
09 Feb IL NEGAZIONISMO: LE RESISTENZE AL RICONOSCIMENTO DELLA VIOLENZA SUL BAMBINO di Claudio Foti
IL NEGAZIONISMO: LE RESISTENZE AL RICONOSCIMENTO DELLA VIOLENZA SUL BAMBINO
Nei prossimi mesi si svolgeranno in diverse città italiane (fra cui Reggio Emilia il 4 marzo e Torino il 30-31 marzo) 5 convegni promossi da Rompere il silenzio e dal Centro Studi Hansel e Gretel contro il negazionismo dell’abuso sessuale sui bambini.
La mente umana non può accettare senza dolore, conflitto e resistenza fatti e situazioni che evidenziano la radicale impotenza del soggetto umana. La mente umana reagisce automaticamente voltandosi dall’altra parte di fronte al trauma e rifiutandosi di soffermare lo sguardo sulla realtà della violenza e del male.
La mente umana si volta dall’altra parte di fronte alla verità della morte, della malattia, del trauma. Non caso le atrocità della storia umana tendono a non essere credute, ricordate, documentate da parte degli stessi storici.
La pediatria ha impiegato decenni prima di poter stabilire un nesso fra le ecchimosi e le ossa fratturate dei bambini e l’ipotesi del maltrattamento fisico. Negli anni ‘ 50 di fronte ai casi di violenza fisica ai danni di piccoli neonati, mancava la diagnosi di sindrome del bambino battuto che Kempe definirà soltanto nel 1962. Negli anni ’50 mancava la diagnosi adeguata, ma ovviamente non mancavano i bambini battuti: nei Pronto Soccorso statunitensi arrivavano per farsi curare neonati e bambini piccoli con le ossa fratturate e alcuni autori avevano elaborato la diagnosi di ossa fragili perché costituzionalmente ancora immature, una diagnosi evidentemente di tipo negazionista. Meglio pensare ad un deficit organico che non alla follia e al sadismo dei genitori.
Oggi il negazionismo del maltrattamento fisico non è imperante, ma il ricorso al diniego può risultare ancora consistente. Di fronte al cadavere di un bambino aggredito da un madre il medico chiamato al pronto Soccorso afferma con convinzione: “Io son ben certo questa violenza l’ha fatta un cane …”.
Il negazionismo risulta invece massiccio nei confronti della realtà degli abusi sessuali ai danni dei bambini e degli adolescenti. Il negazionismo è alimentato dal bisogno psichico difensivo dei singoli di negare la realtà, è sostenuto e sostiene le forme di diniego individuali e sistematizza e sollecita il ricorso alla negazione e al diniego delle persone, producendo teorie, diagnosi, schemi culturali, interpretazioni giuridiche , sentenze, sistemi di pensiero, funzionali a contrastare il riconoscimento dell’abuso sui minori come fenomeno in generale e nei casi specifici. Il negazionismo per certi versi ha la stessa la stessa finalità del diniego: escludere dalla mente aspetti spiacevoli della realtà, in particolare aspetti della realtà concernenti la violenza sociale e storica, ma – a differenza del diniego – articola un discorso che tende a presentarsi come autorevole e scientifico e a svilupparsi sul terreno della cultura, dell’ideologia, dalla psicologia, della storia, del diritto.
Il NEGAZIONISMO è un racconto che s’ammanta di argomenti teorici e culturali che fa da schermo alla verità di una violenza sociale. Il NEGAZIONISMO trae linfa dall’esigenza psicologica di ricorrere alla negazione, diniego e menzogna.
Il negazionismo tuttavia non ha solo radici emotive e psichiche, ha anche radici sociali. L’emersione degli ultimi decenni – in Italia a partire dagli anni ’80 – del problema dell’abuso sessuale sui bambini, ha determinato quello che i sociologi definiscono un effetto backlash, un effetto contraccolpo che ha portato a reazioni sociali e culturali che hanno enfatizzato l’attenzione, in modo non realistico, sul fenomeno delle false accuse per screditare le nuove possibilità di far luce sul fenomeno.
Quando i processi sociali di cambiamento minacciano e intaccano i privilegi di un gruppo dotato di un potere consolidato, la reazione di questo gruppo a tali processi è direttamente proporzionale alla consistenza dei suoi interessi colpiti e alla forza dei privilegi messi in discussione. In questo modo è possibile spiegare per esempio lo scatenarsi in America Latina di un’iniziativa golpista finanziata da un gruppo di latifondisti, minacciati da un’incisiva riforma agraria di un governo democratico, oppure la reazione politica e sociale di tipo conservatore che si è sviluppata in Italia con l’emersione del problema della corruzione pubblica a seguito delle inchieste giudiziarie di Tangentopoli.
Questa dinamica conflittuale può aiutare a comprendere la controffensiva di coloro che sono stati colpiti nel proprio potere psicologico e sessuale e si sono sentiti minacciati dall’avanzare di una sensibilizzazione sociale in materia di maltrattamento all’infanzia e di una cultura del dialogo e della comunicazione tra le generazioni. Un libro assai documentato di Pope e Brown1 ha dimostrato che la comparsa (in particolare negli Stati Uniti a partire dagli ultimi decenni del secolo trascorso) di un nuovo soggetto sociale, abbia condizionato il dibattito scientifico sulla questione dell’abuso sessuale sui minori.
Le basi sociali del negazionismo sono in effetti rappresentate da questo nuovo soggetto comparso sulla scena sociale negli ultimi due decenni del secolo scorso negli Stati Uniti e più recentemente in Europa: gli imputatie gli indagati di reati sessuali ai danni di minori, con uno specifico interesse alla propria autodifesa e con una forte capacità di negoziazione giuridica e sociale, sono diventati, direttamente o indirettamente, un importante committente di difese e perizie legali, di pressioni giornalistiche, di ricerche sperimentali, di teorie scientifiche o pseudo tali, di classificazioni diagnostiche.
Esiste un uso ristretto del termine negazionismo che viene utilizzato per designare la tendenza storiografica ed ideologica che nega la veridicità storica dell’Olocausto. Ma il negazionismo è ogni forma di sistema di pensiero e di costruzione culturale che con un’impostazione inevitabilmente pseudoscientifica nega massicciamente l’evidenza di una realtà passata e presenta di violenza sociale, eclatante e rovinosa, ai danni delle persone.
Non esiste guerra o sterminio, non esiste violenza sociale, economica o politica senza un sistema di propaganda impegnato a dimostrare l’inevitabilità e la legittimità di quelle forme di distruzione o a gettare nebbia per insinuare che non si ha a che fare con guerra, sterminio, violenza , bensì con iniziative dalle finalità nobili e necessarie. Non esiste storia di un genocidio o di una violenza di massa senza una schiera di negazionisti o revisionisti tesi a dimostrare che a ben vedere non bisogna esagerare, che bisogna ad andarci cauti con le responsabilità, che molti dati sono stati amplificati e costruiti artificiosamente.
1 K. Pope e L. Brown (1996), Ricordi di antiche violenze, Mc Graw Hill, Milano, 1999.