27 Gen GIORNATA DELLA MEMORIA. I LAGER NEL RISORGIMENTO ITALIANO di Francesco MONOPOLI
Ci sono alcune pagine della nostra storia di deportazioni e violenze di massa, senza dubbio assai più circoscritte di quelle che si sono verificate nel genocidio degli ebrei, ma che comunque devono ancora essere pienamente recuperate da una memoria storica consapevole. Il negazionismo non è soltanto quello che ha cercato e cerca di nascondere lo sterminio programmato dal nazismo, ma in forme meno eclatanti impedisce di ricostruire alcune vicende del nostro passato, anche di quel passato che sembra caratterizzato da nobili ed eroici ideali.
Stefania Maffeo in un lungo articolo affronta un argomento storico alquanto scomodoed indigesto, quello dei lager utilizzati dai Savoia per meglio rabbonire coloro che si opponevano all’annessione piemontese. (http://cronologia.leonardo.it/storia/a1863b.htm)
La fortezza di Fenestrelle fu uno dei più famosi per la durezza e la spietatezza del sistema carcerario post unitario come si evince dallo stralcio dell’articolo:
Quelli deportati a Fenestrelle, fortezza situata a quasi duemila metri di altezza, sulle montagne piemontesi, sulla sinistra del Chisone, ufficiali, sottufficiali e soldati (tutti quei militari borbonici che non vollero finire il servizio militare obbligatorio nell’esercito sabaudo, tutti quelli che si dichiararono apertamente fedeli al Re Francesco II, quelli che giurarono aperta resistenza ai piemontesi) subirono il trattamento più feroce.
Fenestrelle più che un forte, era un insieme di forti, protetti da altissimi bastioni ed uniti da una scala, scavata nella roccia, di 4000 gradini. Era una ciclopica cortina bastionata cui la naturale asperità dei luoghi ed il rigore del clima conferivano un aspetto sinistro. Faceva tanto spavento come la relegazione in Siberia. I detenuti tentarono anche di organizzare una rivolta il 22 agosto del 1861 per impadronirsi della fortezza, ma fu scoperta in tempo ed il tentativo ebbe come risultato l’inasprimento delle pene con i più costretti con palle al piede da 16 chili, ceppi e catene.
Erano stretti insieme assassini, sacerdoti, giovanetti, vecchi, miseri popolani e uomini di cultura. Senza pagliericci, senza coperte, senza luce. Un carcerato venne ucciso da una sentinella solo perché aveva proferito ingiurie contro i Savoia. Vennero smontati i vetri e gli infissi per rieducare con il freddo i segregati. Laceri e poco nutriti era usuale vederli appoggiati a ridosso dei muraglioni, nel tentativo disperato di catturare i timidi raggi solari invernali, ricordando forse con nostalgia il caldo di altri climi mediterranei.
Spesso le persone imprigionate non sapevano nemmeno di cosa fossero accusati ed erano loro sequestrati tutti i beni. Spesso la ragione per cui erano stati catturati era proprio solo per rubare loro il danaro che possedevano. Molti non erano nemmeno registrati, sicché solo dopo molti anni venivano processati e condannati senza alcuna spiegazione logica.
Pochissimi riuscirono a sopravvivere: la vita in quelle condizioni, anche per le gelide temperature che dovevano sopportare senza alcun riparo, non superava i tre mesi. E proprio a Fenestrelle furono vilmente imprigionati la maggior parte di quei valorosi soldati che, in esecuzione degli accordi intervenuti dopo la resa di Gaeta, dovevano invece essere lasciati liberi alla fine delle ostilità.
Dopo sei mesi di eroica resistenza dovettero subire un trattamento infame che incominciò subito dopo essere stati disarmati, venendo derubati di tutto e vigliaccamente insultati dalle truppe piemontesi.
La liberazione avveniva solo con la morte ed i corpi (non erano ancora in uso i forni crematori) venivano disciolti nella calce viva collocata in una grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva all’ingresso del Forte. Una morte senza onore, senza tombe, senza lapidi e senza ricordo, affinché non restassero tracce dei misfatti compiuti. Ancora oggi, entrando a Fenestrelle, su un muro è ancora visibile l’iscrizione: “Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce”. (ricorda molto la scritta dei lager nazisti…)
Il periodo storico dell’800 è stato una sorta d’incubatrice di una corrente razzista/nazionalista che ha generato le grandi tragedie del ‘900 (colonialismo, genocidio armeno, Shoah, le diverse persecuzioni/genocidi perpetrati dall’Unione Sovietica, la Cina Maoista, Pol Pot in Cambogia, ecc).
La coscienza nazionale rimane indisponibile ad accettare che anche il romanzato processo di cosiddetto risorgimento è stato impregnato di questo brodo culturale.
Esiste ormai da tempo un forte movimento sul tema attraverso pubblicazioni che hanno riscosso successo e consenso(vedasi “Terroni” di Pino Aprile), ma questo ha prodotto una reazione sdegnata di moltissime persone, storici in primis, che si sono affrettati subito a volere gridare al complotto con produzioni scientifiche/interviste, che hanno lo scopo di dimostrare che “ciò non può essere perché noi non eravamo i nazisti”.
http://www.lastampa.it/2012/10/21/cultura/ma-fenestrelle-non-fu-come-auschwitz-ofDf0w18KemglYXas6yWQM/pagina.html
Sarebbe troppo lungo aprire un dibattito storico in queste poche righe, se a qualcuno interessa credo possa essere illuminante il confronto tra il Prof. Gennaro De Crescenzo e il prof. Alessandro Berbero sul tema per farsi un’idea più completa https://www.youtube.com/watch?v=2aZ4GJ7GWmo.
Ciò che mi colpisce è che lo stesso atteggiamento di negazione dello stragismo risorgimentale ha creato il mito degli “Italiani brava gente” per cui non è possibile discutere apertamente delle atrocità che i nostri avi hanno compiuto in Libia, nel campo di concentramento di Rab (definita la nostra Auschwitz dimenticata), degli eccidi in Slovenia, Montenegro, Grecia e Albania, delle arme chimiche e il bombardamento della croce rossa effettuati in Etiopia…
Abbiamo bisogno di allontanare da noi l’idea che tutto ciò possa essere stato, che i nostri soldati possano essersi davvero resi protagonisti di tanto orrore, quasi che la violenza distruttiva possa avere accompagnato le azioni militari degli altri e non anche le nostre.
E se il (relativamente) lontano passato che ha così caratterizzato la fondazione della nostra storia di nazione è stato rimosso come potrà mai esserci spazio per ciò che di nefasto ha colpito la nostra tribolata nazione?Ma si colgono comunque segni di speranza … il negazionismo può essere contrastato e può maturare una consapevolezza che il nostro Risorgimento non è stato solo quello che si studia a scuola e quello che la retorica nazionalista ha enfatizzato…
Si prenda la vicenda di Pontelandolfo e Casalduni, due piccoli paesi campani situati nella zona beneventana.
I Bersaglieri del Regio esercito compirono una strage per diritto di rappresaglia su questi due piccoli paesi (i cui abitanti avrebbero dovuto essere considerati in teoria fratelli d’Italia) in risposta ad un attacco subito da parte di Briganti e contadini del posto, un attacco in cui le truppe piemontesi avevano subito la perdita di 40 soldati.
Il Generale Cialdini dette l’ordine al Colonnello Pier Eleonoro Negri e al maggiore Melegari agendo come riportato nelle memorie di Carlo Margoldo, un soldato allora presente:
Al mattino del giorno 14 (agosto) riceviamo l’ordine superiore di entrare a Pontelandolfo, fucilare gli abitanti, meno le donne e gli infermi (ma molte donne perirono) ed incendiarlo. Entrammo nel paese, subito abbiamo incominciato a fucilare i preti e gli uomini, quanti capitava; indi il soldato saccheggiava, ed infine ne abbiamo dato l’incendio al paese. Non si poteva stare d’intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli cui la sorte era di morire abbrustoliti o sotto le rovine delle case. Noi invece durante l’incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava…Casalduni fu l’obiettivo del maggiore Melegari. I pochi che erano rimasti si chiusero in casa, ed i bersaglieri corsero per vie e vicoli, sfondarono le porte. Chi usciva di casa veniva colpito con le baionette, chi scappava veniva preso a fucilate. Furono tre ore di fuoco, dalle case venivano portate fuori le cose migliori, i bersaglieri ne riempivano gli zaini, il fuoco crepitava.
Il colonnello Negri ebbe una medaglia d’oro al valor militare per quanto compiuto ed un cippo a Vicenza in cui veniva deposta ogni anno una corona di fiori: ovviamente ogni tentativo dell’epoca di far luce su quanto accaduto fu messo a tacere e la memoria dunque fu perduta.
Eppure nel 2011 una volta che la memoria torna a galla l’allora sindaco di Vicenza raccolto le informazioni e accertata la verità storica decide di dedicare una delle vie principali della città (quella che porta al tribunale) via Pontelandolfo, partecipando all’annuale commemorazione nei paesi oggetto della strage per chiedere scusa a nome di Vicenza per quanto accadde senza alcuna giustificazione.
Lo stesso stato italiano nel 2011 partecipa alla commemorazione a Pontelandolfo http://www.corriere.it/unita-italia-150/11_agosto_16/stella_pontelandolfo_0226ea0a-c7f2-11e0-9dd1-bf930586114f.shtml dove Giuliano Amato, a nome del presidente della Repubblica, porge le scuse per questa inutile strage.
http://venetoius.it/senza-categoria/vicenza-chiede-perdono-a-pontelandolfo-per-la-strage-del-14-agosto-1861
Certo nella celebrazione del centocinquantesimo dell’unità questa vicenda storica avrebbe meritato ben altro risalto, ma mi piace pensare che il cammino di accettazione di ciò che è stato è inevitabilmente lento, ma procede.
A noi la voglia e la forza di volere vedere, sapere, accettare che la violenza sui più deboli fa parte anche della nostra storia con la speranza di poter lasciare questo grigio passato nel passato, provando a vivere un presente diverso per costruire un futuro migliore.