06 Dic Perizie
Le modalità con cui le perizie si possono svolgere sono molto diverse e seguono linee guida ispirate a principi e a metodologie contrastanti.
In alcune linee guida che risultano molto influenti nella comunità degli psicologi forensi la sofferenza del bambino viene persa di vista e vengono disattesi principi psicologici, etici e giuridici al centro di raccomandazioni internazionali e leggi nazionali. Dichiarazioni di principio sul valore sovraordinato e prioritario dell’interesse del minore e sulla centralità dell’ascolto del bambino vengono formalmente osannate per essere disprezzate nei fatti.
Il diritto alla cura per il bambino in ogni momento del percorso giudiziario viene conculcato e sacrificato sull’altare di una scelta ipergarantista a tutela esclusiva degli adulti, indagati ed imputati per reati sessuali. La necessità che il diritto alla salute sia considerato primario rispetto ad ogni altra esigenza viene totalmente disattesa.
La cura del bambino rappresenta lo spartiacque, il valore discriminante che differenzia queste linee guida. Da una parte esistono documenti come la Dichiarazione di Consenso in tema di abuso sessuale all’infanzia che afferma con estrema chiarezza al punto 5.2: “anche se l’intervento sul minore nasce in un quadro giudiziario, esso dovrà rispettare i criteri comunemente riconosciuti in ambito clinico”. La cura del bambino e il rispetto dei suoi bisogni emotivi vengono dunque considerati valori importanti.
Nella stessa ottica le Linee Guida per le perizie in caso di abuso sui minori dell’Ordine degli Psicologi del Lazio evidenziano il bagaglio clinico che lo psicologo deve portare con sé nella conduzione del colloquio peritale:
“Nell’incontro con il minore è necessario instaurare una relazione empatica che permetta di comprendere l’espressività e il linguaggio del bambino, il suo modo di entrare in rapporto con le cose e le persone, il livello di integrazione fra realtà e fantasia;
l’esperto deve essere consapevole che durante lo svolgimento del colloquio con il minore, specie se in età prescolare e soprattutto se in ipotesi di abuso sessuale, essendo in questi casi il colloquio ancora più impostato su modalità emotive, possono attivarsi profondi processi transferali e controtransferali. Pertanto, la capacità di gestire tali processi garantisce il rispetto della specificità del contesto valutativo”[1].
Dall’altra parte ci sono linee guida, che, dopo aver tributato un omaggio formale alle convenzioni internazionali sui diritti del bambino, finiscono per subordinare palesemente i bisogni e i diritti di ascolto e di cura dei bambini non solo e non tanto alle esigenze giudiziarie, quanto piuttosto alle esigenze della tutela degli imputati.
Il Protocollo di Venezia per es. non esita ad affermare perentoriamente all’art. 8: “Fatta eccezione per le situazioni di rilevante gravità psicopatologica dei minori, è consigliato l’avvio di un percorso terapeutico solo dopo l’acquisizione della testimonianza in sede di incidente probatorio. In ogni caso, l’attività clinica, nelle fasi precedenti all’acquisizione della prova testimoniale, deve esulare dalla raccolta delle dichiarazioni dei minori relative al presunto abuso sessuale”.
Considerando anche la lunghezza del procedimento penale e il fatto che l’incidente probatorio può essere richiesto fino all’udienza preliminare, oltre il termine di scadenza delle indagini preliminari, non può non risultare assolutamente evidente come i diritti dei minori alla cura e alla tutela vengano del tutto sacrificati, qualora si seguano le indicazioni contenute in tale protocollo[2].
La logica del Protocollo di Venezia risulta analoga a quella in base a cui di fronte ad un incidente stradale con un grave ferito bisognerebbe bloccare i soccorsi in attesa che arrivi il vigile per gli accertamenti o addirittura il perito dell’assicurazione. Nei casi più gravi un intervento medico al ferito potrebbero essere prestato, ma con il divieto assoluto nei confronti del sanitario di operare sulle conseguenze dell’incidente. Al massimo si potrebbe curarlo per il raffreddore.
Va rilevato come la Carta di Noto e la Carta di Venezia, per l’utilizzo massiccio che ne è stato fatto dagli avvocati e consulenti psicologi degli imputati di reati sessuali e per l’indubbio prestigio di cui godono gli estensori, hanno finito per risultare un documento molto citato nei tribunali, finendo talvolta per accreditarsi come l’espressione dell’intera comunità scientifica e non di una sua parte.