06 Dic Indignazione ed empatia verso gli abusanti
di Claudio Foti
Da quella prospettiva vitale di consapevolezza e di cambiamento chiamata intelligenza emotiva, che si determina quando la ragione dialoga con gli affetti, possono discendere varie sollecitazioni, indispensabili a coloro che hanno a cuore le piccole vittime di abuso sessuale e a coloro che hanno a cuore gli stessi autori della violenza. Bisogna infatti avvertire un interesse profondo anche per questi ultimi. Averli a cuore, visto che parliamo di intelligenza emotiva, vuol dire sentire, pensare ed integrare rabbia e pena. O meglio indignazione e pena.
Alla psicoterapia dei sex offenders è bene arrivare partendo dall’impegno a comprendere l’impotenza e lo strazio delle piccole vittime d’abuso sessuale. Un’emozione avversiva, quale la collera, nei confronti degli autori di reati sessuali sui minori è un passaggio comprensibile perché immediatamente reattivo ad un comportamento che minaccia in modo distruttivo le potenzialità evolutive dell’infanzia, un bene tanto delicato, quanto prezioso della comunità adulta. Ma collera e rabbia, ancorché legittime, sono vissuti che rischiano di logorare coloro che sperimentano queste emozioni, deformando per di più la percezione completa della realtà, rischiando per esempio di oscurare la percezione attenta e rigorosa del passato e del futuro dei sex offenders: un passato di umiliazioni e di vittimizzazioni non riconosciute dalla società e dalle vittime di un tempo, un futuro con qualche potenzialità di trasformazione, per quanto pesantemente ipotecata dal fascino dell’illusione perversa e della scorciatoia della negazione. Collera e rabbia, ancorché comprensibili, rischiano di attaccare negli operatori sociali, negli educatori, negli psicologi e negli psicoterapeuti la fiducia nella mente umana, che è principio fondamentale nel recupero e nella terapia delle vittime e degli autori di reato che furono a lungo essi stesse vittime non ascoltate e non protette.
Il sentimento avversivo deve pertanto sciogliersi ed evolversi per lasciare posto ad una stabile e lucida indignazione. Mentre la rabbia rischia di logorare chi ce l’ha, l’indignazione – che è un vissuto emotivo che garantisce l’attivazione di un’energia reattiva preziosa che mobilitiamo per difendere un bene o un valore che ci appartiene ma ci oltrepassa – può risultare più lucida, più consapevole, più forte, meno condizionata dal nostro Io, meno concentrata sulla nostra individualità.
L’indignazione può integrarsi con momenti di pena e addirittura, se ci riusciamo, di tenerezza nei confronti di chi ha reagito ad una devastante e impensabile sofferenza intraprendendo la strada difensiva dell’onnipotenza, dell’impulsività, della strumentalizzazione del più debole.
Pena e tenerezza hanno senso nella misura in cui questi soggetti riescono a contattare e comunicare le proprie componenti infantili, fragili, impotenti sottese alle maschere, minacciose, disgustanti e deformanti, di ricerca del dominio e di sessualizzazione con cui si ricoprono.
L’indignazione è indispensabile per poter fermare i sex offenders, e fermarli è l’avvio della cura, la premessa obbligatoria. L’indignazione è indispensabile per non farsi manipolare dal paziente perverso, per non rischiare di dimenticare la pericolosità dei suoi atteggiamenti e dei suoi comportamenti, la sua pervicace tendenza ad usare chiunque, ed in primis il terapeuta stesso.
La pena d’altra parte è indispensabile per stare fino in fondo dalla parte dell’infanzia: dell’infanzia dell’abusante e dell’infanzia da lui vittimizzata. Dalla parte di un’infanzia sofferente ed umiliata, negata oggi dall’abusante e negata ieri dall’ambiente nel quale egli è cresciuto.
Cura del sex offender e cura del bambino abusato interagiscono tra loro. Prendersi cura dell’abusante significa innanzitutto prevenire le sue recidive, cioè future potenziali vittimizzazioni ai danni di bambini o di altri soggetti deboli.
La scelta di prendersi cura dell’abusante e della sua vicenda aiuta a conoscere i possibili rischi a cui le vittime possono andare incontro nel loro futuro, se non sono aiutate ad elaborare la propria esperienza traumatica: rischi di isolamento e di identificazione con l’aggressore, esiti di apprendimento ad usare le relazioni interpersonali in modo eccitante, strumentale, perverso.
D’altra parte l’esperienza terapeutica con le vittime risulta assolutamente indispensabile per curare l’abusante, che è stato una vittima dimenticata. Solo chi ha esperienza di trattamenti continuativi e approfonditi con le vittime può tentare nel migliore dei modi di aiutare i sex offenders a superare la negazione più massiccia e più sottile e maggiormente rischiosa e patogena: la negazione della loro sofferenza infantile.