28 Set L’INTELLIGENZA EMOTIVA NELLA VALUTAZIONE PSICOLOGICO-FORENSE
Di Claudio Foti
Le emozioni rappresentano nella mente un aspetto ponte tra la storia e la memoria, tral‟esperienza e la parola, tra un essere umano e gli altri esseri, tra i bambini e gli adulti. Risultanopertanto particolarmente necessari il riconoscimento e il trattamento intelligente delle emozioninell‟ambito della valutazione psicologico-forense, riguardante le problematiche dei bambini ed,in specifico, la tematica dell‟abuso sessuale. Questo campo, invece, è il luogo dove si condensa- no e si accaniscono numerose e gravi forme di stupidità emotiva che tendono a trasformarsi inimpedimenti all‟accertamento della verità e in violenza istituzionale ai danni dei più piccoli.
Elenchiamo di seguito alcune tra le più rilevanti di queste forme:
1. Non viene riconosciuta la funzione insostituibile nell‟ambito della valutazione dello psico- logo clinico, con esperienza nell‟ambito della diagnosi e della cura dei bambini, capace di accet- tare le specifiche procedure, le regole e le richieste del contesto giudiziario, ma nel contempo di portare, in questo contesto, il proprio DNA clinico, le competenze, le preoccupazioni e le finali-tà dell‟intervento clinico, forgiate nella presa in carico e del trattamento delle emozioni soffertee conflittuali dei bambini. A volte in ambito psicologico-forense riescono a pontificare esperti,magari illustri, ma che non hanno mai svolto neppure un‟ora di terapia con un bambino.
2. Risulta molto influente una scuola di pensiero, elaborata da avvocati -psicologi e non da psicologi clinici, che con il pretesto di contrastare gli interventi suggestivi sul bambino, sembrain realtà interessata a suggestionare lo psicologo valutatore, colpevolizzando con un‟ideologia tecnicistica qualsiasi suo atteggiamento teso a favorire un clima relazionale e comunicativo che consenta al bambino di raccontare la propria verità. La finalità di fatto perseguita da questa scuola di pensiero è quella di rinforzare le difese e le difficoltà del bambino alla narrazione della propria esperienza, difese e difficoltà già presenti in lui, sia quando proviene da un‟esperienza diabuso realmente sperimentato, sia, in ogni caso, quando proviene da una situazione di grave di- sagio, di confusione, di fraintendimento o di induzione.
3. Vengono enfatizzate linee guida come la Carta di Noto o il Protocollo di Venezia, dimen- ticando che non si tratta di leggi dello Stato e neppure di orientamenti tecnici che godonodell‟unanime consenso della comunità scientifica. Tali strumenti, oltre a contenere alcuni con- divisibili suggerimenti, per lo più a garanzia del diritto alla difesa dell‟indagato e dell‟imputato, prospettano nei fatti l‟impossibilità di pervenire ad una diagnosi di trauma sessuale e propongo- no, più in generale, una subordinazione del rispetto dei bisogni emotivi del bambino e del suo diritto alla salute al valore supremo delle esigenze processuali degli adulti.
4.Si continua molto spesso a negare al bambino il diritto ad essere preparato all‟audizione protet- ta, cioè ad essere messo nelle migliori condizioni, dal punto di vista cognitivo ed emotivo, per dare il proprio contributo di testimonianza nel processo, senza correre il rischio di andare incontro ad una situazione stressante e nociva, che potrebbe rappresentare un‟ulteriore forma di vittimizzazione. So- no gravemente deficitari nella gestione del processo e nella legislazione gli atteggiamenti, gli inter- venti, i programmi che si pongono la finalità di:
contrastare i vissuti di ansia, confusione, estraneità indotti nel bambino dall‟ingresso nelcontesto giudiziario, attraverso una trasmissione rassicurante di informazioni preliminari prima della testimonianza;
diminuire la paura, l‟ansia e la tensione associati al momento della testimonianza attraverso un‟elaborazione cognitiva ed emotiva adeguata capace, senza entrare nel merito dei fatti di causa, di infondere imput di fiducia e sicurezza rispetto al compito di comunicare la verità.
5. Si registrano frequentemente tra i magistrati interventi che continuano ad ignorare che le emo- zioni intense, tanto più se non elaborate e non condivise, possono condizionare pesantemente le pre- stazioni dei piccoli e che la soluzione, per contrastare questo condizionamento, non sta certonell‟illusione di cancellare le emozioni con un appello al dovere e alla volontà, bensì aiutando ibambini a mettere in parola e a controllare in modo intelligente le loro emozioni (di fronte per esem- pio ad un bambino che presenta in audizione protetta visibili manifestazioni di paura, di vergogna o di agitazione la soluzione non sta nel dirgli, magari imperiosamente, “Non devi aver paura … ci so- no qua io!”1 oppure “Non devi assolutamente vergognarti!”, “Smettila di agitarti: questo è un mo- mento importante!”, bensì di comunicare in tono empatico con il bambino, dicendogli per esempio: “Sembra che hai paura (che ti vergogni di qualcosa … che sei agitato … ) o mi sbaglio? … e te la senti di dirmi come mai?”.
Ascolto empatico e valutazione
L‟empatia sta alla base della crescita non solo affettiva, ma anche cognitiva del bambino sin da quando viene al mondo. Nell‟evoluzione psicologica del bambino l‟empatia di chi dona le cure fonda l‟autenticità. Senza il rispetto delle emozioni nelle relazioni primarie da parte di chisvolge la funzione materna non potrebbe crescere la capacità del neonato di sviluppare il contat- to autentico con le proprie sensazioni corporee, affettive, mentali2. Eppure nel contesto giudizia-rio e nel processo valutativo in particolare si continua a diffidare dell‟empatia, considerandola come qualcosa di inquinante. In realtà l‟ascolto emotivo è l‟opposto della suggestione: l‟empatia sta alla suggestione come l‟atteggiamento di disponibilità accogliente del genitore sta al suo comportamento intrusivo e manipolativo. L‟ascolto empatico tende a mettere l‟interlocutorenelle condizioni relazionali ed emotive migliori affinché possa collaborare all‟obiettivo di co-municare al meglio le informazioni che l‟intervista intende raccogliere. Pertanto può contrastarein modo efficace la suggestione, positiva o negativa che sia. Infatti, attraverso il metodo empatico, chi ascolta può immedesimarsi nel bisogno del suo interlocutore di essere fino in fondo se stesso e può coerentemente incoraggiare nell’altro la tendenza a difendersi da qualsiasi pressione psicologica proveniente dall’esterno, tesa a non far dire ciò che il soggetto vorrebbe dire o a far dire ciò che il soggetto non vorrebbe dire.
L‟ascolto empatico non porta certo a credere a tutti i contenuti esplicitati dall‟interlocutore maga- ri al fine di essere buoni e gentili con lui; non implica affatto dargli ragione sempre e comunque.L‟ascolto empatico, al contrario, richiede il mantenimento di una distanza emotiva, la valorizzazione della propria autonomia mentale, pur nell‟impegno ad esplorare emotivamente il mondo dell‟altro: sitratta di provare ad identificarsi con l‟altro, restando se stessi, sperimentando in prima persona nella propria mente e nella propria esperienza soggettiva il significato delle comunicazioni ascoltate perrestituirne la comprensibilità o l‟incomprensibilità emotiva, la coerenza o le contraddizioni che ven-gono percepite. In questo senso l‟empatia, se correttamente applicata, è un atteggiamento che con-sente di percepire non solo la sofferenza o la bisognosità dell‟altro, ma anche, eventualmente, la sua confusione, la sua distruttività, la sua pretesa, i suoi tentativi di manipolare la realtà esterna e la realtà interna.
È dunque indispensabile elaborare in modo approfondito e rigoroso un modello d‟intervista e di valutazione della presunta vittima di abuso, basato sull‟ascolto empatico e sull‟intelligenzaemotiva. A questo riguardo Daniel Goleman ha affermato:
“Penso sia molto importante che i terapeuti o gli adulti che intervistano il bambino posseg-gano le abilità dell‟intelligenza emotiva, perché quello di cui il bambino ha davvero bisogno èl‟empatia: il bambino è impaurito, si vergogna ma non è capace di dire che ha paura, non è ca- pace di dire che si vergogna. Ma se il bambino sente che tu davvero ci tieni a lui, che davvero vuoi capire, che non lo stai pressando, e che tu sei un adulto sicuro, potrebbe provare a parlare con te della sua vergogna, della sua paura e quindi essere capace di capire meglio sé stesso, potersi gestire meglio, pensare alla propria testimonianza, riflettere su eventuali bugie ed esse- re capace di stare anche in una situazione molto dura, nel modo in cui ne ha bisogno”.
1 La versione tragico-comica di quest‟intervento, realmente avvenuta da parte di un magistrato inun‟audizione di una bambina presunta vittima di incesto paterno, è: “Non devi paura … ci sono qua io: potrei essere tuo padre …”.
2 Cfr. A. Sroufe (1995), Lo sviluppo delle emozioni, Cortina, Milano 2000.