La falsa accusa

La falsa accusa

Nell’esame dei casi specifici, l’ipotesi della falsa accusa va sempre presa rigorosamente in considerazione ed esaminata nelle sue diverse varianti legate al possibile fraintendimento da parte del bambino o dell’adulto che sostiene la denuncia, alla possibile induzione conscia e inconscia da parte di un adulto presente nell’ambiente di vita del minore e alla possibile volontà di mentire del bambino stesso. Le false denunce di abuso rappresentano una questione clinica e diagnostica, di grande rilievo e a cui prestare la massima attenzione. Per questo ce ne siamo occupati1 e continueremo ad occuparcene. Le false accuse risultano nell’esperienza degli operatori piuttosto rare tra i bambini in età prescolare (tra l’1,7% e il 2, 7%), mentre tendono ad aumentare negli adolescenti (tra l’8 e il 12,7%)2. D’altra parte le false accuse costituiscono sicuramente un fenomeno fortemente enfatizzato ai fini di negare l’evidenza della diffusione degli abusi. In una ricerca realizzata in Canada3 sono stati analizzati 7.672 casi di maltrattamenti su bambini segnalati ai servizi sociali: solo il 4% di questi casi era costituito da false denunce. In presenza di conflitti per l’affido dei figli dopo la separazione, questa proporzione era più elevata, il 12%. L’oggetto principale delle false denunce era tuttavia la grave trascuratezza e non l’abuso sessuale.

In molte vicende di rivelazioni infantili di abusi, il mondo emotivo del bambino si deteriora e si accrescono in lui sofferenza e confusione con esiti di ritrattazione o di aggravamento della patologia. Spesso il bambino, dopo aver prodotto un’infinità di comunicazioni verbali, espressive e sintomatiche relative alla violenza subita, è lasciato solo, abbandonato al proprio conflitto interno e alle pressioni dell’abusante ed inoltre la madre o gli adulti che sostengono la sua rivelazione non sono aiutati ad elaborare le proprie dilaganti ansie e difficoltà a reggere l’impatto con il trauma del bambino. Queste situazioni diventano casistiche indecidibili dal punto di vista valutativo e falsi positivi dal punto di vista statistico: in queste situazioni al danno segue una tragica beffa! Dopo l’espropriazione del corpo e dell’anima del bambino, si registra anche un’espropriazione della verità ai suoi danni!

I dati relativi alle false accuse non possono inoltre basarsi sulle archiviazioni e sulle assoluzioni giudiziarie. Non si può considerare il responso giudiziario come un fondamento di verità clinica e sociale, confondendo la verità giudiziaria con quella scientifica e dimenticando che la prima necessariamente deve tenere conto, giustamente ed inevitabilmente, del parametro delle prove ed inoltre risulta spesso condizionata vuoi da modalità d’indagine e processuali che tengono assai poco in considerazione le comunicazioni dei bambini, vuoi dalla scarsa preparazione psicologica dei giudici. “Anch’io sono un falso positivo! Sono andato da bambino davanti al giudice a denunciare l’abuso subito da mio padre, il giudice non mi ha creduto e io sono diventato un falso positivo”4, ha scritto Andrea Coffari. Anche se il bambino abusato di ieri è cresciuto ed è oggi diventato adulto, avvocato e padre di famiglia, anche se ha mantenuto e ha reso più credibile la propria testimonianza infantile con la propria maturazione e la propria testimonianza autobiografica5, statisticamente rimane un soggetto che ha effettuato una rivelazione classificata come falsa, in quanto non presa sul serio dalle istituzioni giudiziarie.

Non è possibile avviare nessun serio discorso scientifico e clinico sulle false accuse concernenti abusi sessuali sui bambini prescindendo da una riflessione sulla resistenza sociale, ideologica ed emotiva nei confronti del riconoscimento dell’abuso sessuale sui bambini. Tale resistenza si manifesta su piani diversi: attacca e mette in difficoltà coloro che prendono sul serio le denunce dei bambini; sollecita talvolta i giudici ad archiviare piuttosto che ad approfondire; invita spesso i periti non solo alla prudenza ma anche all’opportunismo; tiene in vita pregiudizi scientificamente obsoleti; orienta correnti di psicologia sperimentale, interessate ad evidenziare in ogni modo l’incompetenza e la suggestionabilità dei bambini. Il problema delle false accuse può e deve essere affrontato come problema clinico non solo per proteggere adulti colpiti ingiustamente da denunce infamanti e distruttive, ma anche nell’interesse dei bambini coinvolti nella falsa accusa, i quali subiscono una gravissima forma di violenza e di strumentalizzazione psicologica. Ma questo compito può essere svolto se contestualmente vengono mentalizzate e contrastate le pressioni sociali e ideologiche che puntano ad enfatizzare il fenomeno dei falsi positivi, impedendo un approccio attento e rispettoso ad ogni vicenda individuale.

La nuova resistenza sociale e culturale al riconoscimento dell’abuso sessuale ai danni dell’infanzia viene ad esercitare la propria influenza negativa sugli operatori, aggiungendosi ai condizionamenti psicologici di sempre, che rendono difficile l’accostamento emotivo e cognitivo alla sofferenza infantile. Così, nonostante l’indubbia crescita negli ultimi decenni di una capacità sociale di percepire il fenomeno dell’abuso sessuale sui minori, permangono nelle istituzioni e nella comunità adulta atteggiamenti di cecità e di sordità diffusa nei confronti di quei segnali di malessere infantile, che possono rinviare a situazioni di violenza sessuale; aumentano spesso la paura e la tendenza alla delega degli operatori di fronte a casi di presunta violenza su bambini; si rinnovano tendenze a rifiutare attenzione ed ascolto a processi di rivelazione, soltanto perché non appaiono immediatamente sostenuti da riscontri evidenti.

È evidente – scrivono Malacrea e Lorenzini – che se un falso credito dato a un sospetto abuso darà inizio ad un iter che passerà la situazione a più setacci, a maglie sempre più fini (sia attraverso percorsi clinici che giudiziari), con alte probabilità di correttivi in itinere che arriveranno a determinare un giudizio finale corretto, quando un presunto abuso suscita istintivo discredito succederà l’opposto. Esso verrà infatti lasciato cadere prima di ogni vaglio approfondito e quindi non potrà trovare quei correttivi che potrebbero orientare realisticamente il giudizio. Sappiamo del resto come sia tutt’altro che raro che situazioni di abuso abbiano alle spalle, prima di imporsi all’attenzione degli operatori, storie di mesi o anche anni in cui segnali più deboli erano stati lasciati cadere con processi decisionali basati su valutazioni approssimative o istintive. Date queste condizioni, la corrente scientifica che avvalora una giusta prudenza in vista del rischio di creare falsi positivi rischia di trasformarsi in cortocircuito che spinge a “diffidare” comunque, senza possederne analiticamente le ragioni. E quindi, in definitiva, si arriva ad incrementare il numero di falsi negativi, pur nello sforzo in buona fede di evitare i falsi positivi”6.



1 Cfr. C. Foti, N. Bolognini, “Quando i bambini mentono”, in C. Foti (a cura di), L’ascolto dell’abuso…, op. cit.

2 Cfr. M. Everson e B. Boat, “False allegations of sexual abuse by children and adolescents”, Journal of American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 28, 1989, pp. 230-235.

3 Cfr. N. Trocmé, N Bala, “False allegations of abuse and neglect when parents separate: Canadian Incidence Study of Reported Child Abuse and Neglect, 1998”, Child Abuse and Neglect, n. 29 (12), 2005, 1333-1345.

4 A. Coffari, “Processo alla famiglia. L’accusa”, in C. Foti ( a cura di), Processo agli adulti, SIE editore, Pinerolo, 2007, p. 19.

5 Il libro autobiografico di Coffari è uscito con uno pseudonimo: A. Cammarata, Tuo figlio, Andrea, Pendragon, Bologna, 1999.

6 M. Malacrea, S. Lorenzini, Bambini abusati. Linee-guida nel dibattito internazionale, Cortina, Milano, 2002, p. 313.