IL METODO DELLA FRUSTA E LA COMPASSIONE VERSO SE STESSI di Claudio Foti e Valerio Principessa

IL METODO DELLA FRUSTA E LA COMPASSIONE VERSO SE STESSI di Claudio Foti e Valerio Principessa

Quanto è importante la compassione verso se stessi ? Perché l’essere compassionevoli nei confronti di se stessi può sembrare a qualcuno  inopportuno o scorretto? Ed, ancora, perché la stessa espressione “compassione verso di sé” risulta insolita o inadeguata? Nella lingua tibetana c’è una sola parola, “karuna”,  per indicare le compassione verso sé e verso l’altro:  la compassione intesa come atteggiamento benevolo verso la vita,  la vita che si manifesta fuori e dentro di noi, la vita che abita nel mondo ed in noi stessi. Nelle lingue occidentali invece manca un termine per indicare un comune stato mentale compassionevole verso l’esterno e verso l’interno rispetto a noi stessi e dobbiamo ricorrere ad una perifrasi, come appunto “compassione verso di sé” per descrivere quell’atteggiamento amorevole di cui abbiamo a ben vedere grande necessità.   Non è così scontato nella nostra cultura e nella nostra pedagogia che noi stessi meritiamo quell’atteggiamento che talvolta assumiamo verso gli altri: di gentilezza, di amorevolezza, di impegno a contrastare la sofferenza. Nella cultura occidentale la compassione verso di sé non è stata adeguatamente tematizzata ed approfondita e viene spesso confusa con un atteggiamento autoreferenziale o lassista verso se se stessi o addirittura con una modalità per giustificare i nostri errori o lo nostre colpe, per rifiutare le nostre responsabilità.

dalai-lama-1169298_640.jpgDENTRO

Siamo cresciuti con l’idea che le difficoltà vadano affrontate e sopportate senza lamentarci, non siamo abituati a trattarci con rispetto, con comprensione senza pretendere l’impossibile. Non siamo portati a guardare con atteggiamento non giudicante i nostri limiti e le nostre debolezze, in modo da comprenderle nel più largo contesto dell’esperienza umana. Siamo totalmente estranei all’idea di trattarci con gentilezza ed il nostro dialogo interiore è spesso aspro e severo.

Nel suo libro “The essence of the heart Sutra, his holiness” il Dalai Lama ha scritto: “la compassione è uno stato della mente che vorrebbe che gli altri fossero liberi dalla sofferenza. Non è passiva, non è solo empatia, ma piuttosto un altruismo empatico che attivamente lotta per liberare gli altri dalla sofferenza. La compassione genuina deve avere sia saggezza che amore e rispetto.”

Ora su un piano psichico profondo risulta impossibile provare compassione nei confronti del prossimo se, prima di tutto, non ne abbiamo per noi stessi. Essere un po’ più morbidi, gentili e delicati verso noi stessi e guardare agli insuccessi, imperfezioni e debolezze come a qualcosa che rientri nella sfera dell’umana fallibilità, può regalarci una grande pace interiore. Seneca ha scritto: “Sai qual è stato il mio più grande progresso? Sono diventato amico di me stesso” Abbiamo però timore che la compassione verso il sé significhi essere troppo indulgenti con noi stessi e che porti ad una sorta di passività, convinti piuttosto che un atteggiamento di continua autocritica possa spingerci al miglioramento. La nostra pedagogia verso gli altri e verso noi stessi è condizionata da quello che possiamo definire il metodo della frusta, portatore di una grande illusione: “Più frusti, il cavallo più va veloce!” E’ un metodo che non funziona, neppure con i cavalli, meno che mai nell’uomo. L’efficacia che può eventualmente generare, è di breve durata e soltanto apparente. Se ci trattiamo con amore invece – piuttosto che con pretenziosità e con intolleranza – possiamo permettere a noi stessi di esplorare i nostri limiti e dunque di imparare dalle difficoltà e dagli insuccessi. Possiamo perfino spingerci più oltre e diventare aggressivi, non già in senso distruttivo ed autodistruttivo, bensì nel senso etimologico della parola, dal latino adgradior (cammino in avanti, vado verso, mi avvicino …). Avvicinarci a ciò che ci interessa, senza paura del fallimento poiché lo abbiamo “normalizzato”, accettato, mettendo in conto che rientra nell’esperienza umana. Alcuni studi hanno dimostrato che le persone più compassionevoli verso di sé, risultano meno ansiose e depresse, hanno un rapporto più sano e produttivo e sperimentano meno emozioni logoranti quali depressione ostilità, ansia, paura. E’ essenziale smettere di giudicarci per quello che siamo o che siamo stati, e interrompere queste lotte interiori a cui ci spinge il perfezionismo. Se dovessimo preparare una ricetta per la felicità e l’armonia, gli ingredienti fondamentali sarebbero: compassione, atteggiamento non giudicante, flessibilità, gentilezza, accettazione, amore ed ovviamente, last but non least, consapevolezza. Solo quando avremo fatte nostre queste qualità potremo aprirci all’esperienza con l’altro ed instaurare un rapporto autentico di amore e rispetto reciproco. Schopenauer ha scritto: “L’amore autentico è sempre compassione; e ogni amore che non sia compassione è egoismo”. La compassione coerente verso l’altro e verso noi stessi è l’assto contrario dell’egoismo.