I BAMBINI E GLI ADOLESCENTI SOLI. SCUOLA E SERVIZIO SOCIALE di Francesco MONOPOLI

I BAMBINI E GLI ADOLESCENTI SOLI. SCUOLA E SERVIZIO SOCIALE di Francesco MONOPOLI

Proviamo a visualizzare una ragazza adolescente che sta rientrando dal supermercato del quartiere in bicicletta con una borsa della spesa in una giornata qualunque. Frettolosamente si avvia a salire le scale perché vuol preparare una veloce colazione prima di andare a scuola. Risponde tanto cordialmente quanto in modo distaccato con un cenno di saluto a coloro che incrocia lungo il pianerottolo. Curioso che solo pochi attimi prima, mentre stava appoggiando la bicicletta nell’androne, la ragazza avesse ispezionato il cestino dei rifiuti raccogliendo un contenitore delle uova. Proprio strani questi ragazzi, chissà cosa gli passa per le mente… e per fortuna che aveva fretta e non ha il tempo nemmeno di rispondere al vicino di casa che le ha chiesto come stesse…La ragazza entra in casa e ripone la spesa in cucina iniziando a cucinare un paio di uova strapazzate, mentre pian piano il sottofondo della televisione viene sovrastato da una crescente disturbante discussione tra persone che litigano, con oggetti che cadono, minacce, urla …

girl-218706_640.jpgdentro

Incredibile come tutto ciò lasci imperturbabile la ragazza: sembra abituata ad un simile contesto. Poi ripone le uova restanti in frigo, mentre dal corridoio si scorge sempre più nitidamente quella che appare l’ennesima lite furente tra i genitori, noncuranti della presenza in cucina della figlia e nel corridoio antistante dell’altro figlioletto di massimo due anni per il momento intento a giocare. Poi qualcosa cambia: il bambino di pochi anni inizia a piangere di fronte all’incalzare del litigio e diventa impossibile ignorare tutta questa violenza degli adulti che si offendono e si minacciano, nonostante ancora non si siano picchiati. La ragazza rinuncia a mangiare le uova appena cucinate ma si nasconde la confezione vuota sotto la maglia e prende il fratellino piangente, dirigendosi verso la propria camera: sale su per una scala che conduce ad un armadio rialzato e si chiude dentro con lui.  

Tutto il vano dell’armadio è stato insonorizzato con le confezioni delle uova! Mancava giusto un ultimo pezzo che ora è stato inserito: finalmente la pace, la protezione e in effetti anche il fratellino non piange più. Ecco a cosa servivano le confezioni delle uova! I bambini riescono ad isolarsi in un ambiente insonorizzato. Tra poco saranno pronti per andare a scuola, per ricominciare una giornata come tante, con la certezza di avere creato fisicamente tra se e il mondo quelle barriere che li possono proteggere dal sentire il frastuono dei genitori che litigano, il dolore e l’impotenza che ne conseguono e per non essere visti da nessuno. Questa scena è il tentativo di descrivere il contenuto di un cortometraggio di Alessandro Celli dal titolo “Uova – scrambled” e la cui visione ha sempre un impatto fortissimo e senza dubbio maggiormente evocativo di questa descrizione.

Se si vuole provare a ragionare sul perché esista una distanza tra Scuola e Servizio Sociale e se abbia realmente senso/utilità colmarla non possiamo che partire da questa ragazza, dalla sua drammatica quotidianità rimasta così inascoltata, così non accettata e non vista da nessuno del mondo adulto educante. Molto difficilmente siamo in grado di focalizzare e mentalizzare quanto l’incontro tra Scuola e Servizio Sociale presupponga come primo dato disturbante la presentificazione della sofferenza di quei minori che sono anche alunni e/o utenti.

Innanzitutto agiscono tutti i pregiudizi che ambo i mondi hanno strutturato sulla base di tante esperienze quotidiana e di questo momento di crisi che investe la società e a caduta il sistema educante e dei servizi.

SCUOLA: “Non posso occuparmi di sempre queste cose” , “Se dovessi segnalare tutto quello che succede avrei quasi l’intera classe coinvolta”, “Chi mi tutela?”,  “E se poi mi sbaglio rovino una famiglia?”, “Non riesco mai a mettermi in contatto con l’Assistente Sociale”, “Ma sono poi obbligato a segnalare?”.

SERVIZIO SOCIALE:  “Le insegnanti se ne fregano dei loro alunni” “Non è possibile che non vedano mai niente”, “La legge li obbliga a fare la segnalazione” , “Se non veniamo chiamati significa che va tutto bene

Già da questo elenco di opinioni contrapposte possiamo notare come sia facile  a giustificare la distanza tra il servizio sociale e la scuola focalizzandoci su altri temi quali la scarsità di risorse, i percorsi formativi universitari diversi, la differenza di obbiettivi, mission e funzione, oltre ad esperienze antecedenti di scarsa collaborazione, ecc.   Queste diversità non sono certamente trascurabili, ma rischiano di determinare una chiusura nel ruolo e nelle funzione alimentando un dibattito sterile e auto protettivo, realizzando una forma di difesa che allontana la possibilità di cogliere e ascoltare la realtà di sofferenza che in modo oserei dire pandemico caratterizza la condizione minorile.

Se vogliamo superare questa situazione di difesa del ruolo dobbiamo provare a muoverci su di un paradigma che superi l’approccio “multidisciplinare” verso una modalità d’ intervento “transdisciplinare” .  Troppo spesso i servizi coinvolti nei compiti di cura, educazione, protezione del minore sono abituati a pensarsi come mondi separati e poco inclini alla condivisione.  Il rischio concreto è di immaginare il minore esclusivamente come paziente, utente, alunno o soggetto a cui è indirizzato un provvedimento a seconda del tipo di Servizio. Gli eventuali contesti multidisciplinari sociosanitari (ammesso si riesca ad attivarli) rischiano di essere pensati per definire l’eventuale prevalenza di una di queste dimensioni (“questo bambino è più paziente psichiatrico”, “è più disagio sociale”, ecc) e i tipi d’intervento da attuare, anche se troppo spesso diventano funzionali per sancire una non competenza.

Quando i Servizi Sociali e Sanitari, così come la Scuola, accettano di mettere al centro il minore nella sua problematicità di alunno, paziente, utente,ecc si viene a creare quella che Mariastella D’Andrea definisce la “zona grigia di confine” in cui tutti gli attori coinvolti sono chiamati a stare, ciascuno con la propria specificità, ma senza irrigidirsi nel ruolo. Questa prospettiva transdisciplinare non significa annullamento delle differenze né sostituzione di ruolo, quanto piuttosto la necessità di accettare di potere concorrere insieme nell’ascolto dei bisogni che i minori portano nella loro dimensione di alunno/paziente/utente/potenziale destinatario di provvedimento da parte dell’A.G.   Nell’esperienza avvenuta nell’Unione dei Comuni della Val d’Enza (RE) si è tentato di applicare questa diverso approccio attraverso l’istituzione dello sportello Socio Educativo Scolastico.

A partire dal 2011 il Servizio Sociale e i Dirigenti degl’istituti Comprensivi dell’Unione dei Comuni della Val d’Enza avevano approvato un protocollo operativo di procedure rispetto al tema della segnalazione di alunni in situazione di sospetto maltrattamento e/o abuso. Nell’ambito dell’istituzione scolastica questo documento non veniva di fatto trasmesso ai docenti delle varie scuole di ordine e grado dei territori comprendenti l’Unione dei Comuni, rimanendo disatteso.

I tentativi fatti dal Servizio Sociale di presentare il protocollo al corpo docente avvengono prevalentemente in plenarie composte da “figure strumentali” del disagio, incentrandosi sul “dovere/obbligo” di segnalazione. Questa modalità di chiusura nel ruolo e nel “dovere” fa si che distanza/pregiudizio rimangono altissimi e che la collaborazione venisse lasciata alla buona volontà del singolo docente, nonostante fosse sottoscritta la possibilità di attivare la consulenza del servizio in maniera preventiva. Come uscire da questo impasse? Come colmare una distanza che in modo burocratico non si è riusciti minimamente a scalfire e che anzi, in un certo senso, ha trovato nuovo materiale per acuirsi?

Parallelamente alla creazione del protocollo il Servizio Sociale riorganizza la funzione educativa che passa da domiciliare a territoriale.  Questo cambio di visione circa la funzione determina l’attivazione dell’educatore nei progetti di comunità trasversali anche con la scuola; proprio per questo motivo all’educatore territoriale viene delegato il ruolo di referente per il Servizio nei rapporti con le istituzioni scolastiche per i diversi casi in carico.

Tutto questo favorisce l’instaurarsi di una relazione con le figure di coordinamento della scuola e creare un ponte con il Servizio a partire dai casi in carico. Spontaneamente e su richiesta della scuola questa forma di collaborazione viene allargata anche per situazioni di alunni non in carico ai servizi sociali, portando progressivamente a vedere l’ aumento della richieste di consulenza e l’incremento del numero di alunni segnalati.

L’USCITA DAL RUOLO FAVORISCE L’ACCETTAZIONE DI CIÒ CHE CI DISTURBA: la relazione di fiducia che si viene a creare tra i diversi operatori della zona grigia permettono innanzitutto di legittimarsi per potere discutere di alcune situazioni dei bambini con una diversa consapevolezza.

1) Accettare che esiste la sofferenza dei bambini.

2) Rinunciare alla ricerca esclusiva di una diagnosi per comprendere il comportamento che disturba.

3) Rinuncia all’onnipotenza che genera frustrazione e solitudine (es. “il bambino a scuola è protetto durante il giorno, perché segnalarlo”, “il mio alunno non può fare questo, con me mai”, ecc.).

Questa esperienza ancora tutta in divenire e non priva di oggettive fatiche e arretramenti ci da però modo di vedere abbozzato la strada da percorrere al fine di trovare una giusta distanza tra Servizio Sociale e Scuola. Tutto questo diventa possibile e realtà concreta nel momento in cui gli operatori del Servizio Sociale e delle Istituzioni Scolastiche iniziano a condividere il dubbio per rompere la solitudine, prendendo atto dell’esistenza di reciproche rappresentazioni negative, senza però stancarsi di rimettere al centro il benessere del bambino. Solo in questo modo si assiste ad una progressiva condivisione di un sapere tecnico che diventa comune, pur nella differenza di ruoli e funzioni, considerando comunque l’importanza della dimensione emotiva sollecitata sia negli insegnanti che negli assistenti sociali dall’impatto con le informazioni disturbanti che trasmettono i bambini a disagio.

Certamente la capacità di riuscire ad riconoscere e ascoltare la sofferenza dei nostri bambini, la volontà di scommettere nella prospettiva dell’ “area grigia” uscendo dal ruolo e di superare le barriere che mettiamo nell’incontro tra servizi comporta una certezza: complicare la nostra vita professionale. Nell’altrettanta certezza che dal momento in decidiamo o meno se/come impegnarci la sofferenza, i maltrattamenti e gli abusi esisteranno lo stesso e con esso in qualche modo ci dovremo fare i conti.