
21 Apr L’INTELLIGENZA EMOTIVA PUO’ ENTRARE IN CARCERE
L’intelligenza emotiva è una prospettiva di formazione e di crescita che può entrare in carcere. Ne abbiamo la prova. Ci sono esperienze che lo dimostrano: gruppi di alfabetizzazione emotiva che abbiamo proposto e realizzato con ottimi risultati in alcune carceri (a Torino, Genova, Vallo della Lucania, Napoli) con il nostro metodo basato sull’attivazione della soggettività dei partecipanti, sull’interazione, sul gioco, sulla scoperta e la messa in parola delle emozioni. Possiamo affermare a seguito di un’ampia verifica sul campo che i gruppi centrati sul compito di sviluppare le competenze emotive facilitano la crescita umana, relazionale e culturale delle persone coinvolte in tutti gli ambienti istituzionali e particolarmente in carcere. Abbiamo la prova che l’intelligenza emotiva sia una proposta culturale e formativa che può suscitare interesse e cambiamento fra gli agenti di polizia penitenziaria e gli educatori che lavorano in carcere. Lo dimostra il progetto che da circa un anno viene portato avanti nell’amministrazione penitenziaria del Piemonte: un progetto promosso dal P.R.A.P. (Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria) e dal Centro Studi Hansel e Gretel e rivolto agli operatori dell’esecuzione penale. Il Convegno del 16 aprile di bilancio e di sintesi del progetto dal titolo “L’intelligenza emotiva può entrare nell’esecuzione penale?” è stato un successo con un forte coinvolgimento emotivo e cognitivo dei partecipanti con numerosi interventi e testimonianze da parte degli operatori coinvolti.
Il titolo dell’intero progetto è particolarmente significativo: “Amministrazione penitenziaria: le emeozioni che rendono più forti”. L’intelligenza emotiva: uno strumento per le relazioni e per la riduzione dello stress nell’esecuzione penale”. In un corpo di polizia ex militarizzato con finalità molto impegnative di contenimento e controllo dei detenuti, in un’istituzione dove circola e nopn solo tra i detenuti la cultura maschilista per cui le emozioni vengono percepite come espressione di debolezza, il progetto ha voluto affermare sin dalla sua presentazione e dal suo titolo che il confronto con le emozioni non rende più fragili, ma più forti..
Il progetto ha coinvolto nella prima fase 450 persone fra agenti di polizia penitenziaria, educatori e personale dell’amministrazione penitenziaria in cinque convegni che hanno cercato di illustrare i principi dell’intelligenza emotiva e la loro applicazione nella vita sociale, nella vita istituzionale e più in generale nella vita delle persone. I cinque convegni sono stati organizzati a Verbania, Fossano Aosta, Torino ed Alessandria.
E’ stato un progetto innovativo che ha prodotto un forte interesse, certamente non abituale, tra gli agenti della polizia penitenziaria nei confronti di un’attività formativa. Il momento maggiormente coinvolgente e trasformativo è stato vissuto dagli agenti di polizia o penitenziaria all’interno dei gruppi di alfabetizzazione emotiva che per alcuni mesi si sono ritrovati in sei carceri del Piemonte: uno a Torino, uno ad Ivrea, uno a Novara, uno a Saluzzo due ad Alessandria. Ciascun gruppo ha effettuato 16 incontri. Complessivamente sono 104 le persone che hanno partecipati a questi gruppi:
polizia penitenziaria (di cui 10 ispettori o sovraintendente) n. 76 73, 1%
educatori n. 16 15, 4%
personale amministrativo n. 12 11, 5 %
Questa è la distribuzione numerica dei partecipanti ai gruppi di alfabetizzazione emotiva.
Torino |
Saluzzo1 Saluzzo2 |
Ivrea |
Alessandria1 |
Alessandria2 |
Novara |
20 |
22 |
17 |
13 |
15 |
17 |
I partecipanti uomini sono stati 67. I partecipanti donne sono state. 37
Le assenze che si sono registrate legate a cause palesemente oggettive come ferie, malattie, problemi familiari e difficoltà organizzative piuttosto che a demotivazione
La partecipazione ai gruppi di alfabetizzazione emotiva non ha conosciuto cali rilevanti. Non sì è assistito a quel fenomeno ricorrente nell’attività formativa (soprattutto all’interno di istituzioni come l’amministrazione penitenziaria) per cui il numero dei partecipanti decresce rapidamente. 85 su 104 hanno terminato il cammino.
Le assenze agli incontri di gruppo sono state fisiologiche e hanno riguardato il 21% delle presenze potenziali. Le assenze, giustificate personalmente o di cui si conoscono le cause sono state l’ 83, 4%di tutte le assenze. Le assenze non giustificate personalmente o di cui non si conoscono le cause sono state il 16, 6%
Il problema delle assenze è stato assunto in prima persona dai partecipanti ai gruppi. C’è stato un certo interesse per ciascun partecipante assente dal gruppo: i partecipanti ricordavano ogni volta chi era in ferie, chi in trasferta, chi in malattia, ecc.. se c’era un assente non preannunciato, i partecipanti si attivavano spesso per sentire la persona telefonicamente e accertarsi che stesse bene. Più volte è stata ribadita con soddisfazione da parte degli agenti la convinzione di essere percepiti all’interno del gruppo come persone e non come numeri, a differenza di quanto capita nell’organizzazione del lavoro.
Un dato molto significativo è rappresentato dal fatto che le assenze agli incontri di gruppo per cause organizzative sono state rilevanti: il 40, 4% delle assenze. Questo dato dimostra che la partecipazione sarebbe stata ancora più continuativa se si fosse riusciti a superare maggiormente le resistenze della macchina organizzativa dell’istituzione carceraria, certamente poco flessibile e disponibile a favorire la partecipazione degli agenti alle esperienza formativa dei gruppi. Le principali resistenze organizzative sono state: la mancanza di informazioni (non è arrivata la convocazione), la mancanza di mezzi per effettuare lo spostamento da un carcere all’altro dove si svolgeva il gruppo, gli impedimenti dovuti all’assegnazione dei turni o al turno notturno o al turno dovuto alla necessità di sostituire colleghi in ferie, impedimenti per ragioni di servizio (per es. se in ufficio c’è un unico agente è molto difficile sostituirlo per consentirgli la possibilità di seguiore la formazione e la partecipazione al gruppo).
Nonostante questi ostacoli organizzativi il coinvolgimento degli agenti è stato notevole. Essi hanno ripetutamente dichiarato di averiniziato a comprendere l’importanza delle emozione nella viota lavorativa, nella vita sociale e personale. Al termine di un gruppo alcuni agenti si sono espressi in questo modo.
- Al gruppo, che prima di iniziare questo corso non conoscevo la paura. Ho sempre cercato di nasconderla. Pensavo fosse debolezza. Adesso che la conosco non mi fa più paura. Questa cosa me l’ha data il gruppo. Alle conduttrici, non vi ho detto che all’inizio venivo qui per evitare il lavoro in sezione.
- A me non ho detto che non ci credevo, non credevo al percorso che sono riuscito a fare nel gruppo. Al gruppo non ho detto che mi ha aiutato a sbloccarmi. Alle conduttrici, che all’inizio ero venuto solo per staccare dalla sezione…e poi, in seguito, venire qua è stato un bisogno!
- Al gruppo non ho detto che avevo un pregiudizio su tutti, ero difeso, non mi fidavo. Alle conduttrici non ho detto che ero scettico, non credevo a queste cose e venivo qui per passare una giornata in meno in sezione. Poi invece, “Porca miseria! Guarda cosa è successo”. Qua sono stato sempre sincero e questa cosa mi ha stupito.