L’autoprotezione dei bambini dai possibili abusi

L’autoprotezione dei bambini dai possibili abusi

Se i bambini sapessero comunicare le varie forme di disagio che sperimentano, potrebbero parlare e chiedere aiuto in caso di necessità. Se gli adulti sapessero risultare disponibili all’ascolto e insegnassero ai bambini il codice dei sentimenti, potrebbero sostenere la capacità dei bambini di esprimere le loro difficoltà e la possibilità di richiamare l’attenzione sui rischi di maltrattamento e di abuso che eventualmente incombessero su di loro.

La capacità dei minori di autoproteggersi dalla violenza va intesa innanzitutto come capacità di comunicazione e di richiesta di aiuto nelle situazioni di malessere e di vittimizzazione di fronte a strategie manipolative, seduttive, abusanti e di fronte a difficoltà di vario genere. Una tale capacità rappresenta una risorsa umana e sociale che va incrementata. Questo impegno risulta particolarmente difficile ed impegnativo.

I bambini infatti hanno aspetti di fragilità e di dipendenza, che li portano ad essere interlocutori particolarmente bisognosi e strumentalizzabili dagli adulti. Questi ultimi possono approfittare del bisogno – spesso enorme ed insoddisfatto – di vicinanza, di calore, di ascolto, di cura dei bambini per imporre le proprie esigenze – non di rado strumentali – psicologiche, relazionali o sessuali che siano.

Spesso ci si aspetta ingenuamente dalle vittime che riescano ad esplicitare la propria condizione e la propria vicenda in modo tanto più chiaro e deciso, quanto più dura è stata o è tuttora la loro vittimizzazione. In realtà, in particolare nelle situazioni di abuso, avviene esattamente il contrario. Quanto più intensa e prolungata la violenza, quanto più è mescolata con una situazione familiare pesante e confusa, dove circolano perversione ed affettività, tanto maggiore è per la vittima la necessità di ricorrere ai meccanismi difensivi di rimozione e di negazione o addirittura di dissociazione della violenza subita e della stessa violenza in corso di svolgimento.

L’impegno ad attivare le risorse di autoprotezione dei bambini non significa mettere in secondo piano le responsabilità degli adulti. L’ascolto dei segnali di maltrattamento e di abuso sui bambini risulta un impegno gravoso che tende ad essere eluso dagli adulti:
1. per non condividere i sentimenti stressanti delle vittime ed in particolare l’impotenza;
2. per non impattare con una realtà confusa e confusiva;
3. per mantenere varie forme di idealizzazione: della famiglia altrui e della propria, della mente umana e della comunità sociale;
4. per non prendersi delle responsabilità e tenersi così al riparo dalla prospettiva ansiogena del conflitto (Cfr. C. Foti, C. Bosetto, A. Maltese, Il maltrattamento invisibile,  Angeli, Milano 2001).

La tendenza all’evitamento dunque ha prevalentemente radici emotive ed è pertanto su basi emotive che, innanzitutto, deve essere contrastata.

Spesso un mancato incontro comunicativo caratterizza l’interazione tra adulti e bambini. Questo mancato incontro può far sì che una grave sofferenza di un bambino possa restare muta, che la violenza possa eternarsi, seppellita dal silenzio. Una serie di mancati incontri possono spiegare perché nella nostra civiltà, pervenuta a sacrosanti principi di tutela dell’infanzia, un incesto possa frequentemente trascinarsi per anni, senza che le piccole vittime parlino e soprattutto senza che gli adulti che circondano questi bambini si rendano disponibili all’ascolto.

La sofferenza dei bambini, di tutti i bambini, non solo di quelli abusati, non perviene immediatamente al pensiero e alla parola. Può essere un utile esercizio riflettere sui bambini a noi vicini, figli, allievi, minori di cui abbiamo responsabilità professionale. Anche questi bambini presentano una quota di disagio – non necessariamente grave, ma che talvolta potrebbe essere rilevante e a noi ignoto – che non accede ad un’espressione simbolica, che non riesce a trasformarsi in comunicazione capace di arrivare alle nostre orecchie e alla nostra mente di adulti. Una parte della sofferenza dei bambini – a maggior ragione dei bambini abusati – non si traduce in informazione, capace di circolare nella relazione con adulti affettivi e responsabili. E tutto questo che fa sì che il disagio, piccolo o grande che sia, non venga rilevato, contrastato, elaborato.

La responsabilità non è dei bambini. In generale la sofferenza dei bambini che ci stanno attorno tende a non essere adeguatamente pensata e parlata, in misura direttamente proporzionale a quanto gli adulti si rendono indisponibili all’ascolto. D’altra parte si può integrare in questa prospettiva l’impegno a favorire le capacità dei bambini di autoproteggersi. Tale capacità può essere fatta crescere attraverso queste strade:
1. trasmissione di informazioni adeguate ai bambini sui pericoli insiti nella realtà sociale per potenziare il loro senso della realtà (non bisogna infatti raccontare menzogne distorcenti e confusive ai bambini nell’illusione di proteggerli da una realtà difficile, ma piuttosto occorre elaborare con loro i dati riguardanti la loro percezione – reale o potenziale – del mondo per quello che è (evitando il rischio di una rappresentazione fosca ed allarmistica del mondo, ma anche il rischio opposto e grandemente diffuso di una rappresentazione consolatoria e inautentica, con l’inevitabile conseguenza di impedire ai bambini di integrare le loro informazioni nel confronto con la realtà);
2. sviluppo della capacità dei bambini di nominare, legittimare le emozioni perché la comunicazione delle emozioni veicola necessariamente una quota significativa di informazioni e dunque di richieste di aiuto in caso di necessità (lo sviluppo delle competenze emotive degli adulti è preliminare e indispensabile allo sviluppo delle competenze emotive nei bambini);
3. potenziamento della capacità dei bambini di ascoltare le proprie percezioni sensoriali e mentali e di tenerne conto al fine di poter imparare a distinguere – per es . – in modo adeguato il “tocco buono” dal “tocco cattivo” e strumentale degli adulti (della nonna che sbaciucchia in modo fastidioso o, molto peggio, dell’adulto che vuole un contatto sessuale);
4. crescita della capacità dei bambini di distinguere le bugie sociali dalle bugie pericolose, di differenziare i segreti buoni dai “segreti cattivi” per attaccare la strategie degli adulti maltrattanti ed abusanti di costruire attorno alla violenza un alone di silenzio e imbroglio ed una ragnatela di strumentalizzazione e violenza, sottratta al confronto e alla comunicazione.

Sviluppo dell’intelligenza emotiva e sviluppo della capacità dei bambini di autoproteggesri convergono.

Quanto più la circolazione delle informazioni risulta bloccata, quanto più i bambini non sono allenati a sviluppare la capacità di difendersi, quanto più risultano carenti le risposte di prevenzione e tutela degli adulti, tanto più i problemi, piccoli o grandi che siano, tendono ad accrescersi esponenzialmente.

Significativa è la riflessione su problematiche che vanno al di là dell’abuso. Consideriamo per es. i casi sconvolgenti di suicidio di bambini. Si tratta spesso di bambini che da tempo si mostravano tristi e problematici, portatori di una qualche sofferenza muta, di un disagio imprecisato, oggetto di scarsa attenzione. Il malessere non è stato pensato, né messo in parola dai bambini stessi in modo adeguato. La circolazione delle informazioni sulla verità della loro tristezza è stata carente, perché gli adulti in famiglia e nella scuola hanno fatto barriera all’ascolto. La comunicazione non è avvenuta, perché la comunicazione del disagio inizia dall’orecchio di chi ascolta. E questo orecchio non era aperto. L’esito della mancata comunicazione è stato tragico.

Quanto poi all’abuso sessuale, occorre sottolineare che si può produrre e prolungare grazie ad un blocco della comunicazione: se gli adulti ascoltano e i bambini parlano, l’abuso sessuale può essere interrotto ed elaborato. L’abuso scaturisce da una precondizione: la grave carenza di rapporti di comunicazione, di dialogo e di fiducia tra il bambino e gli adulti del suo ambiente.

L’intelligenza emotiva tende ad ottimizzare la comunicazione intrapsichica e la comunicazione sociale, la circolazione delle informazioni autentiche tra il soggetto e se stesso, tra la consapevolezza e gli affetti, tra le istanze della mente e quelle del corpo e nel contempo tra gli esseri umani, tra i bambini e gli adulti, fra gli allievi e gli insegnanti, fra i minori e gli educatori.

La piccola vittima dovrebbe mettere in moto la circolazione delle informazioni relative alla propria esperienza, ma spesso è schiacciata dal peso di una pena, che lei per prima tende a rimuovere e a negare. E dunque non può attivare la comunicazione, se prima il testimone non assume la posizione dell’ascolto attivo e non dà segnali opposti a quelli della fuga: segnali di accettazione, di disponibilità di tempo e mentale, di vicinanza emotiva e nel contempo di forza. La circolazione delle informazioni si blocca, se il testimone non possiede intelligenza emotiva e ha bisogno di fuggire dalle emozioni di disagio del bambino e, prima ancora, dalle proprie emozioni, risultando emotivamente fragile ed incompetente.

Il riferimento chiaro e benevolo, attento e paziente alle emozioni nella relazione tra gli adulti e i bambini, al di fuori di una logica di giudizio e di condanna, consente di costruire un codice comunicativo, capace di mettere a proprio agio i soggetti in età evolutiva, favorendo la comunicazione da parte loro di disagi piccoli e grandi, e tende a ridurre le aree tabuizzate della comunicazione tra adulti e minori, ottimizzando in generale la circolazione delle informazioni nel dialogo tra le generazioni e favorendo in specifico la rottura di segreti e di silenzi funzionali ad eventuali abusi.