LA RIVINCITA SOCIAL DEI FIGLI: QUANDO LA LEGGE DIFENDE I MINORI DAL NARCISISMO 2.0 DEI LORO GENITORI

LA RIVINCITA SOCIAL DEI FIGLI: QUANDO LA LEGGE DIFENDE I MINORI DAL NARCISISMO 2.0 DEI LORO GENITORI

Di Edoardo Giordano


Nell’ultimo anno si sono  verificati i primi casi di denunce da parte dei figli verso i propri genitori a causa della pubblicazione sui Social di loro dati personali visibili a tutti e senza il loro consenso. Si tratta per lo più di foto intime ma anche di informazioni private che vengono diffuse in Rete dove parenti ma anche solo semplici conoscenti o addirittura sconosciuti possono vederle. Questa violazione della privacy del minore è una conseguenza della SOCIAL-izzazione che sta degenerando sempre di più tra i genitori di nuova generazione, ma anche tra quelli che hanno scoperto da poco il mondo dei social network e che sembrano non poter fare a meno di esporre pubblicamente la loro vita privata. Ad essere coinvolte in questa pratica ossessiva di pubblicazione di immagini personali e private sono anche le persone che stanno più vicino a questi giovani genitori: i partner ma soprattutto i figli. Se è vero che il marito o la moglie possono avere pochi problemi a mostrare la propria immagine su internet nella loro quotidianità, più problematico è il discorso quando si tratta di informazioni o foto più intime di figli minorenni.

Sempre più infatti la Rete è invasa da foto di bambini  messi su Facebook o Instagram, senza censure, anche nudi, come a rendere partecipi i “followers” o gli “amici di Facebook” della gioia di  vivere con un pargolo al proprio fianco.

La pubblicazione compulsiva di questi dati personali può essere un problema nel momento in cui il bambino, diventato ragazzo, comincerà a diventare consapevole della propria intimità e identità e quindi inizierà a preoccuparsi della sua privacy  e della sua reputazione online oltre che nella vita reale. Da qui è nata l’esigenza di molti ragazzi di sentirsi tutelati nella propria immagine fino a minacciare i propri genitori di querela se essi non avessero rimosso i dati compromettenti dalle loro pagine Social.

Nell’ultimo anno si è passati ai fatti.

Lo scorso dicembre il Tribunale di Roma ha emesso un’ordinanza che ha obbligato una madre a rimuovere le foto di suo figlio 16enne postate su Facebook e Instagram oltre a tutte le informazioni private legate a lui che la donna diffondeva sulla sua pagina personale. Questo ragazzo in seguito alla separazione dei genitori era stato affidato ad un tutore in quanto madre e padre erano stati entrambi sospesi dalla responsabilità genitoriale “per condotte gravemente pregiudizievoli verso il minore”. Da lì sono cominciate le richieste insistenti da parte del giovane (turbato dalla diffusione delle sue informazioni personali, tra cui anche accuse di essere un “malato di mente”) di rimuovere tutti i post pubblicati dalla madre che avevano lui come soggetto; i suoi compagni erano infatti a conoscenza delle vicende familiari che lo riguardavano grazie all’uso sistematico dei social network da parte della donna, tanto da costringerlo a voler proseguire gli studi all’estero, manifestando  il “desiderio di stare lontano dall’attuale contesto sociale”.

Queste lamentele numerose e inascoltate hanno portato il tutore alla richiesta legale di tutela  dell’immagine del minore, facendo valere le norme penali e civili sul consenso alla diffusione dei dati personali (art. 96 sul diritto d’autore che vieta la pubblicazione di fotografie senza consenso della persona ritratta), sui diritti dei minori (art. 16 Convenzione sui diritti del fanciullo 1989) e sui doveri genitoriali (art. 147 e 357 cod. civ.). Il procedimento ha portato, oltre alla richiesta di rimozione di quanto pubblicato in precedenza, anche al divieto di diffondere ulteriori informazioni personali del minore (sia in forma di immagine che scritta) con tanto di sanzione pecuniaria di 10 mila euro in caso di inottemperanza all’ordine di rimozione o al divieto di pubblicazione. Ciò ha creato un importante precedente nella giurisprudenza italiana.

Un secondo caso è accaduto invece in Austria, dove una ragazza di 18 anni ha denunciato i genitori dopo il loro rifiuto a rimuovere sue foto personali e intime di quando era bambina dalle loro pagine social. La ragazza si è accorta di quelle immagini (in cui era anche nuda sul lettino o seduta sul vasino) quando a 14 anni aprì anche lei un profilo su Facebook e si accorse che erano visibili a circa 700 contatti, amici dei rispettivi profili della coppia.  La richiesta della ragazza di eliminare le immagini dai profili venne ignorata, così al compimento dei 18 anni di età decise di rivolgersi ad un avvocato, dichiarando: “Sono estremamente arrabbiata e furiosa. Ne ho abbastanza di non essere presa sul serio dai miei genitori. Non vedo altra possibilità, ora che ho 18 anni, di citarli in giudizio”.

La crescente attenzione sul tema dei diritti dei minori legata alla dilagante pedo-pornografia online ha portato molti avvocati a specializzarsi in questo ambito giuridico e a difendere molti ragazzi minori o appena maggiorenni dall’abuso della loro immagine diffusa su internet, andando a ledere la loro privacy e la loro dignità in un’età in cui sono molto a rischio sia dal punto di vista individuale, sia da quello dell’utilizzo che si può fare delle loro immagini in Rete.

Questa esigenza di gestione delle informazioni dei figli su internet sta entrando inoltre nelle pratiche di separazione in cui i genitori possono mettersi d’accordo sull’utilizzo delle foto dei figli minorenni nei loro profili Social, sia riguardo la pubblicazione di foto che sull’utilizzo di esse come immagini del profilo di Whatsapp. Dunque in caso di separazione giudiziale il giudice potrà far valere i diritti dei figli minori, tutelandone la riservatezza. In ogni caso il tribunale potrà ordinare l’eliminazione delle foto o la disattivazione del profilo del minore, sostituendosi al genitore che ha dimostrato di trascurare i profili educativi legati al corretto utilizzo delle nuove tecnologie.

Nel 2014 la Cassazione infatti aveva definito i social come “luoghi aperti al pubblico, potenzialmente pregiudizievoli per i minori che potrebbero essere taggati o avvicinati da malintenzionati” (sentenza 37596). Bisognerebbe spiegarlo a certe madri o padri che, nel nome di un narcisismo 2.0, espongono alla mercé della Rete i loro figli minorenni.  E fa molto riflettere il fatto che ci sia la necessità da parte dei tribunali di vicariare la responsabilità genitoriale a causa di un’incapacità dei veri genitori di difendere i diritti e la sicurezza dei loro figli.