L’educazione dei figli nell’Onorata Società

L’educazione dei figli nell’Onorata Società

E’ un giorno come tanti quello in cui Checco torna a casa da scuola: sorriso orgoglioso stampato sul volto e passo celere. Nonostante le miglia che separano la scuola media reggina da casa sua lo sguardo è alto, con l’orgoglio di chi, a malapena undicenne, ha capito cosa vuole fare della propria vita. Come di consueto appena rientrato corre ad abbracciare suo padre, uomo austero, affettuoso. “Che hai fatto oggi?”, la domanda è semplice, di routine, portata con un tono pregno di quel calore del tutto tipico degli abitanti del Sud della penisola, occhi a fissarsi sulla figura del piccolo. Una routine che viene poco dopo infranta, dall’innocenza di chi non sapeva ancora: “Oggi abbiamo fatto un tema sulla legalità! Sono andato benissimo … papà … da grande mi piacerebbe fare l’insegnante … o anche il giudice!”. Un’esclamazione entusiasta quella del ragazzo, le cui poche parole hanno il potere di lavare via ogni segno di comprensione, affetto, dal volto del padre “Checco … non per lo Stato, c’è di meglio per te … non voglio che tu lavori per lo Stato … certe cose non te l’ho spiegate abbastanza … lo Stato, devi sapere , è quello che ha rovinato la nostra famiglia … Questa cosa non la devi dire a zio tuo … e neppure a mamma … Ci starebbero troppo male … questa cosa non la devi neppure pensare … ”. Sdegno, occhi sgranati, i lineamenti del volto tesi, mentre quelle parole di condanna. vengono pronunciate. Checco abbassa la testa, si ammutolisce, si scusa, forse sperando di poter un giorno riprendere l’argomento, ma su di esso non tornerà mai più: non diventerà insegnante e neppure giudice, non lavorerà per lo Stato. Crescendo imparerà le regole della famiglia, a farle rispettare, ad imporle, ed in funzione di essa troverà un lavoro tragicamente distante dalla sua aspirazione di undicenne.
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La storia di Checco non è tristemente unica, ne tantomeno ambientata in un passato remoto, il protagonista non è di famiglia povera e non appartiene ad una minoranza vessata: Checco è italiano, calabrese, e la sua famiglia, come molte altre nel territorio, è affiliata ad uno Stato nello Stato, ad un fenomeno che non muore: la ‘Ndrangheta. La criminalità organizzata autoctona si distingue spesso da altre organizzazioni estere in quanto i suoi affiliati sono in gran parte legati dal sangue o da profondi legami personali prima ancora che dal mestiere. Si dice che l’abito non faccia il monaco, eppure se si è nati ad Africo, Reggio Calabria, Platì e se si porta un certo cognome, il proprio destino è già in gran parte scritto. Crescere in una famiglia la cui educazione corrisponde alla devianza interna allo Stato inizia sin dall’infanzia: i rampolli delle famiglie non vengono mandati alla scuola primaria, all’asilo, facendo completamente mancare sin dalla tenera età una relazione esterna all’ambiente familiare per garantire ai figli un senso di appartenenza, di identità forte, che col tempo non potrà che rafforzarsi. A loro non viene fatto mancare nulla, non sono ignoranti ne tantomeno incapaci di rapportarsi con l’esterno, la loro educazione non è superficiale, ma completamente distorta rispetto al paese in cui vivono, essi non vengono educati ad amare il proprio padre, la propria madre, ma la propria famiglia ed i loro affari. Al riguardo è Indicativo il fatto che i Camorristi di Sangue, gli affiliati, una volta catturati, temano maggiormente la confisca dei beni piuttosto che l’ergastolo: seppur in prigione la propria famiglia con il patrimonio al sicuro continuerà a reggere, ad essere forte. Ma senza i propri possedimenti il nucleo familiare potrebbe indebolirsi, o addirittura crollare.
Mentre il pentito Domenico Cordì si avviava al banco delle deposizione per denunciare gli affari della propria famiglia, o ‘ndrina, la madre dell’uomo si levò in piedi e gridò “Ricordati che sei un Cordì”, un appello che non esprime amore materno, ma il tentativo di far leva sul senso di appartenenza dell’uomo alla propria famiglia, all’onore ed al rispetto che esso doveva al nucleo medesimo.
Queste dinamiche di pensiero, di azione, affondano le loro radici nella storia dei nuclei familiari: il deviante, come Checco, viene scoraggiato, ammonito duramente, ed il solo rischio di incorrere della disapprovazione della propria madre e del proprio padre, di ciò che è stato educato a ritenere punti di riferimento, basta a far desistere dal perseguire un fine contrario alla propria educazione. Rimane una domanda che non trova facile risposta. Come permettere ai figli di criminali recidivi la possibilità di scegliere liberamente, privi di pressioni e manipolazioni profonde, il proprio destino? Come contrastare fuori e dentro le famiglie mafiose la riproduzione della cultura dell’illegalità. Se è vero che soprattutto in certe regioni tutto è mafia, è dovere di un buon cittadino fare in modo che qualcosa non lo sia.