La psicoterapia del trauma come integrazione di parti dissociate

La psicoterapia del trauma come integrazione di parti dissociate

 

Veronica si sposta nel mio studio passando di sedia in sedia. Ci sono tre sedie: su una di queste Veronica diventa una madre dominante e spietata, capace di usare il ragionamento per colpevolizzare aspramente la figlia, in un’altra sedia Veronica esprime la parte di un adulto accudente che cerca di interagire con le parti bambine. Veronica si siede su un’altra sedia e diventa una bambina di due, tre anni, con una voce sofferente, lamentosa ed anche spaventata. E’ molto arrabbiata e sfiduciata anche nei confronti dell’adulto accudente: “Non voglio parlare, i grandi sono cattivi”, riesce a farfugliare. Poi si alza in piedi in un’altra posizione, Veronica diventa una bambina più grande che si distanzia dai familiari, che risultano per lei troppo deludenti e frustranti e cerca di curarsi da sola ricercando un rapporto con il bosco e con la natura.

In altre drammatizzazioni è comparsa invece una bambina che vive un momento di straordinaria felicità quando si sente abbracciata e carezzata dallo zio: farebbe di tutto per compiacerlo e per carezzarlo dappertutto come lui chiede, perché lo zio è molto gentile a differenza della mamma, anche se poi la sua gioia di questa bambina si trasforma in un senso di abbandono e cocente delusione, quando lo zio se ne va.

Chi assistesse alla scena senza comprendere di stare assistendo ad una seduta di psicoterapia di una paziente con disturbi dissociativi potrebbe farsi una pessima idea di Veronica e soprattutto del suo terapeuta. In realtà la seduta che si sta svolgendo sottende un salto di qualità nel percorso di consapevolezza della paziente: si stanno sviluppando l’accettazione, la messa a confronto, l’interazione e l’integrazione di diverse parti emotive del soggetto traumatizzato, parti che rappresentano i frammenti di una vicenda personale che è stata troppo destrutturante per consentire il mantenimento di un Sé coeso e solido.

In ogni sedia compare uno stato dissociativo all’interno della mente di Veronica. Per comprendere meglio questo stato dissociativo, lo si può raffigurare come se se si trattasse di una persona completa. Le espressioni intense ed unilaterali di questo stato, invece di essere squalificate come assurde, deliranti o “allucinate”, meritano di essere prese sul serio ed accolte dallo psicoterapeuta, in quanto sono riattivazioni nel presente delle differenti modalità con cui il paziente reagì nel passato alle violenze subite.

Questo atteggiamento di comprensione è indispensabile per creare le condizioni per invitare in seduta le parti emotive dissociate, così come potrebbe avvenire se si volesse invitare ad un incontro dei parenti litigiosi che non si vogliono parlare o dei vicini di casa in conflitto fra loro. Se l’invito è finalizzato ad un tentativo di riconciliazione, che si desidera fortemente di realizzare, diventa doveroso assumere un atteggiamento costruttivo e conciliante.

Occorre fare accomodare gradualmente nella stanza del colloquio le parti emotive dissociate. Queste per tutta una fase «non sono disponibili a partecipare alle sedute direttamente e lavorano “dietro le quinte” per sabotare i miglioramenti che considerano pericolosi, una minaccia per un equilibrio interno precario. Hanno scarse capacità di produrre azioni riflessive, di mentalizzazione e di verbalizzare le loro paure o aspettative. Anche se sono necessari anni di duro lavoro, una volta che queste parti personificano i loro stati affettivi dolorosi e i ricordi, non avendo più bisogno di difendersi da questi, il livello di funzionamento mentale del paziente nella sua globalità cresce in modo considerevole (…). Il terapeuta lavora per migliorare l’efficienza mentale di queste parti e di altre parti della personalità cercando di renderle consapevoli del presente, aiutandole a sentirsi più al sicuro, creando una relazione terapeutica sicura, correggendo gli errori cognitivi, aiutandole a comprendere le origini della loro vergogna e dell’odio interno e riducendo l’odio e la paura che le altre parti nutrono nei loro confronti. » (O. van der Hart, E.  Nijenhuis, K. Steele (a cura di), Fantasmi nel sé. Trauma e trattamento della dissociazione strutturale”, Cortina Milano, 2011, pp. 326-327)

 

Le parti emotive nel procedere del percorso d’integrazione sono chiamate ad imparare:

– ad esprimere autenticamente i loro intensi vissuti di impotenza, dolore, protesta, rabbia, colpa ecc …,

– a confrontarsi con il passato che ha determinato la frammentazione e con un’infanzia deprivata e persa per sempre;

– a rinunciare alle fantasie di risarcimento pieno delle sofferenze infantili e alle illusioni di poter ritornare ad un’infanzia idealizzata e compensativa;

– a cercare il risarcimento possibile nell’ascolto reciproco fra le parti, cercando una maggiore armonia nell’accettazione ed integrazione tra componenti adulte e componenti infantili.

 

«L’adulto – scrivono Davies e Frawley – non più terrorizzato dalle esperienze del bambino, giunge ad ammettere le ragioni della rabbia di quest’ultimo e a giustificarla. Nasce un nuovo senso di compassione verso questo vecchio nemico e il desiderio di sanare le sue ferite. (…) Comprendendo e accettando il suo sé-bambino, l’adulto può compiere progressi nel gratificare un bisogno evolutivo dolorosamente frustrato. Il bambino, d’altra parte, non è più spinto a minare i successi dell’adulto. I suoi propositi di rivolta possono, alla fine, venire meno. I processi di pensiero dell’adulto non sono più soggetti a continue invasioni e devastazioni. Inoltre, l’adulto è vivificato dalla reintegrazione del bambino nel suo mondo interno. In seguito all’espulsione della pericolosa personalità infantile, gli sono venute a mancare molte altre importanti qualità. (…) La vitalità e l’entusiasmo senza remore, propri dell’infanzia, possono pervadere nuovamente il mondo interpersonale dell’adulto. »(J. M. Davies, M. G.  Frawley, Processi dissociativi e modelli di transfert-controtransfert nel trattamento psicoanalitico degli adulti che hanno subito abusi sessuali nell’infanzia,  in R. Williams (a cura di), Trauma e relazioni. Le prospettive scientifiche e cliniche contemporanee,   Cortina Milano, 2009, p. 425-426)

 

Il principio che sottende il lavoro con le parti emotive dissociate è il diritto di cittadinanza di ogni parte emotiva. C’è l’esigenza di dar voce a tutte le componenti, perché, come diceva Jung, «non si trasforma nulla che prima non si sia accettato”(C. G. Jung  (1932), “Rapporti della psicoterapia con la cura d’anime”, in Opere, vol. XI,   Boringhieri, Torino, 1978). E’ importante che lo psicoterapeuta non compiaccia, non si sottometta e non lotti contro queste parti dissociate, quanto piuttosto assuma un atteggiamento di curiosità, empatia, interesse partecipe e desiderio di favorire la loro espressione, pur avendo cura di limitare chiaramente i loro eventuali comportamenti distruttivi, autodistruttivi o disadattativi. Così può crescere la consapevolezza come sapere che mette insieme parti emotive dissociate, che altrimenti tenderebbero a camminare in una direzione fortemente disarmonica.