IN UN MONDO AL CONTRARIO: QUANDO A SCANDALIZZARE È L’EDUCAZIONE

IN UN MONDO AL CONTRARIO: QUANDO A SCANDALIZZARE È L’EDUCAZIONE

IN UN MONDO AL CONTRARIO: QUANDO A SCANDALIZZARE È L’EDUCAZIONE

 

Di Lorenza Chinaglia

In un mondo in cui allusioni sessuali e corpi seminudi passano in televisione  ad ogni orario valicando i limiti delle fasce protette, in cui l’utilizzo dei social permette anche ai più piccoli di avere un accesso diretto ad immagini e video porno frantumando i limiti d’età, in un mondo in cui la sessualità è più facilmente rappresentata come perversa piuttosto che affettiva, desta stupore che si gridi allo scandalo alla richiesta di introdurre l’educazione sessuale a partire dall’ultima classe dell’asilo (5 anni), ma è proprio quello che è successo.

In Svizzera, il DECS (Dipartimento dell’Educazione e della Cultura e dello Sport) ha dato il via libera al rinnovo del progetto del Gruppo di Lavoro per l’Educazione Sessuale (GLES): nelle scuole ticinesi, di educazione sessuale si inizierà a parlare fin dall’asilo. Il Gruppo di Lavoro evidenzia nel dossier le proprie motivazioni: «all’età di 4-6 anni i bambini mostrano interesse per le tematiche legate alla sessualità e sono in grado di parlarne». Di qui la proposta d’introdurre la tematica a partire dalla scuola dell’infanzia «in modo da costruire una cultura dell’educazione sessuale sin dall’inizio della scolarizzazione». Le polemiche non si sono fatte attendere. Una parte dell’opinione pubblica ha “argomentato” il proprio disaccordo sostenendo che i bambini di 5 anni sono troppo piccoli: «questo è un tema che va trattato alle scuole medie» è una delle tesi maggiormente presentate. Alcuni esponenti politici hanno definito l’iniziativa come «la distruzione dell’intimità personale e relazionale», sminuendo la proposta «come se il problema della scuola fosse la sessualità che verrà».

La tematica dell’educazione sessuale sui banchi di scuola è da sempre un argomento che divide e scandalizza, ma non occorre prendere in esame le vicende ticinesi per sentir urlare allo scandalo. A giugno, a Modena, un gruppo di genitori è insorto contro l’utilizzo di un testo di educazione sessuale, introdotto nell’ultima classe di una scuola primaria, perché «troppo esplicito e non adatto all’età». A febbraio, a Nuoro, un professore di religione ha innescato un’ondata di protesta per aver consigliato, ai suoi alunni delle scuole medie, la lettura di due libri di Marina Lombardo Pijola, “Facciamolo a skuola” e “Ho 12 anni faccio la cubista mi chiamano principessa. Storie di bulli, lolite e altri bimbi”. Nella vicenda è intervenuto anche il vescovo della cittadina che ha minacciato di revocare al professore l’idoneità all’insegnamento. Altro episodio a Trento dove una professoressa di scienze naturali di un liceo pedagogico si è schierata contro un progetto sull’affettività promosso dalla scuola. La donna, dopo aver fatto obiezione di coscienza, ha scritto una lettera ai genitori sostenendo che, in questo modo, «si calpestano il pudore e la purezza, invitando i ragazzi a confrontarsi liberamente sulle proprie esperienze e aspettative sessuali».

A fronte di tutto questo e nel momento in cui viene scomodata l’età, il pudore e la purezza dei giovani, forse, sarebbe opportuno fare una riflessione. Oggi, a partire dall’infanzia e spesso involontariamente, si viene esposti ad una quantità di materiale che allude in modo esplicito o meno alla sfera sessuale. Non c’è modo di evitarlo. Oggi, un bambino di 4-5 anni sa già perfettamente come usare un tablet, sa cos’è youtube e sa accedere al mondo virtuale dove spesso e volentieri i contenuti relativi alla sessualità si spalancano in ogni direzione. Oggi, la sessualità è ormai ovunque. E con sessualità non s’intende quella amorevole e condivisa, ma è più probabile che si entri in contatto con quella perversa, di potere, che oggettivizza il corpo della donna. Oggi, di questa sessualità i mezzi digitali e non solo, hanno frantumato limiti di orario, di età, e livelli d’accesso. Oggi, basta un clic e si supera qualsiasi barriera.

Ora, se il primo contatto con la sessualità arriva in media a 8 anni e se un bambino di 5 è potenzialmente bombardabile da video e immagini a sfondo sessuale, perché le proposte di mettere in sicurezza questi bambini/ragazzi con un po’ di sana conoscenza provoca uno scandalo? «Avventurarsi alla scoperta della sessualità attraverso il web spesso porta ad esplorare in totale autonomia territori per i quali potrebbero non essere dotati delle giuste competenze, sia sul piano cognitivo che su quello emotivo comportando turbamento se non addirittura traumi» (Pellai, 2015). Non sarà meglio affrontare questa tematica prima che lo faccia l’industria pornografica in modo perverso e distorto trasformando la sessualità in qualcosa che ha tutto a che vedere salvo che con una sessualità adeguata ed affettiva? Perché non fornire strumenti appropriati in preparazione al contatto con una tematica che inevitabilmente farà parte della vita di ogni persona?

Forse rimane ancora poco chiaro che l’educazione sessuale non addestra i giovani a fare sesso, ma supporta il loro sviluppo sessuale, rendendoli consapevoli della propria sfera sessuale e accompagnandoli nell’esplorazione di emozioni e sentimenti connessi a questa tematica. Nel mondo, «i programmi di educazione sessuale hanno obiettivi specifici e altri a più ampio raggio. Nell’immediato, puntano a ritardare l’età del primo rapporto sessuale, a ridurre la frequenza di attività non protette, a incrementare l’uso di precauzioni per evitare gravidanze non volute e malattie a trasmissione sessuale. Nella lunga durata, l’obiettivo è riconoscere e smontare gli stereotipi alla base delle discriminazioni di genere e quelli legati all’orientamento sessuale, ad acquisire una maggiore consapevolezza dei diritti umani e dell’uguaglianza di genere, ad avere rispetto ed empatia verso gli altri, a comunicare con i propri genitori e gli adulti, a maturare un pensiero critico e a costruire relazioni basate sul rispetto reciproco» (Romano, Zitelli, 2016). Senza dimenticare, e bene lo ricorda il rapporto dell’UNESCO (International Technical Guidance on Sexuality Education, 2009), come la mancanza di un adeguato insegnamento dell’educazione sessuale cresce individui potenzialmente vulnerabili a «forme di sfruttamento, coercizione e abuso». E se anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce il sesso e il benessere sessuale come parte integrante e indispensabile per la salute psicofisica generale dell’individuo, continuiamo a vivere in un mondo in cui pronunciare i termini “pene” e “vagina” in presenza di bambini risulta volgare, dove la parola “sesso” viene taciuta o pronunciata a bassa voce, dove qualsiasi informazione è raggiungibile con un clic, ma lo si deve fare nel privato perché parlarne con i ragazzi non sta bene. Per la scuola sono tematiche intime da affrontare nel privato con la famiglia, per le famiglie sarebbe meglio che fosse la scuola a farsene carico, alla giusta età e senza ledere la sfera della purezza, ovviamente.

E così l’educazione sessuale subisce un eterno rimbalzo senza mai legittimarsi. E mentre gli adulti si scandalizzano, i giovani vengono lasciati a (dis)informarsi tra di loro.