
11 Mar LA CURA DI SE’ , QUESTA SCONOSCIUTA … LE TRE FACCE DELLA CURA DI SE’ di Claudio Foti
La cura del sé è un tema su cui come Centro Studi Hansel e Gretel ed io in particolare stiamo lavorando intensamente, proponendo interventi di riflessione e di elaborazione esperienziale in eventi di sensibilizzazione aperti a tutti, come è successo in gennaio a Salerno con un centinaio di persone, in giornate di formazione e di elaborazione per operatori come è successo a febbraio a Milano con gli educatori del CAF ed infine con gli allievi dei Master che abbiamo avviato a Napoli-Salerno, Torino e Cagliari e che proprio in questo periodo sono impegnati nei moduli residenziali di mindfulness.
Sono tre le direttrici della cura di sé che costituiscono il nostro progetto, che viene proposto, sperimentato e vissuto dai destinatari della nostra formazione: ciascuna va coltivata e praticata in modo distinto, ma nel contempo deve costruirsi tra loro una convergenza ed un’integrazione. Sintetizziamo queste tre direttrici.
- Cura di sé come impegno a riconoscere, nominare e rispettare le emozioni
- Cura di sé come ascolto ed abbraccio del bambino interiore
- Cura di sé come allenamento della funzione psichica dell’attenzione.
La nostra formazione vuole essere un imput ad un cammino di di cura di sé che gli operatori devono proseguire individualmente o in gruppo attraverso le scelte, i corsi e i percorsi più vari e più adeguati.
- La cura di sé deve innanzitutto accompagnarsi ad una cura delle emozioni, perché le emozioni sono una dimensione insopprimibile, costitutiva, vitale, preziosa dell’esperienza del lavorare, dell’imparare, del vivere. La cura delle emozioni è indispensabile per stabilire connessioni fondamentali tra la razionalità e l’affettività, tra la mente e il corpo, tra la consapevolezza e il flusso della vita emotiva nella vita sociale, lavorativa, familiare ed individuale. La nostra pratica dell’alfabetizzazione emotiva e dell’intelligenza emotiva – nelle scuole, nella formazione degli operatori, nelle famiglie, in carcere favorisce – nei soggetti coinvolti la possibilità di dare un nome alle emozioni di dare diritto di cittadinanza i sentimenti, di connettersi alle emozioni che si attivano e circolano nel soggetto e nel gruppo in relazione ai passaggi fondamentali dell’esperienza che si sta vivendo (su questo cfr. il mio “La mente abbraccia il cuore edizioni”, Gruppo Abele, 2012).
- La cura di sé come ascolto del bambino interiore. Quant’è difficile dare comprensione e solidarietà al bambino che siamo stati, riconoscere le ferite che rimangono non risanate e raccogliere le sue lacrime, che non sono state piante sentire, la rabbia che rimane tuttora compressa …Nei nostri percorsi si possono vivere intensi momenti di crescita di accettazione, solidarietà e comprensione nei confronti del bambino o della bambina che siamo stati. Nel contempo si possono sperimentare vissuti di malessere nel momento in cui emerge la possibilità di un avvicinamento alle esperienze infantili che sono state rimosse o più speso dissociate. Questi momenti possono risultare una preziosa opportunità all’interno del percorso stesso della formazione o in momenti successivi che l’operatore viene sollecitato a portare avanti. Gli operatori che si occupano della sofferenza degli altri devono almeno intuire la presenza di aree nella propria esperienza professionale e personale condizionate da drammi infantili non elaborati o non pienamente elaborati, da esperienze avversive che il soggetto non ha potuto accogliere nel proprio passato. Spesso abbiamo dovuto accantonare questi drammi e queste ferite perché il bambino e la bambina che siamo stati si sono trovati soli e privi di ascolto e comprensione: abbiamo così dovuto mettere su quelle esperienze una pietra sopra, certamente necessaria e difensiva, ma anche nel contempo limitativa e rischiosa per la nostra vita personale e professionale.
- La cura di sé come impegno a sviluppare la funzione psichica dell’attenzione, per procedere verso la “mindfulness”, la piena coscienza. Attenzione a che cosa? Attenzione al momento presente. E con quale atteggiamento si tenterà di allenare la mente all’attenzione? Con benevolenza e con accettazione, riconoscendo e tollerando le fortissime resistenze che si manifestano nella nostra mente …. una mente particolarmente dispersiva ed abituata a scappare via dalla realtà e dalla consapevolezza della realtà, una mente che tende a rifugiarsi nella frenesia del fare, del ruminare, del fantasticare a vuoto… Un’interessante definizione quella di Bishop (2005) afferma che la mindfulness “è l’auto-regolazione dell’attenzione, tale da mantenerla sull’esperienza presente, rendendo in tal modo possibile una maggiore capacità di riconoscere gli eventi mentali nel momento presente adottando un particolare atteggiamento nei confronti della propria esperienza, caratterizzato da curiosità, apertura ed accettazione”. La scoperta paradossale che facciamo quando affrontiamo il tema della cura è quella di accorgerci quanto siamo disattenti alla nostra esperienza soggettiva e quanto siamo assai poco amorevoli verso noi stessi.