
18 Set “MI CHIAMO PAOLA, HO QUARANT’ANNI E PER QUINDICI HO SUBITO ABUSI SESSUALI”
“MI CHIAMO PAOLA, HO QUARANT’ANNI E PER QUINDICI HO SUBITO ABUSI SESSUALI”¹
di Lorenza Chinaglia
Paola era una bimba dagli occhi azzurri e dai lunghi capelli biondi. A scuola era diligente e attenta, tanto scrupolosa quanto timida. Le sue materie preferite erano la matematica e il disegno. Odiava invece la ginnastica, non sopportava proprio il doversi spogliare davanti alle compagne. Paola, a 3 anni, ha subito il suo primo abuso sessuale.
«Tornai dall’asilo con un disegno […] voleva essere un regalo speciale per il mio papà. Mi fiondai tra le sue braccia e glielo diedi. E lui mi strinse forte a sé. Come mai aveva fatto prima. Mi strinse e mi spogliò, ‘oggi facciamo un bel gioco’, mi disse»
Paola inizia il racconto della propria storia a partire da quel primo abuso che non riesce a dimenticare e che ricorda nei minimi dettagli. Ricorda anche che subito dopo suo padre si mise a piangere.
«Pianse dicendomi che la mamma se n’era andata e lui mica ce la faceva a tirare su tre figli piccoli da solo. Se io però avessi fatto la brava, se io lo avessi fatto giocare ogni tanto, allora lui sarebbe stato bene e non avrebbe pianto più»
Peccato che quel gioco, quel “divertimento”, come lo chiamava lui, si trasformò in un incubo per la bambina. Un incubo che iniziò quel giorno e andò peggiorando. Gli abusi aumentarono “spesso a cadenza quotidiana”. A 6 anni il maestro elementare convocò il padre perché Paola era solita addormentarsi in classe. Forse qualcuno si era accorto della sofferenza della bambina? No. Il maestro e il padre decisero “di metterla in carreggiata insieme”.
«Dopo il maestro, toccò a non so quanti clienti dell’officina. Vecchi e giovani, non importa l’età. Un giorno venne anche il papà di una mia compagna di classe.»
Aumentavano non solo gli abusi, ma anche gli abusanti. Ci sarà anche Mario, il fratello primogenito e Vittorio, il secondo. Paola a questo punto della storia ha solo e ancora 9 anni. E proprio nella notte di Santa Lucia del suo nono anno di età, nella sua storia si presenta un nuovo inizio, quello delle ospedalizzazioni.
«Le bestie, mio padre e i suoi amici, mi fecero così male che finii in ospedale e per quattro giorni non riuscii a camminare»
Qualche medico che si accorgesse dei segni fisici dell’abuso sul corpo di quella bambina? No. Il medico “si bevve non so quale bugia” e la rispedì a casa. Gli abusi riprendono e Paola inizia a farsi del male. Non mangia più e quello che mangia lo vomita. Dopo essere collassata durante una gita scolastica finisce di nuovo in ospedale e finalmente in terapia dietro richiesta dell’ospedale stesso.
«Per la prima volta in vita mia, avevo trovato la forza di parlarne con qualcuno. Ed avevo sconfitto il nostro più grande nemico, l’omertà. Ora sarei stata salva»
Niente di più sbagliato da poter pensare.
«la psicologa incominciò ad insultarmi, dicendo che mi stavo inventando tutto poiché cercavo un albi alla mia malattia. Che se ero diventata anoressica la colpa non era certo di quel mio premuroso padre che poverino aveva sofferto tanto. Lui che aveva tirato su una famiglia con tre figli da solo, senza una donna al suo fianco, con i debiti da pagare»
L’ennesima porta in faccia. E sì, perché è più facile e più conveniente dare la colpa ad una bambina piuttosto che denunciare un abuso. Paola si sente crollare il mondo addosso e, nell’estate dei suoi 15 anni, decide di cambiare strategia. Prende 25 chili in meno di 3 mesi e quando torna a scuola è irriconoscibile. Si è tagliata i capelli corti e indossa solo tute da ginnastica. Un giorno, in classe, viene assegnato un tema dal titolo “Cose che mi fanno paura”. La professoressa di lettere, dopo aver letto il compito di Paola, la chiama fuori dalla classe. Parlano per un’ora lunghissima e Raffaella decide di prendere dei provvedimenti. Accompagna Paola a casa e affronta suo padre. L’uomo non replica, rimane in silenzio e accusa il colpo.
«Non si sentiva più così intoccabile. Il muro incominciava a traballare e sarebbe rovinosamente caduto a terra. Con lui sotto. Mentre io ero libera, ma soprattutto ero stata creduta. E per la prima volta in vita mia qualcuno si era preso cura di me. Ascoltandomi. Credendomi. Proteggendomi.»
Quanto successo dà a Paola una speranza, uno spiraglio di salvezza, ma è solo un barlume improvviso destinato a spegnersi definitivamente di lì a poco. La professoressa tornando dalla casa di Paola ha un incidente stradale e rimane in coma per 6 mesi prima di morire. Gli abusi riprendono, Paola non sa più cosa fare. Inizia a tagliarsi.
«il dolore era fortissimo, ti esplodeva nella testa ed a volte potevi svenire. Però placava quell’altro di dolore, quello più duraturo e più malvagio»
A 18 anni, dopo un abuso che “andò avanti tutta la notte”, Paola azzarda un ultimo tentativo: parlare con la nonna.
«lei che sapeva benissimo tutto quello che avevo vissuto sulla mia pelle, mi disse che era normale e che i maschi hanno quelle esigenze lì e sta alle femmine di soddisfarli facendo il proprio dovere e visto che la donna di casa ero io, toccava a me…»
È a questo punto della storia che Paola decide di dire basta. Preparerà un borsone e se ne andrà di casa. Per sempre.
Da quel giorno Paola decide di lasciarsi quella storia di abusi alle spalle, ma solo metaforicamente perché l’ombra degli abusi subiti continua a far parte della sua vita. E questa ombra, è bene ricordarlo, Paola la deve non solo a chi le mani gliele ha messe addosso, ma anche a chi le mani ha deciso di mettersele sugli occhi, per non vedere. Perché sì, Paola ha avuto una storia orribile, ha incontrato adulti della peggiore specie, ma sul suo cammino ha dovuto fare i conti anche con adulti negazionisti, ciechi, assenti, incapaci di ascoltare e soprattutto di vedere. E la colpa da attribuire ai primi non è tanto più grave di quella dei secondi. Perché l’abuso non ha bisogno solo della presenza di un abusante e di un bambino abusato, l’abuso ha bisogno anche del silenzio di una società che gli fa da complice.
E se vi siete detti non sta succedendo niente, se la paura di guardare vi ha fatto chinare il mento, provate pure a credervi assolti siete lo stesso coinvolti.
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¹ La storia di Paola è raccolta nel libro “Favole di bambini e dei loro orchi. Storie vere di infanzia violata” di Massimiliano Frassi.