
09 Giu LA MINDFULNESS IN UN GRUPPO GENITORI di Valerio Principessa
“Seduti in silenzio, a non far nulla, la primavera arriva e l’erba cresce da sola”(Buddha)
Il termine mindfulness è la traduzione in inglese della parola Sati in lingua Pali, che significa “attenzione consapevole” o “attenzione nuda.”Secondo la definizione di Jon Kabat-Zinn, Mindfulness significa “porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante“. Anche se la mindfulness deriva dal pensiero buddista, non dipende da alcuna ideologia e sistema di credenze, essendo una forma di meditazione universalmente accessibile. Il contributo del buddismo è stato quello di sottolineare dei metodi semplici ma estremamente efficaci per coltivare e sviluppare questa capacità di essere presenti, portandola in tutti gli ambiti della nostra vita. Divenire consapevoli di ciò che accade momento per momento, permette all’individuo di indagare gli aspetti più profondi del funzionamento della mente.
Il mio interesse per la meditazionedi tipo mindfulness è nato dalla lettura di un libro di Jon Kabat-Zinn, Vivere momento per momento. Essendo una persona curiosa, ho voluto approfondire l’argomento iscrivendomi ad un corso mindfulness per la riduzione dello stress, della durata di due mesi: è stato un percorso non privo di difficoltà, soprattutto nella fase iniziale, quando starsene seduti per un’ora in ascolto del proprio respiro, era per me fonte di irrequietudine e nervosismo. Con il tempo e l’esercizio costante ho tuttavia apprezzato i benefici della pratica. Gli incontri si svolgevano con cadenza settimanale, di giovedì sera, mentre per i restanti giorni dovevamo meditare per conto nostro, seguendo delle tracce audio. Era curioso osservare come ad ogni riunione settimanale, i miei compagni di percorso, compreso me, fossero sempre più rilassati e a proprio agio. Fresco di quest’esperienza, mi è stato proposto dal Centro Studi Hansel e Gretel di partecipare ad un gruppo di supporto ai genitori per accompagnarli in un percorso mindfulness e piantare in loro il seme della consapevolezza. E’ sempre stato forte l’interesse del Centro Studi Hansel e Gretel per lo sviluppo delle competenze genitoriali. Recentemente questo interesse si è concretizzato nella costruzione di alcune scuole per genitori. L’esperienza del gruppo mi ha indubbiamente arricchito: un percorso, anche questo, non privo di difficoltà. Difficoltà nel far comprendere cosa sia la meditazione e come praticarla, difficoltà nel convincere i partecipanti a mettere da parte ogni aspettativa di ottenere un risultato. Lasciare andare le aspettative è uno degli aspetti fondamentali della pratica: la meditazione, infatti, non deve essere concepita in termini di successo. La tecnica è talmente semplice che risulta complicata, almeno per noi occidentali. L’esperienza meditativa è pura osservazione senza giudizio, lasciare che le cose siano così come sono, accettazione di tutto ciò che accade momento dopo momento, un semplice fluire senza sforzo. La meditazione è NON agire, non interferire. Ma come spiegare ad un occidentale la pratica del “non agire?”. Fin da piccoli ci hanno detto: “non startene seduto lì, fa qualcosa”. Il contrario di quello che afferma Lao Tzu, fondatore del Taoismo: “Pratica il non agire e tutto torna a posto da se“; l’opposto dell’insegnamento zen: “Rallenta e ciò che stai inseguendo si avvicinerà e ti prenderà“. Per quanto riguarda l’esperienza con il “gruppo genitori”, mi ha sorpreso la loro abilità nel comprendere, almeno concettualmente, i principi della pratica, e la loro curiosità che si manifestava nelle frequenti domande che rivolgevano a me e a Silvia Deidda, la conduttrice del gruppo. Durante gli incontri ci siamo concentrati soprattutto sul body scan (pratica meditativa che consiste nel dirigere l’attenzione su ogni parte del corpo), sulla meditazione seduta e su quella camminata. Al termine degli incontri distribuivo loro un resoconto sulle attività svolte e li invitavo ad esercitarsi mediante tracce audio-guidate e ad svolgere semplici attività quotidiane, come vestirsi, lavarsi e mangiare, con consapevolezza. La pratica consente di esercitare una qualità molto importante: l’osservazione. Osservare il modo in cui pensiamo, sentiamo e ci rapportiamo agli stimoli, ci invita a intraprendere un percorso teso a riconnetterci con il nostro essere più autentico. Quando la nostra attenzione è costantemente rivolta a qualcosa di diverso rispetto a quello che stiamo facendo, la vita rischia di diventare noiosa e ripetitiva. Possiamo vivere anni in uno stato di torpore senza neanche accorgercene, vittime di comportamenti automatici e ripetitivi. Si racconta che il Buddha, interrogato da un suo discepolo circa la sua “illuminazione”, rispose semplicemente “sono sveglio.” E’ proprio questo il fine della meditazione, essere nel qui e ora, attenti, svegli, consapevoli. La pratica può aiutare a liberarci dalla sofferenza che deriva principalmente da distorsioni cognitive, identificazione con i pensieri, pregiudizi. Nonostante molteplici dissensi su punti specifici, la consapevolezza resta il punto centrale di ogni esperienza meditativa. Nel suo libro “Vivere momento per momento” Kabat Zinn ha scritto:
“E’stupefacente quanto sia liberatorio l’essere capaci di vedere che i tuoi pensieri sono solo pensieri e che non sono “te stesso” o “la realtà”…il semplice atto di riconoscere i tuoi pensieri come pensieri, può renderti libero dalla realtà distorta che essi spesso creano e genera un maggior senso di chiarezza e di padronanza sulla tua vita”
I più recenti studi di neuroimaging suggeriscono che la consapevolezza di tipo mindfulness attiverebbe alcune aree cerebrali connesse ad una maggiore creatività,che consentirebbe agli individui di abbandonare vecchie abitudini, promuovendo la capacità di pensare fuori dagli schemi. Tutto ciò porterebbe a non reagire, bensì a rispondere alle situazioni in maniera più costruttiva ed efficace. Inoltre, è stato rilevato che tra i meditatori sarebbe meno intenso il fenomeno del mind wandering(mente vagabonda), ossia quando la mente vaga ed è assorbita dai pensieri: i ricercatori hanno tentato di comprendere i meccanismi neurali alla base di questo processo ed è stata individuata una rete neurale connessa a questa attività di pensiero. La rete in questione è chiamata Default Mode Network(DMN) ed è responsabile del nostro costante dialogo interiore. L’attività di questo network tende a diminuire in modo significativo quando siamo impegnati in un compito, mentre è maggiore quando il cervello si trova in uno stato di riposo. Secondo alcuni ricercatori, la meditazione favorirebbe una riduzione dell’attività del DMN così da permetterci di godere maggiormente del momento presente, incrementando la capacità di prestare attenzione. A questo punto appare chiaro come gli interventi basati sulla mindfulness siano indispensabili per garantire una migliore qualità della vita e dovrebbe essere incrementato il loro utilizzo in tutti i settori: da quello penitenziario a quello scolastico, da quello lavorativo a quello sanitario. Se dovessi racchiudere in una frase ciò che mi ha lasciato questo percorso di “risveglio” citerei un celebre aforisma di Sri Nisargadatta Maharaj: “Lascia andare quello che vuole andare, lascia venire quello che vuole venire, tu rimani con ciò che rimane.”