La comunicazione non violenta

La comunicazione non violenta

Le parole possono diventare pietre! Non solo i contenuti della comunicazione possono risultare violenti (per es. gli insulti), ma anche la comunicazione stessa può diventare violenta, quando viene utilizzata in famiglia, in un gruppo, in un’organizzazione per agire contrapposizione, squalifica, disconferma. La comunicazione può diventare una forma di guerra invece che una forma costruttiva di trasmissione, circolazione e scambio di informazioni.

La comunicazione non violenta è finalizzata a superare i conflitti che disperdono le energie in una rete di operatori, a favorire la comprensione reciproca tra soggetti che sostengono posizioni diverse all’interno di un gruppo.

La comunicazione non violenta consente di affrontare costruttivamente l’analisi e l’elaborazione delle dinamiche interne ad un gruppo di lavoro, riducendo le aree delle problematiche non dicibili, non pensabili e non affrontabili. La comunicazione non violenta cerca di tenere a bada le tendenze all’impulso aggressivo e all’autoaffermazione narcisistica all’interno di una discussione di gruppo.

La comunicazione non violenta non è certo la comunicazione inibita, formale, inautentica; non è la comunicazione preoccupata in modo anticipatorio del bisogno e del punto di vista emotivo e cognitivo dell’altro e scarsamente responsabile di formulare il proprio punto di vista; al contrario la comunicazione non violenta è una comunicazione sincera, che si assume la responsabilità innanzitutto del proprio parere soggettivo senza tuttavia considerarlo unico ed assoluto, è una comunicazione che esprime assertivamente il punto di vista cognitivo ed emotivo di chi parla, ma che evita una posizione narcisistica ed autoreferenziale, e che pertanto è capace, aperta, flessibile, consapevole che esistono altri vertici di osservazione e altri sguardi con cui si può osservare ed affrontare uno stesso problema o una medesima situazione.

La comunicazione non violenta è una comunicazione non già passiva, ma recettiva rispetto al punto di vista dell’altro: una comunicazione che mira a potenziare, se esistono, le risorse di condivisione, connessione, cooperazione tra le persone e che mira in ogni caso ad esplorare la possibilità di creare le suddette risorse, se non esistono.

Condivisione, connessione, comunicazione, cooperazione: si tratta di concetti vitali che peraltro dal punto di vista linguistico una medesima radice etimologica, utilizzando al loro interno la particella “cum”, che rinvia a quella dimensione di insieme che costituisce una componente fondamentale non solo della mente, ma anche del cervello umano, come dimostra la recente scoperta neurofisiologica dei “neuroni specchio”. Attraverso questi neuroni l’individuo tenta di comprendere le azioni e i sentimenti di un altro essere umano, attraverso una simulazione di prova di queste azioni e di questi sentimenti nel proprio cervello. Contattando se stesso attraverso l’ “introspezione vicariante” (per dirla in termini psicoanalitici) o attivando i propri “neuroni specchio” il soggetto umano può avvertire una profonda risonanza emotiva nei confronti dell’altra persona, può percepire e comprendere l’altro, avvertendo – al di là delle inevitabili differenze – la comune appartenenza alla comunità umana.

Attraverso l’ “introspezione vicariante” (Kohut) riusciamo a comprendere gli altri cercando situazioni, vissuti, ricordi nella nostra esperienza soggettiva simili a quelli con cui ci stiamo confrontando con l’altra persona. La comunicazione non violenta si sviluppa attraverso l’empatia, che è definibile come la capacità di esplorare la mente dell’altro restando se stessi.

La comunicazione non violenta è compassionevole contemporaneamente verso il sé e verso l’altro. Compassione (un altro concetto che comprende il “cum”) rinvia al sentire benevolo e al patire benevolo con l’altro, ma presuppone un atteggiamento accettante e positivo verso il se stessi (self compassion). La comunicazione non violenta verso non scappa dai conflitti, ma li affronta se possibile senza amplificarli, ma ha comunque il coraggio di prendere posizione di fronte a comunicazioni violente e pericolose che vengono assunte e che non possono che essere subite e che non possono essere contrastate. La comunicazione non violenta ricorda comunque che l’altro è una persona e che ha la medesima aspirazione alla felicità che esiste in noi e il medesimo diritto a perseguirla. La comunicazione non violenta può essere anche determinata e conflittuale ma tende sempre all’empatia e ricorda, come dice Sauvan, che non esistono i cattivi, ma soltanto i sofferenti, benché risulti indispensabile in molte situazioni saper fermare i “cattivi”.