
31 Ago LA RESILIENZA PER SOPRAVVIVERE ALLE DIFFICOLTÀ: IL CASO DEI BAMBINI THAILANDESI INTRAPPOLATI NELLA GROTTA
Condividiamo un articolo di Viola Salis sulla resilienza, che ha permesso agli sportivi Thailandesi di sopravvivere per 3 settimane in una grotta
Di Viola Salis
Nei mesi scorsi tutto il mondo ha assistito a qualcosa che ha dell’incredibile: il 23 giugno 12 ragazzi (tra gli 11 e i 16 anni), tutti atleti di una squadra di calcio provinciale, si sono allenati con il loro coach in preparazione degli imminenti tornei, nel territorio di Chang Rai. Terminato l’allenamento, prendono le loro biciclette per tornare a casa ma all’allenatore viene un’idea: propone un’escursione nella grotta di Tham Luang. Dopo pochi minuti accade l’impensabile: la grotta si allaga e rimangono tutti bloccati al suo interno. La pioggia e il fango invadono i cunicoli della grotta e i piccoli atleti non riescono più a uscire. A dare l’allarme è una delle mamme dei ragazzi, preoccupata per il ritardo del figlio. Ben presto iniziano le ricerche e si apprende che i ragazzi sono vivi e che si sono rifugiati in una cavità laterale della grotta. Ed è lì che resteranno per 18 giorni, a causa delle continue piogge e della mancanza di vie d’accesso alle grotte, prima di essere portati in salvo dai soccorritori.
In tanti si sono chiesti: come sono riusciti a sopravvivere? “Bisogna considerare tre elementi – spiega all’AdnKronos il professor Paolo Maria Rossini, responsabile della Struttura complessa di Neurologia del Policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma -. Intanto, il microclima e la temperatura ambientale, che lontana dall’influenza dell’ambiente esterno non li ha né disidratati né congelati, poi la disponibilità dell’acqua, perché l’organismo umano può resistere senza cibo per giorni ma senza acqua dopo 2-3 giorni si muore. Soprattutto se si tratta di una situazione di disidratazione legata alla temperatura ambientale”.
“Nella grotta – aggiunge Rossini – immagino che ci fosse acqua sufficientemente potabile”. Anche la mancanza di sforzo, stando all’esperto, ha fatto in modo che i ragazzi resistessero così a lungo. “Un organismo che sta a riposo ha un metabolismo molto basso – spiega Rossini – che consuma scarsa energia e non produce danni agli organi nobili, in particolare a reni e fegato e poi al cervello”.
Ma c’è un ulteriore elemento che può aver certamente influito sulla sopravvivenza di questi ragazzi: è ciò che in psicologia viene chiamato “resilienza”. Si tratta, in termini generali, di tutti quei comportamenti di adattamento positivo che la persona mette in atto ogniqualvolta si trova a dover affrontare difficoltà significative che minacciano la sua incolumità fisica e/o psicologica. (Luthar, 2003; Inguglia & Lo Coco, 2013)
Nel caso dei ragazzi thailandesi, è stato fondamentale il loro fare gruppo: questa mossa, infatti, si è rivelata una delle chiavi per la loro salvezza. Il gruppo è diventato importante anche quando, dopo un po’ di tempo, la luce dell’unica torcia che avevano a disposizione si è spenta e sono piombati nel buio, senza cibo e con il livello di ossigeno che diminuiva giorno dopo giorno. A quel punto tutto è diventato più rischioso e anche solo percorrere qualche metro per muoversi nella grotta avrebbe potuto avere conseguenze fatali.
In quelle condizioni, inoltre, si perde completamente il senso del tempo e serve un forte autocontrollo per chi resta bloccato in attesa dei soccorsi: il panico avrebbe potuto portare a scelte avventate e mettere a repentaglio la sopravvivenza sia dei singoli ragazzi che dell’intero gruppo. A questo proposito è stata di fondamentale importanza la figura dell’allenatore, che ha sempre cercato di mantenere alto l’umore dei suoi allievi. Per 10 anni, infatti, è stato un monaco buddista e ha insegnato ai suoi giovani discepoli come sopportare fame e sete con la meditazione. “Cercavano di non pensare alle cose da mangiare, al riso fritto – ha detto uno dei ragazzi – Abbiamo potuto bere le goccioline d’acqua che scendevano dalle pareti e abbiamo cercato di stare il più possibile vicino a quella fonte”. Un altro ragazzo ha aggiunto: “Avevamo fame, abbiamo riempito il nostro stomaco di acqua, non avevamo nulla da mangiare. Il primo giorno non abbiamo sentito nessun cambiamento nel nostro corpo, poi abbiamo cominciato ad avvertire qualcosa”.
Per ingannare il tempo si sono inventati anche giochi da tavola a misura di grotta. Ad esempio, hanno costruito delle scacchiere con le pietre e il fango e si sono inventati un torneo tra di loro per occupare più ore possibile. Ciò che tutti ricordano con profonda angoscia è il silenzio assoluto della grotta che gli atleti hanno cercato di colmare cantando e raccontandosi storie. (Massaro, 2018)
La fede, la speranza e la fiducia nelle parole provenienti dall’allenatore e dai soccorritori diventano fattori psichici che possono generare resilienza. Questi fattori funzionano come una bussola, orientando e salvando chi si trova sommerso nella confusione e nello sconcerto. (Rozenfeld, 2014)
È altamente probabile che questi ragazzi possano sviluppare una sintomatologia legata a un disturbo post traumatico. “Secondo un’ottica psicoanalitica, non è possibile per la mente fare ritorno allo stato antecedente al trauma (…) in quanto il trauma e il suo significato emozionale modificano sia quantitativamente, sia qualitativamente la soggettività dell’individuo” (Rozenfeld, p.33, 2014).
Tuttavia, nonostante l’esperienza traumatica, i ragazzi hanno potuto sperimentare sia la resilienza che può scaturire dallo stare in un gruppo unito, in una situazione così drammatica, sia una rinnovata fiducia negli adulti, nello specifico nell’allenatore e nei soccorritori, i quali pur con oggettive difficoltà, non si sono mai arresi e sono riusciti, dopo 18 giorni, a portarli in salvo. Infatti è molto importante, durante l’infanzia e l’adolescenza, avere degli adulti di riferimento, di cui potersi fidare e che aiutino ad avere una visione più ottimista del mondo.
Lo spirito di gruppo e la forza d’animo sono stati gli angeli custodi dei 12 piccoli atleti thailandesi che hanno deciso di passare l’estate in un monastero buddistaper migliorare quelle tecniche di meditazione che già una volta hanno salvato loro la vita.
BIGLIOGRAFIA
Canova, G. S ( 4 Luglio 2018). Thailandia, come sono sopravvissuti i bimbi nella grotta.Nuurse24.it
Inguglia, C., Lo Coco, A. (2013). Resilienza e vulnerabilità psicologica nel corso dello sviluppo.Bologna, Il Mulino
Massaro, B. (19 Luglio 2018). Thailandia, ecco come i 12 ragazzi sono sopravvissuti nella grotta.Panorama
Rozenfeld, A. (2014). La resilienza: una posizione soggettiva di fronte alle avversità.Genova, Fratelli Frilli Editori.