07 Mar Metodologie per educare alla sessualità e prevenire l’abuso.
[Riproponiamo una riflessione di Daniela Bruno, pedagogista, psicologa e psicoterapeuta, prematuramente scomparsa, sino al 2001 collaboratrice del Centro Studi Hansel e Gretel]
Negli incontri relativi all’educazione alla sessualità che come Centro Studi Hansel e Gretel svolgiamo all’interno della scuola o in altri contesti l’attenzione dell’esperto è sempre rivolta ai contenuti che emergono dal gruppo dei partecipanti : è possibile comunque identificare, al di là dei differenti temi, una serie di strumenti metodologici che sono alla base del nostro intervento.
Ho tentato di riassumerli in 10 punti.
1) L’educazione sessuale non può ridursi a trasmettere delle informazioni, così come la sessualità non è riconducibile ad un piano cognitivo o ad un controllo affidato alla razionalità.
Parlando di sessualità è importante tener conto della dimensione emotiva e relazionale,degli aspetti di piacere e di desiderio così come di quelli di conflitto e di problematicità
2) Se la lezione cattedratica non serve, non è nemmeno opportuno fare interpretazioni psicologiche di quello che dicono i bambini o gli adolescenti.
3) Negli incontri di educazione sessuale si deve stare attenti a non porsi come chi detiene il sapere o come chi valuta le competenze cognitive dei minori in materia. Atteggiamenti di questo tipo possono bloccare la comunicazione, alimentare vissuti di svalutazione o comunque creare un’atmosfera di giudizio e non di accettazione delle emozioni e delle curiosità dei bambini.
4) L’atteggiamento che riteniamo più corretto è quello di chi offre l’ascolto di ciò che l’altro vuole comunicare : in questo modo è possibile stabilire una relazione in cui il minore si sente libero di essere veramene se stesso, di fare domande, di esprimere dubbi.
Sul piano teorico, l’obiettivo che ci poniamo è quello di consentire al bambino e al ragazzo di percepire cosa avviene dentro di loro quando entra in gioco la sessualità, di accettare le proprie paure e ambivalenze condividendole con i coetanei.
Tradurre in parola le paure, le fantasie e le emozioni in materia di sessualità è uno strumento per poterle pensare e ricondurre al Sè in modo consapevole, per poterle integrare come parti di Sè.
La psicologia del Sè ci dice che il bambino ha bisogno, per costituire una identità coesa e funzionante, di interiorizzare comportamenti positivi delle figure adulte a lui vicine. Se questa esigenza è più marcata e decisiva nei primi anni di vita, non viene meno nelle tappe successive della vita: anche nella fanciullezza, nell’adolescenza, nella giovineza e nella maturità le risposte empatiche sono una sorgente di vitalità e di pienezza, mentre la loro mancanza può determinare varie forme di identità precaria e di relativa sofferenza psichica.
Nell’attività di educazione sessuale avere un atteggiamento empatico significa accettare le difficoltà espresse, esprimere rispetto e protezione nei confronti di chi vive sentimenti di vergogna, disagio o inibizione.
Dare un nome allo stato d’animo del bambino dopo averlo accolto e condiviso significa anche offrirgli un modello di mente in grado di esplorare e pensare ai suoi stessi contenuti, che può essere da lui gradatamente interiorizzato per costruire una propria capacità di pensare e quindi di trasmettere in modo più preciso e comprensibile i suoi messaggi.
5) L’espressione delle emozioni è resa possibile dalla creazione nella classe di un clima di tolleranza, di fiducia reciproca e di accettazione. E’ necessario rinunciare alla lezione tradizionale o a modalità didattiche che si pongono come barriera alla comunicazione e tentare di attivare l’autenticità degli allievi.
Le tecniche del gioco psicologico, dello psicodramma analitico, dell’espressione grafica, se utilizzate in modo corretto, possono permettere la simbolizzazione delle fantasie e delle problematiche sessuali. Il clima di intimità , di contenimento e di reciproca accettazione delle difficoltà di ciascuno che il gioco psicodrammatico produce, permette un progressivo abbassamento delle difese dei partecipanti e quindi favorisce una comunicazione autentica, svincolata da intellettualizzazioni.
I momenti di gioco e di espressione grafica si alternano a momenti di comunicazione spontanea e di discussione, che permettono a tutti di esprimere pensieri, sentimenti, curiosità e problemi.
6) Il contatto con la realtà emotiva può far emergere tematiche che possono sembrare esterne alla sessualità, ma che in realtà sono parte del quadro esistenziale problematico in cui si svolge la vicenda sessuale.
E’ importante mettere in conto che possono presentarsi emozioni:
– legati al conflitto, alla lotta per il potere e per il riconoscimento tra i sessi;
– concernenti il rapporto con i genitori;
– relativi a esperienze di lutto, abbandono, separazione, morte;
– di ansia per la paura di essere rifiutati dall’altro sesso, di minaccia connessa al giudizio altrui sulla propria immagine fisica;
– di colpevolizzazione del piacere, sentimenti interiorizzati nel corso dell’educazione.
Ad esempio, in un gruppo di bambini di quinta elementare emersero vissuti di vergogna, legati ai sentimenti di attrazione e di innamoramento tra compagni. Soffermarsi ad ascoltare questi sentimenti, e facendo capire che venivano presi sul serio, permise ai bambini di aver fiducia nell’adulto e di stabilire un clima di autenticità .
Un altro sentimento che sovente compare è quello del timore dell’inadeguatezza fisica, soprattutto fra i preadolescenti che possono sentirsi brutti o sgraziati o comunque timorosi di non essere accettati.
Anche quando le relazioni famigliari sono positive, connotate da attenzione e da consapevolezza, è importante intervenire nella scuola dove sovente si è criticati dai coetanei, si possono vivere situazioni di emarginazione e di svalutazione.
7) Offrire un ascolto caratterizzato dall’accettazione incondizionata di ciò che l’altro vuole comunicare significa essere disponibili ad ascoltare anche ciò che non vorremmo sentir dire ai bambini. La sessualità è ambivalente: è gioia, piacere, intimità, affettività, ma anche dolore,paura, sopraffazione, violenza;si tratta di saper accogliere questa parte.
I maschi esprimono la paura della castrazione, dell’impotenza, le curiosità relative all’omosessualità, alla pornografia; nelle femmine più sovente emergono la paura del dolore (del parto, delle mestruazioni) ed in entrambi i sessi i temi della violenza, della prostituzione, dell’AIDS.
Soltanto dopo che tutti i bambini hanno potuto esprimere le loro paure e ansie è possibile intervenire per correggere idee o convinzioni errate, restuitire con una spiegazione semplice e chiara una immagine realistica dei problemi evidenziati.
8) Questa metodologia ha lo scopo di far emergere le eventuali esperienze traumatiche concernenti la sessualità, di rompere il muro del silenzio, per tradurle in una comunicazione liberatoria. Il racconto dell’abuso subito, quando avviene all’interno di una relazione empatica , ha un effetto terapeutico poichè permette alla vittima di rielaborare l’esperienza, condividendo le emozioni di rabbia e di tradimento della fiducia, permettendole di uscire dalla confusione dei sentimenti e di recuperare una identità positiva.
La comprensione empatica e l’interpretazione dell’ascoltatore permettono di trasformare la vaga consapevolezza del trauma subito ( che il più delle volte la vittima ha), in un ricordo vivo, impregnato di sentimenti intensi. L’adulto che ascolta può ristabilire la giustizia, restituendo alla vittima una immagine positiva di sè, svincolata dai sensi di colpa e di collusione con l’aggressore,oltre a diminuire il senso di solitudine, di incomprensione e di sfiducia nelle persone che questa esperienza genera nel minore.
Alice Miller ha sottolineato la necessità del bambino che subisce un abuso di trovare accanto a sè un familiare, un amico, un educatore capace di ascoltare i sentimenti di dolore, collera, impotenza prodotti nel bambino da quella situazione e di condividerli come un avvocato difensore.
Dando parola alle emozioni del minore si può contrastare l’atteggiamento di negazione della verità che l’adulto abusante utilizza : “Non devi dire a nessuno quello che facciamo, e se anche lo dici, nessuno ti crederà” “Non devi accorgerti che ti sto facendo violenza, in fondo anche a te piace”.
Questi messaggi possono produrre nella vittima un senso di incapacità a distinguere il vero dal falso, di incertezza rispetto alle proprie percezioni, di confusione mentale.
9) L’educazione sessuale può allora diventare uno strumento di prevenzione dalle varie forme di strumentalizzazione sessuale ai danni dei minori e di aiuto a chi ha subito abuso o violenza, sia per farle uscire dall’isolamento che per rielaborare i vissuti negativi di colpa che possono esserne derivati e anche per interrompere la spirale dell’abuso qualora fosse ancora presente.
La coscienza della grande estensione del fenomeno dell’abuso sessuale ai danni dei minori e d’altra parte della grande diffusione negli operatori minorili di atteggiamenti di negazione e di presa di distanza da questa realtà ci fa ritenere che dar parola alla sessualità possa costituire un primo passo per la prevenzione.
10) Essere educatori in materia di sessualità non è facile.
Sovente si incontrano nei gruppi di discussione, nelle conferenze, genitori che riferiscono che il loro figlio preadolescente “non chiede nulla sul sesso” o che “è disinteressato all’argomento” genitori che fanno fatica a comprendere che in realtà loro hanno trasmesso inconsapevolmente ai figli il loro imbarazzo in materia di sessualità, eludendo le occasioni quotidiane per affrontare l’argomento.
Così pure sono molti gli educatori che fanno finta di non vedere il minore che si masturba in classe, trasmettendo così un messaggio diseducativo in materia di sessualità.
Gli atteggiamenti difensivi o ipocriti che sovente connotano i nostri personali conflitti in materia di sessualità inevitabilmente si trasferiscono nelle comunicazioni verbali ed extraverbali che trasmettiamo inconsciamente ai figli o agli allievi. Un certo modello colpevolizzante la sessualità, il disagio e l’imbarazzo nel parlarne che una maggioranza di noi ha interiorizzato nella sua infanzia, contrassegnata da adulti che alle nostre domande hanno risposto “te lo dirò quando sei più grande”, tende a riproporsi, al di là delle nostre intenzioni pedagogiche, nelle relazioni quotidiane con i minori.
L’emergere di emozioni di autenticità connesso alle tecniche di gioco e di psicodramma mette alla prova la capacità dell’educatore di mentalizzare le problematiche conflittuali che spesso emergono nella classe.
E’ necessario allora che l’educatore abbia potuto apprezzare gli aspetti validi ed accettare i limiti e i conflitti della propria esperienza sessuale di adulto, maturandone una immagine realistica e priva di idealizzazioni.
Per evitare di trasmettere messaggi diseducativi in materia di sessualità occorre inoltre riflettere sulle proprie parole ed atteggiamenti, cercando di renderli coscienti, ed elaborare e modificare le proprie contraddizioni ( ad esempio la difficoltà di riflettere sul proprio atteggiamento personale verso la sessualità,la non accettazione del proprio e dell’altrui disagio, il fastidio e l’intolleranza di fronte a manifestazioni sessuali diverse dal proprio modello ideale).
A maggior ragione, incontrare ed ascoltare l’abuso richiede la capacità di mentalizzare contenuti psichici faticosi e sconvolgenti, contenere la sofferenza e la confusione presenti nei minori, abbattere la barriera di silenzio e di paura di parlare che li paralizza, affrontare il disagio e il timore degli adulti che vivono accanto alle piccole vittime.