“IO NON VOGLIO DISEGNARE LA GUERRA” di Claudio Foti ed Elena Comandé

“IO NON VOGLIO DISEGNARE LA GUERRA” di Claudio Foti ed Elena Comandé

 

Una bambina di sette anni, Giada, prende posizione in classe. La maestra dopo aver affrontato il secondo conflitto mondiale e la Shoah ha assegnato un compito ai bambini: “Disegna come immagini la guerra”. Giada non vuole svolgere il compito, non vuole disegnare la guerra poiché “è piena di sangue” e “la fa soffrire”. Una volta tornata a casa e manifestato il suo disagio a mamma e papà, questi accolgono la difficoltà della figlia: non minimizzano la sua sofferenza e il suo rifiuto e la invitano a spiegare alle maestre le motivazioni per cui non intende svolgere il compito. A quel punto, la bimba, sentendosi sostenuta, decide di prendere le matite colorate ed esprimere la sua posizione con un disegno che la mamma pubblicherà sul proprio profilo Facebook, orgogliosa della figlia che ha saputo decidere con la sua testa a soli sette anni, facendo valere la sua opinione.Cosa ha espresso la bambina? Prima il pensiero: “La guerra è una cosa molto brutta”, e subito sotto un cuore che dice: “Dovete essere buoni”, una margherita che esulta: “Viva la pace” e una stella che sottoscrive: “Hanno ragione”. La famiglia non vuole contrapporsi all’istituto. “Ci è sembrato un buon modo per affrontare la situazione – evidenzia la mamma – sapevamo che il tema era giusto: a scuola studiano la guerra, l’Olocausto, i diritti dei bambini e hanno approfondito anche il ruolo dell’Unicef. Non si è trattato di una cosa campata per aria, anzi, ma volevamo anche che, contemporaneamente, nostra figlia fosse libera di esprimere il proprio stato d’animo e i propri pensieri”.

Questa vicenda può farci pensare, ad esempio, a quanto i bambini abbiano bene in mente la loro posizione rispetto alle tematiche importanti di cui spesso gli adulti hanno paura di parlare con loro: Giada si esprime riguardo alla guerra, ma Paolo potrebbe farlo sulla morte, Alessandra sulla malattia, Matteo sulle recenti notizie riguardanti gli attentati terroristici. Spesso gli adulti dimenticano che ciò che appartiene al proprio mondo, carico di preoccupazioni, di ansie e di notizie terrificanti, appartiene anche a quello dei loro bambini. Data questa situazione, non è costruttivo il non confronto con loro su queste tematiche, seppur spaventose. Come diciamo nelle conferenze del Centro Studi Hansel e Gretel quando si affronta la problematica del parlare ai bambini della malattia, della morte e degli aspetti conflittuali dell’esistenza: “I bambini sanno più cose di quanto gli adulti suppongano. I bambini hanno bisogno di confrontarsi apertamente con gli adulti sulle problematiche della vita. I bambini ce la fanno”. Anche loro possono esprimersi autenticamente rispetto a questi temi, anche loro possono sopportare il peso di un’emozione spiacevole come la paura; nel caso di Giada, inoltre, possiamo vedere come siano anche capaci di esprimerlo artisticamente e con determinazione.Nella scuola, nella città, nei giornali che si sono occupati della vicenda la scelta di opposizione di Giada è stata vista come un gesto coraggioso quasi di disobbedienza civile positiva e la stessa sua maestra ha accettato e valorizzato la presa di posizione della bambina. Ma resta da riflettere su quello che è capitato.

Probabilmente nel corso della sua lezione di storia la maestra ha dato importanza agli aspetti cognitivi del suo insegnamento e ha sottovalutato l’importanza di quella che chiamiamo elaborazione emotiva della didattica: un’elaborazione che consiste nel dare possibilità ai bambini di esprimere i propri vissuti emotivi di ansia, tristezza, dolore, rabbia, sorpresa, ed altre emozioni che vengono sollecitate da un determinato contenuto d’insegnamento, in questo caso ad esempio dal tema della Shoah e della guerra. I vissuti di malessere di Giada non hanno così potuto essere espressi e compresi all’interno dell’insegnamento e all’interno del gruppo classe. La bambina è tornata a casa a ha affidato i suoi vissuti al disegno, operazione importante e creativa, ma insufficiente perché i vissuti vanno messi ottimalmente in parola oltre che rappresentati sul piano simbolico ed inoltre confrontati con gli altri vissuti del gruppo classe.  Così si è creata una scissione fra il discorso sulla guerra rimasto a scuola e il rifiuto emotivo della guerra che s’è espresso al di fuori della scuola e rischia di non confrontarsi con la realtà storica della guerra.

In un intervento educativo fondato sui principi dell’intelligenza emotiva sarebbero necessari tre passaggi per tutti i bambini. Innanzitutto occorrono le informazioni dell’adulto sulla guerra (o su qualsiasi tema conflittuale o difficile) che vanno esplicitate. Poi sono indispensabili le emozioni soggettive dei bambini sulla guerra, che vanno condivise, che vanno pensate e dette nella loro verità e varietà. Infine il terzo passaggio: la guerra c’è e bisogna rappresentarla per capirla e contrastarla. La guerra c’è e bisogna riparlarne tenendo conto delle emozioni che sono state sollevate e messe in parola.

Risuonano come significative le parole scritte di un articolo che ha riportato la vicenda: “I piccoli, se ben accompagnati e contemporaneamente lasciati liberi possono essere stupefacenti. E’ una storia che deve far riflettere”. (Cfr. Davide Cantoni, su Repubblica del 31 gennaio) http://milano.repubblica.it/cronaca/2016/01/31/news/como_bambina_guerra-132435281/?ref=fbpr