IL DRAMMA DELLA BAMBINA IPER-RESPONSABILE

IL DRAMMA DELLA BAMBINA IPER-RESPONSABILE

Di Ludovico De Albertis


Proviamo ad immaginare la storia di una donna che è riuscita, grazie alle sue notevoli capacità ed al suo perfezionismo, ad ottenere molteplici successi e riconoscimenti nell’ambito lavorativo. Affermata all’interno della propria organizzazione, gode della stima e dell’ammirazione di colleghi e clienti.

Ella, madre di tre figli, potrebbe dedicare gran parte della sua giornata al lavoro e alle preoccupazioni che da esso derivano. Una delle fortune della sua vita potrebbe essere la figlia di 14 anni, Giorgia, ragazzina che l’ha sempre sostenuta, che le fa trovare la cena pronta quando torna a casa la sera, che, senza bisogno di chiedere, le ha già stirato la camicia che tanto le piace quando deve presenziare ad una riunione importante. Ed è sempre la sua bimba “perfetta” a prendersi cura dei fratellini più piccoli: è lei che è capace di aiutarli a fare i compiti nel pomeriggio, magari rinunciando ad uscire con le amiche, è lei che li consola quando la sera piangono perché vorrebbero giocare con mamma e papà e non con la tata, ed è lei che non reagisce se, ricordando alla mamma che bisogna comprare i pannolini per il più piccolo, si sente rispondere un rabbioso “non è che posso fare tutto io!”.

La stessa mamma potrebbe lodare, quando parla con amiche e amici, la sua brava figlia: “La mia bambina è per me fonte di grande orgoglio!! Dovreste vedere come nelle serate in cui sono un po’ stanca è sempre disposta ad ascoltarmi, lei capisce il peso che è per me il lavoro e mi sostiene! A scuola poi è bravissima, non si lamenta mai e porta a casa ottimi risultati”.

Immaginandoci questa storia, se ci identifichiamo con Giorgia, potremmo rimanere interdetti: non ha bisogno anche lei di piangere quando mamma e papà la lasciano da sola? Perché non si arrabbia quando la mamma le risponde infastidita dopo che lei ha passato il pomeriggio a prendersi cura dei fratelli e della casa? Non sente una forte gelosia nei confronti dei colleghi o dei clienti che le portano via la mamma ogni mattina? Non sente lei il bisogno di essere amata e considerata dalla sua mamma tanto impegnata?

Per rispondere a queste domande Alice Miller consiglia di partire dalla seguente premessa: “Un bisogno primario del bambino è quello di essere considerato e preso sul serio sin dall’inizio per quello che lui è in ogni momento della sua crescita.  Con l’espressione “quello che il bambino è di volta in volta” intendo i sentimenti, le sensazioni e la loro espressione, già nel lattante.” (Miller, 1996, p.13)

Condizione necessaria per uno sviluppo sano della ragazzina sarebbe aver avuto, fin dalla nascita, una mamma disponibile a comprendere e ad accettare le sensazioni e le emozioni della piccola, capace di farla sentire amata per come lei è in ogni momento.

Continua però Alice Miller: “Affinché siano possibili queste premesse di un sano sviluppo, anche i genitori sarebbero dovuti crescere in un clima analogo […]. I genitori che non hanno goduto di tale clima vivono in uno stato di carenza emotiva, il che significa che cercheranno per tutta la vita ciò che i loro genitori non hanno potuto dare al momento giusto, qualcuno che si interessi totalmente a loro, che li capisca fino in fondo e li prenda sul serio.” (Miller, 1996, p.14)

Chi meglio del proprio bambino, totalmente dipendente e per ciò predisposto biologicamente alla disponibilità, potrebbe assumere questo ruolo? “A tale scopo si presentano, più di chiunque altro, i propri figli. Nella buona e nella cattiva sorte il neonato dipende dai genitori. E poiché la sua esistenza è legata alle cure parentali, farà di tutto per non restarne privo.” (Miller, 1996, p.14)

È in questo tentativo di conservare a tutti i costi l’amore materno che possiamo trovare una risposta alle nostre domande:

“Nella primissima infanzia, per conformarsi alle aspettative di chi si prende cura di lui, il bambino deve rimuovere il suo bisogno di amore, attenzione, sintonia […]” continua poi: “Deve anche reprimere le sue reazioni ai pesanti rifiuti che riceve, il che porta all’impossibilità di vivere determinati sentimenti (per esempio i sentimenti di gelosia, invidia, ira, abbandono, impotenza, paura) nell’infanzia e poi nell’età adulta.” (Miller, 1996, p.15)

Ritornando alla nostra storia potremmo ipotizzare che la mamma abbia portato nella relazione con sua figlia i bisogni della bimba che è stata e che non hanno trovato, in tenera età, lo spazio per essere riconosciuti ed espressi.

Proprio questa richiesta inconsapevole di amore, attenzione e considerazione, intercettata da Giorgia fin dalla primissima infanzia, avrebbe influenzato notevolmente il suo sviluppo, mettendo le basi per diventare quella ragazzina di 14 anni che è adesso. Ragazzina che, tanto disponibile e sensibile ai bisogni della madre, non sente rabbia o gelosia nei confronti di quest’ ultima e non pretende da lei amore né considerazione.

Schematizzando sinteticamente, per l’amore della mamma a lei indispensabile ha inconsapevolmente dovuto rinunciare a sentire ed esprimere sé stessa e diventare la “brava bambina che la mamma vuole”.

Giorgia non è quindi nata responsabile, non è nata iper-responsabile.  Per diventare tale ha dovuto pagare un caro prezzo.

Quali possono essere le conseguenze di tale sacrificio?

“L’adattamento ai bisogni dei genitori conduce spesso (ma non sempre) allo sviluppo di una personalità “come se”, ovvero ciò che si definisce un falso Sé. L’individuo sviluppa un atteggiamento in cui si limita ad apparire come ci si aspetta che debba essere, e si identifica totalmente con i sentimenti che mostra. Il suo vero sé non può formarsi né svilupparsi, perché non può essere vissuto. (…) Si è effettivamente verificato uno svuotamento, un impoverimento e una parziale eliminazione delle loro possibilità.”. (Miller, 1996, p.18-19)

Ed è nell’impossibilità di sviluppare il vero sé che affonda le proprie radici la depressione. (Miller, 1996) È da questa mancanza che muoverà il senso di vuoto, di auto-alienazione, una mancanza del senso della vita che Giorgia potrebbe percepire.

Inoltre, come abbiamo visto sopra, il bisogno di amore e i sentimenti rimossi continueranno ad influenzare la sua vita anche nell’età adulta e in particolare il suo rapporto con i figli.

Sebbene non vi sia modo di restituire l’infanzia perduta un percorso di psicoterapia potrà accompagnare Giorgia nella graduale riscoperta del proprio vero Sé.

Nella relazione psicoterapeutica potrà riscoprire il proprio mondo affettivo e vivere la sofferenza che ha accompagnato il proprio destino infantile. Insieme alla sofferenza rifiorirà anche la sua spontaneità e vitalità: “è ogni volta una specie di miracolo constatare che, nonostante tutto ciò, dietro la contraffazione, alla negazione e all’autoalienazione sono sopravvissuti anche molti elementi di autenticità, che vengono alla luce non appena si trovi una via di accesso ai sentimenti.” (Miller, 1996, p.26)

L’aver preso consapevolezza, vissuto ed elaborato i sentimenti legati alla propria storia infantile permetterà a Giorgia di essere anche una mamma libera di creare il clima relazionale di cui i suoi bimbi avranno bisogno. E mettere così fine al suo dramma familiare.

 

Bibliografia

Miller, A. (1996) Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero Sé. Riscrittura e continuazione