
02 Nov LE LACRIME COME SALVEZZA di Aurora Campo
Vedere un’altra persona piangere, che sia un adulto o che sia un bambino, non si può negare, è difficile. Una parte della nostra mente si sente toccata o allagata dalla sofferenza dell’altra persona. Le lacrime sono l’espressione ed il simbolo della sua sofferenza, del suo dolore, della sua impotenza, emozioni che costantemente rifuggiamo, dalle quali cerchiamo di stare lontano.
Piuttosto che affrontare, accettare, questi vissuti emotivi così intensi, la cultura sociale di oggi preferisce negarli: il pianto continua spesso ad essere etichettato come qualcosa che manifesterebbe una debolezza perdente, deprecabile, da “femminuccia” lamentosa. L’imperativo è essere forti e vincenti e l’unico dolore accettabile è quello collettivo, legato ad un evento che ha sconvolto l’intera comunità.
Che ruolo hanno allora le lacrime e la tristezza? Perchè nonostante tutti i tabù imposti dalla società, continuiamo a piangere (per fortuna)? Si tratta di una modalità adattiva della nostra specie, che ha due funzioni insopprimibili: 1. buttar fuori il dolore, scaricare all’esterno una la sofferenza ed una tensione che minacciano l’organismo, se restassero chiuse al suo interno; richiamare l’attenzione dei componenti della specie che sono vicini per tentare di uscire dalla solitudine, per chiedere comprensione e solidarietà.
Uno dei progetti di formazione portati avanti nelle scuole dal Centro Studi Hansel e Gretel si propone di riavvicinare i bambini e i ragazzi, attraverso il metodo dell’intelligenza emotiva, alle proprie emozioni, con l’obiettivo di aiutarli a capirle e ad esprimerle liberamente. Il primo passo perchè ciò sia possibile è poter dare un nome ed un significato all’emozione provata.
Durante una di queste formazioni in una seconda elementare della provincia di Torino, abbiamo chiesto ai bambini: “Che cos’è la tristezza? A cosa serve?”.
“A sfogarsi!”
“A far capire ai genitori che si sta male”
“Perchè quando sei triste poi puoi diventare felice”
Come spesso accade, i bambini ne sanno molto più degli adulti. Immersi come siamo nello sforzo per soffocare e cancellare la tristezza, noi adulti ci dimentichiamo che poter esprimere la propria sofferenza è il primo passo per poterla superare. Ma non è un lavoro che possiamo fare da soli: il dolore, grande o piccolo che sia, deve essere ricosciuto anche dall’altro, perchè sia legittimato e accolto. Trovare qualcuno che riconosca il nostro malessere e che guardi le nostre lacrime senza voltarsi dall’altra parte imbarazzato è un grande dono. Quando ci si sente al sicuro, in una situazione relazionale che non solo permette le lacrime, ma le accoglie e le condivide, si hanno delle sorprese incredibili.
Come diceva quel bambino di sette anni, si scopre come piangere può aiutare a buttar fuori il dolore, a sentirsi meglio. Che potersi sfogare davanti a qualcuno che ci comprende, e magari pianga con noi, è un sollievo. Che le lacrime dell’altro non sono sempre fonte di sofferenza, ma possono essere una bellezza. Aiutano a sintonizzarci con la dimensione autentica della persona innanzi a noi.
Ci si ricorda che non esistono solo le lacrime di dolore, ma anche quelle di gioia.
Abbiamo tutti i nostri momenti di debolezza, per fortuna siamo ancora capaci di piangere, il pianto spesse volte è una salvezza, ci sono circostanze in cui moriremmo se non piangessimo. (José Saramago)