dei collegamenti rispetto ai propri vissuti, cosicché non è raro che esso si ritrovi in balia dei propri agiti, senza riuscire, proprio per la mancata connessione di significati, a spiegare come i suoi impulsi o le azioni siano possibili.

La dissociazione ha un legame profondo con il trauma, è quel meccanismo che permette al soggetto di non finire in mille pezzi quando si trova davanti a un’esperienza devastante come quella dell’abuso e che, allo stesso tempo, pur essendo una salvezza momentanea, ha un prezzo da pagare: l’individuo è come in catene, legato a esperienze dolorose che vede ripetersi senza “se” e senza “ma”, inconsapevolmente strette a quel tragico evento che ha segnato la sua vita.

Le memorie traumatiche continueranno a tormentare il soggetto sotto forma di ossessioni, paure, sintomi somatici e ansia.

Steiner (1993) utilizza il termine di “rifugi della mente” per indicare quei luoghi dove i soggetti fuggono per sopravvivere a situazioni eccessivamente dolorose, ma che spesso, non sono sufficienti per evitare comunque loro di soffrire. La dissociazione ha, infatti, una funzione in un certo qual modo protettiva, il soggetto evade dalla realtà e costruisce una fantasia nella quale si sente effettivamente più al sicuro, ma oltre che creare un “rifugio”, l’utilizzo di questo meccanismo ha un risvolto meno salutare, in quanto il soggetto che si trova in uno stato dissociativo può compiere azioni che risultano inefficaci o addirittura ledono gravemente la sua incolumità.

Contrariamente alla dissociazione, la rimozione è quel meccanismo di difesa che consente di rimuovere dalla consapevolezza, dei contenuti che possono definirsi come rappresentazioni di esperienze che in un modo o nell’altro sono passate per un’elaborazione consapevole, e solo in un secondo momento, rimosse. Nel caso della dissociazione, come afferma Albasi (2009), si tratta di esperienze che non hanno avuto modo di essere elaborate e di connessioni che non sono mai state formate, ma interrotte in anticipo dall’esperienza del trauma.

Uno degli eventi senza dubbio più traumatici, nel quale può agire la dissociazione è l’abuso sessuale. Quando si verifica un abuso sessuale intrafamiliare, colui che dovrebbe aiutare il bambino a costruire i significati delle proprie esperienze, proteggere e accudire, ovvero il genitore, è invece proprio colui che abusa. D’altra parte anche il genitore non collusivo (in genere la madre) non s’accorge spesso dello svolgersi dell’abuso rimuovendo o negando i segnali di malessere del bambino e non dando attenzione alle sue comunicazioni implicite o esplicite.

L’abuso sessuale, come ci ricorda Albasi (2009), paralizzante e terrificante, genera un’estrema confusione nel bambino che non ha ancora gli strumenti per attribuire un significato all’episodio, né per governare le forti correnti di eccitazione indotte dalla seduzione dell’adulto. Il bambino ha un estremo bisogno di regolazione di quegli stati interni di paura ed eccitazione che con l’esperienza di sessualizzazione traumatica hanno invaso il campo mentale della piccola vittima. Il genitore, con fare perverso e manipolatorio, può dire al piccolo che quello è un “regalo”, qualcosa che lo rende speciale, aumentandone il timore e la confusione. Ciò che rende il tutto ancora più inspiegabile è che al di là dell’abuso, tutto nella vita quotidiana continua come se nulla fosse successo. L’abuso si mescola alla ricerca di tenerezza da parte del bambino, che trova invece dall’altra parte, la ricerca di un contatto sessuale (Ferençzi, 1932). Ciò che da l’impressione di risultare assurdo, una dimensione di “non realtà” non può essere pensato, non può essere comunicato, quel dolore senza significato che non può essere tradotto. Manca al bambino quel registro linguistico che potrebbe permettergli di comprendere ciò che gli è accaduto. Tutto intorno a lui suggerisce che non è successo nulla, e perciò proprio quel “nulla” non può essere mentalizzato e narrato, la paura principale è quella di sembrare folle agli occhi degli altri.

La dissociazione impedisce il crearsi di rappresentazioni connotate affettivamente, è come se interrompesse la comunicazione e impedisse che di quell’evento possano essere create delle narrazioni. Il trauma diventa inesprimibile. Dissociarsi da quella realtà così dolorosa diviene l’unica via di fuga, ma porta con sé un carico silente ma attivo, quello del trauma. È proprio in questi casi che “la persona non è in grado di costruire …la memoria narrativa dell’evento” (Van Der Kolk, Van Der Hart, 1989) e finché non sarà in grado di narrare le proprie memorie traumatiche, queste si ripresenteranno sotto forma di sintomi in una spirale dove il trauma viene ripetuto con la speranza di cambiarne l’esito.

Solo l’ascolto empatico e l’accompagnamento terapeutico può consentire alla vittima di superare le difese dissociative, aiutandola a riattraversare emotivamente e narrativamente l’esperienza traumatica, favorendo così la riemersione delle istanze, delle emozioni, dei ricordi traumatici dissociati (Foti, 2011).

Uscire dall’inferno del trauma è possibile solo quando la vittima può riprendere contatto con la realtà inesprimibile dell’esperienza traumatica che ha bisogno ha bisogno di essere esplorata e di entrare nella memoria narrativa. Per quanto dolorosa, questa è l’unica via possibile per creare quelle connessioni interrotte dalla dissociazione e dal trauma.

Fonti:

–       Albasi C., (2006), Attaccamenti traumatici, i modelli operativi interni dissociati. Milano: Utet.

–       Albasi C., (2009), Psicopatologia e ragionamento clinico. Milano: Raffaello Cortina editore.

–       Ferençzi, (1932), , Confusione di lingue tra gli adulti e il bambino. Il linguaggio della tenerezza e il linguaggio della passione, in Operevol. IV, Cortina, Milano, 2002

–       Foti, C. (2011), Lettere dal trauma, Sie edizioni: Pinerolo.

–       Lingiardi V., (2004) ,La personalità e i suoi disturbi. Milano: IL Saggiatore.

–      Van Der Kolk B. A., Van Der Hart O., (1989), Pierre Janet and breackdown of adaptation in psychological trauma,American Journal of Psychiatry, 146, pp. 1530-40

–       Steiner J., (1993), I rifugi della mente. Torino: Bollati Boringhieri 1996.