
19 Feb “ORA DICO LA MIA!”: IL BAMBINO ASCOLTATO DAL GIUDICE DURANTE LA SEPARAZIONE DEI GENITORI di Martina DAVANZO
Dal 2012 è stato inserito tra i diritti del figlio minorenne quello di “essere ascoltato dal giudice in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano” se ultra dodicenne o dotato della capacità di discernimento. Questo significa che un bambino coinvolto nella separazione dei genitori ha il diritto di esprimere il proprio parere e mettere il giudice al corrente delle sue opinioni e dei suoi desideri in merito.
Un tale passo simboleggia una nuova concezione della persona in età minore, posta al centro di una nuova attenzione giuridica. Cosa significa, però, ascoltare un minore?
L’ascolto è considerato, per la sua etimologia, un momento caratterizzato da una dinamica precisa: una persona, in posizione attiva, che esprime i propri pensieri e desideri a una seconda che si limita ad udire in posizione se non di passività, di recettività.
Rispettare questi ruoli è fondamentale affinché si possa parlare veramente di ascolto, ed è proprio la posizione recettiva ed accogliente dell’ascoltatore che differenza questo momento da quello dell’interrogatorio.
L’ascolto del minore, nella pratica giudiziaria, ha il fine di mettere il giudice a conoscenza dello stato d’animo del bambino in relazione alla situazione che si è venuta a creare intorno a lui: non ha lo scopo né di raccogliere materiale probatorio ai fini decisionali, né di domandare al bambino con quale dei due genitori vorrebbe restare; questa è una scelta che riguarda il giudice e avverrà sulla base degli elementi raccolti durante il procedimento ed i colloqui con i genitori. Oltre a questo fine “strumentale”, il momento dell’ascolto porta con sé diversi obiettivi: innanzitutto quello di far conoscere al minore il giudice che prenderà decisioni che riguarderanno la sua vita, consentendogli di crearsi una rappresentazione realistica di tale figura e dell’ambiente giudiziario. Inoltre, il momento di relazione che si crea tra il bambino ed il “suo giudice” consente a quest’ultimo non solo di entrare a conoscenza dei pensieri e degli stati d’animo del bambino, ma anche di stabilire con lui in una relazione empatica, garantendo al minore una comprensione dei suoi vissuti che non sia solo puramente pratica e scevra di emozioni.
Ascoltare un minore dovrebbe significare, però, non solo comprenderlo in quel momento, ma anche esplorare lo stato d’animo del minore all’interno dell’ambiente e del contesto familiare e sociale in cui è inserito; per questo motivo non è sufficiente un incontro di un’ora in un’aula di tribunale per garantire al giudice una completa conoscenza della vita del minore e di quale sia il suo superiore interesse, ma è necessario che si instauri una rete di collaborazione che dovrebbe includere diverse figure di operatori, psicologi, assistenti sociali, educatori, insegnanti.
Un ascolto che sia arricchito ed affiancato da un’analisi delle dinamiche familiari in cui il bambino è inserito garantisce una maggiore accuratezza sia al bambino, cui viene garantita una maggiore comprensione ed un intervento ponderato sulle specifiche necessità del caso concreto, sia al giudice che, forte di un parere professionale critico e competente, è in grado di perseguire in maniera più efficace il superiore interesse del minore.
Il migliore ambiente dentro il quale comunque le parole del minore dovrebbero trovare ascolto è quello familiare: i genitori dovrebbero essere al corrente delle opinioni e dei desideri del figlio e dovrebbero essere in grado di tutelare il suo interesse anche all’interno di un clima di conflittualità genitoriale.
Non basta in conclusione un momento isolato di ascolto, l’ascolto dovrebbe essere un atteggiamento costante della comunità adulta nei confronti del bambino.
Ho fatto la mia tesi di laurea su “L’ascolto del minore nei procedimenti civili”. Sono rimasta affascinata da alcuni principi giuridici che prestano una nuova attenzione al diritto all’ ascolto del minore. Nel mio approccio come tirocinante psicologo al confronto con la realtà sociale ed istituzionale mi accorgo che c’è uno scarto, talvolta drammatico, tra le garanzie e le aperture del diritto e la vita reale dei bambini.