Perchè la violenza sui minori è impensabile

Perchè la violenza sui minori è impensabile

 

Ci sono quattro ordini di ragioni per cui la violenza all’infanzia ed in particolare l’abuso sessuale può risultare impensabile ed in qualche misura inaffrontabile da parte della comunità adulta, da parte degli stessi operatori che dovrebbero riconoscere e contrastare quella violenza, da parte degli stessi esperti chiamati all’accertamento psicologico dell’attendibilità del minore. Tali ragioni hanno a che fare con: 1) la partecipazione penosa ai vissuti emotivi sofferti e conflittuali delle vittime; 2) l’impatto disorientante con la confusione; 3) il bisogno di mantenere il ricorso all’idealizzazione; 4) la paura di prendere una posizione e di andare incontro a conflitti.

1) Chi si avvicina alle situazioni di maltrattamento e di abuso sessuale sui minori è obbligato ad entrare in contatto con le emozioni fortemente spiacevoli delle vittime: la sofferenza, la paura, la rabbia, l’agitazione, la colpa, la vergogna, l’angoscia, il disprezzo di sé, ecc… Si tratta di vissuti logoranti dalle quali la mente tende a difendersi attraverso meccanismi difensivi che allontanano le informazioni e le emozioni disturbanti. Il vissuto emotivo che risulta maggiormente difficile da ascoltare e da condividere è l’impotenza, un vissuto che risulta particolarmente indigesto per l’osservatore e dal quale la mente degli operatori tende a respingere massicciamente. Il contatto con i sentimenti penosi e con i processi emotivi di disgregazione delle piccole vittime contrasta l’avvicinamento empatico alle condizioni e alle istanze dei bambini maltrattati ed abusati.

2) Il riconoscimento del maltrattamento da parte della comunità adulta e da parte degli operatori è messo a dura prova dalla confusione, dalla quale la consapevolezza della comunità adulta e la mente degli stessi operatori vuole proteggersi. La mente umana aspira all’ordine, mentre l’impatto con le situazioni familiari e relazionali dove si consuma il maltrattamento sui bambini costringe a contattare il caos. La violenza sui minori è un territorio dove le confusioni inevitabilmente si generano e si accumulano. In particolare si può verificare questa dinamica nell’abuso sessuale sui minori: confusione nella coppia abusante-abusato tra i ruoli generazionali, tra la vittima e l’aggressore, tra l’innocente e colpevole, tra il linguaggio della tenerezza del bambino e il linguaggio della passione dell’adulto; confusione tra il ruolo passivo e il ruolo attivo, tra l’amore e l’odio, tra il. bene e il male, tra la realtà e la fantasia nella vittima stessa; tra il piacere e il senso di colpa, tra l’eccitazione e l’impossibilità psicofisica di gestirla da parte del bambino; confusione tra il passato di vittima e il presente di aggressore sessuale nell’adulto, tra la comprensione e la condanna nei suoi confronti, tra la gentilezza seduttiva e la strumentalizzazione brutale da parte dell’autore dell’abuso, etc.

3) Mentalizzare l’abuso sessuale in danno dei minori comporta inevitabilmente una qualche profonda rinuncia al bisogno di idealizzare la realtà. Il mondo degli adulti, le figure dei genitori, il funzionamento della famiglia appaiono attraversati da correnti di odio e di strumentalizzazione e caratterizzati pertanto da tratti molto diversi da quelli ottimali, desiderati e rassicuranti per tutti: tratti di benevolenza, di disponibilità, di protezione verso l’infanzia. La presa d’atto delle potenzialità violente e strumentali che possono comparire nelle figure genitoriali può in qualche misura disturbare non solo il bisogno di mantenere una visione il più possibile ideale e positiva del genere umano e della realtà sociale, ma anche lo stesso bisogno di conservare un ‘immagine totalmente ideale della propria infanzia, della propria storia familiare e della propria stessa mente. Allontanare dalla percezione e dal pensiero il maltrattamento e l’abuso sessuale ai danni di un bambino può indubbiamente consentire di mantenere la visione della famiglia come luogo ottimale di accudimento, la visione della comunità adulta come una comunità tutto sommato buona con i propri cuccioli, la visione della mente umana, come sostanzialmente priva di potenzialità sadiche e perverse.

4) Riconoscere il fenomeno del maltrattamento e dell’abuso, ascoltare empaticamente un minore vittima di violenza obbliga l’operatore a compiere delle scelte che fanno scattare la prospettiva ansiogena del conflitto. Come ha affermato René Girard, laddove le differenze sono gravemente abolite come nel maltrattamento fisico, nell’incesto e nell’abuso sessuale in danno dei minori, si può determinare una spirale di violenza capace di contagiare tutti coloro che vi si avvicinano. L’adulto che prende sul serio fino in fondo la rivelazione di un bambino attinente ad una violenza viene ad essere coinvolto in un’identificazione molto rischiosa con la piccola vittima: anche lui può andare incontro a reazioni di aggressione e minaccia da parte di quella fetta del mondo adulto con la quale si porrà in conflitto per il fatto stesso di non aver lasciato le comunicazioni del bambino in un’area di silenzio e di incredibilità. Anche l’operatore può esporsi a risposte di colpevolizzazione, di incredulità, di ritorsione punitiva da parte dell’autore della violenza o della stessa comunità istituzionale, come del resto può succedere alla piccola vittima, per il fatto stesso di mettere in parola il maltrattamento, rompendo il muro di silenzio che l’accompagnava. L’operatore che diventa testimone soccorrevole di un bambino violato potrà così andare incontro anch’egli (anche se in genere in misura più ridotta) a reazioni ostili e a pesanti accuse, in misura direttamente proporzionale alla capacità di risposta sociale e giudiziaria degli adulti coinvolti. Tanto maggiore risulta l’ansia di dover affrontare delle grane, delle reazioni conflittuali tanto più forte risulterà la tentazione degli operatori e dei potenziali testimoni di minimizzare e di negare il riconoscimento dei segni della violenza, di evitare e di delegare la responsabilità connessa al proprio ruolo di professionista o di testimone.

C’è infine una quinta ragione che si contrappone al riconoscimento pieno del fenomeno della violenza e che ostacola l’ascolto attivo ed emotivo dei bambini maltrattati ed abusati. Nell’avvicinamento alle problematiche della vittima e dei suoi familiari, l’operatore rischia inevitabilmente di sentire risuonare dentro di sé pagine penose della propria storia personale: ricordi, eventi, vissuti e situazioni problematiche magari accantonate, poco o niente elaborate, che sono riattivate dall’impatto con la sofferenza dei bambini e degli adulti, che si è chiamati ad incontrare nell’attività professionale.

Il rischio di incontrare situazioni personali di sofferenza (che peraltro qualsiasi adulto e qualsiasi professionista può avere sperimentato, in forme più o meno gravi, nel corso della propria infanzia e nella propria adolescenza o che magari sta vivendo nell’attualità, risulta pesante per l’operatore, tanto più rigide sono le sue difese nei confronti della propria vita emotiva. Un’ulteriore ragione per voltarsi dall’altra parte!