09 Giu PSICOTERAPIA DEL TRAUMA E SHATSU. COME MI HANNO PERMESSO DI USCIRE DALLA BOLLA di Valter Ferrero
Per quasi tre quarti della mia vita sono vissuto in una bolla che non mi permetteva di vedere e sentire il mondo esterno così com’è, ma mi permetteva di vederlo soltanto attraverso il filtro delle mie aspettative e credenze. Vivevo in una sorta di obnubilazione all’interno della mia bolla e sentivo di non avere né la forza né il diritto di esprimere ed affermare i miei bisogni e tutelare i miei confini e quindi per anni li ho minimizzati e non difesi. L’incontro una ventina di anni fa con l’analisi ha reso possibile il riconoscimento di questo stato, anche se con il procedere della terapia mi accorgevo di essere ad un punto morto. Mancava il salto di qualità: il riappropriarsi del proprio passato. Dopo questo periodo che definirei strutturale, mi sono imbattuto una quindicina di anni orsono nello shiatsu e da alcuni anni ho intrapreso un nuovo percorso analitico che si basa non sulla rimozione ma sullo sdoganamento delle emozioni rimosse e sepolte. L’unione tra shiatsu ed analisi mi ha a poco a poco permesso, e mi permette tuttora, di ricordare e riappropriarmi della mia storia. Di conseguenza parlare di shiatsu vuole anche dire raccontarsi. Ho vissuto gran parte della mia vita non ricordando niente della mia infanzia e della mia adolescenza, e pensando che questo fosse normale, senza sospettare peraltro che questa “amnesia” fosse un artificio della mia mente per proteggermi dal ricordo.
Rimuovendo il passato ho così anche rimosso le emozioni correlate e quindi, oltre a non ricordarle, non le sentivo e non le vedevo, come se fossi in una sorta di paralisi emotiva. Per quanto mi posso ricordare, ho cominciato ad essere abusato e maltrattato all’asilo, anche se parte della mia pelle porta segni antecedenti, e questo stato di cose si è protratto sino all’adolescenza. Spesso cerchiamo di dimenticare i periodi dolorosi per proteggerci e difenderci da ulteriori sofferenze. Ogniqualvolta entriamo in contatto con l’esperienza della sofferenza, crediamo di non poterla sopportare, ricacciamo sentimenti e ricordi giù sino in fondo al nostro inconscio e non ci curiamo di quel bambino dentro di noi che cerca di attirare la nostra attenzione, anzi, fuggiamo via perché abbiamo paura di soffrire, ma il fuggire non mette fine alla sofferenza, la prolunga soltanto.
Il corpo è il custode della nostra verità, poiché porta dentro di sé l’esperienza di tutta la nostra vita e fa in modo che ci sia possibile vivere con la verità del nostro organismo. Con l’aiuto dei sintomi ci costringe ad ammettere tale verità anche a livello cognitivo, per consentirci di comunicare col bambino che è vivo in noi e che in anni lontani è stato disprezzato ed umiliato. Il corpo non si lascia ingannare dalle parole, come invece accade all’intelletto, poiché le funzioni corporee, come respiro, circolazione del sangue, digestione, reagiscono soltanto alle emozioni vissute e non alla volontà: il corpo si attiene ai fatti.
Oggi sappiamo che il nostro corpo conserva completa memoria di ciò che abbiamo vissuto, e che esso cerca per tutta la vita il nutrimento di cui avrebbe avuto bisogno nell’infanzia e che non ha mai ricevuto, ed attraverso la malattia si oppone al falso e pretende incondizionatamente la verità. L’inconscio di ogni essere umano coincide con la sua storia, che è interamente depositata all’interno del corpo, ma rimane accessibile soltanto per piccoli frammenti. L’emozione è la reazione corporea, non sempre consapevole, ma spesso di vitale importanza, a processi esterni o interiori, come per esempio la paura di un temporale, la rabbia di essere stati ingannati, la gioia che si prova a ricevere un regalo, mentre il sentimento esprime la percezione consapevole dell’emozione. Il nostro corpo, in ultima analisi, è come la superficie silenziosa dell’oceano, al cui interno scorrono correnti energetiche nascoste e la pratica dello shiatsu ne favorisce il libero fluire.
L’ascolto ed il rispetto della nostra vita emotiva, di quella dell’altro diverso da noi e della storia di entrambi producono l’energia che ci dà la possibilità di rendere la nostra esistenza più ricca e significativa. Le emozioni muovono dal dentro al fuori in una dimensione fisiologica, mentale e spirituale interna a noi stessi e vengono, se non espresse, manifestate attraverso il corpo ed il movimento. Non si può comprendere né rispettare un soggetto umano senza comprendere e rispettare il patrimonio del suo potenziale emotivo.
Ciò che può risultare distruttivo è la tendenza a far ristagnare le emozioni senza riuscire ad utilizzarle, superarle, elaborarle e gestirle. Tutto ciò può far male alla salute mentale e fisica dell’individuo ed ha come conseguenza il colpire la sua libertà di viversi e la sua possibilità di essere nel flusso della vita.
Nel patrimonio di conoscenze dello shiatsu ci sono colori ed emozioni, ed è come se praticarlo diventasse un bellissimo gioco a due tra ricevente e praticante. Non è forse vero che una delle prime interazioni del neonato col mondo si sviluppa attraverso il gioco? Quindi mi piace pensare che durante un trattamento shiatsu il Qi del ricevente e quello del praticante giochino assieme, si conoscano ed interagiscano con lo scopo di migliorare la loro armonia.
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Dalla rielaborazione della mia storia personale che ho imparato che le esperienze traumatiche si vanno ad incastrare all’interno di noi, portando squilibri energetici che possono perturbare e condizionare tutta un’esistenza. Il trauma si radica all’interno della struttura energetica e prende parte, in forma inconscia, alla regia della nostra vita, condizionandone le scelte. Fintanto che non viene portato alla luce, sradicato e consapevolizzato, la strada del cambiamento sarà in qualche modo preclusa. Da una parte la psicanalisi e dall’altra lo shiatsu, hanno reso possibile il mio cammino.
Ho passato gran parte della mia vita nell’amnesia più totale nel periodo che va dalla nascita all’adolescenza, con una vita emotiva pari a zero: il non sentire e non vedere le emozioni era come se una parte di me fosse morta e non potesse/volesse viverle. Il mio primo ricordo è quello di un ragazzo che percorre una strada rasentando i muri con lo scopo di mimetizzarsi a tal punto da non essere visto dagli altri e nello stesso tempo di sentire il caldo dei raggi solari riflesso dal muro. Ero diventato un ragazzo solitario, perché non potevo fidarmi degli altri, ed ero sempre pronto alla fuga o alla difesa, in poche parole vivevo sempre all’erta. Tutto ciò a causa degli abusi subiti durante la mia giovane vita. L’asilo, che doveva essere un luogo di festa, gioco e scoperta del mondo, si era trasformato in un lager, dove gli abusi ed i maltrattamenti, rimossi dal sottoscritto, erano frequenti. Per uscirne mi ero fatto beccare dalla maestra a bere l’acqua del cesso, visto che, secondo lei, i lividi e i tagli che riportavo durante i “giochi” erano dovuti alla mia irrequietezza. Almeno a mia madre dissero questo. Venne il periodo della scuola elementare, che ancora oggi presenta lati oscuri, con la frequentazione dell’oratorio, ovviamente sempre ai margini, senza interagire molto con gli altri: il solitario che diventa facile preda. E preda diventai, un giorno in cui “qualcuno” vestito di nero mi sbatté la faccia sul pavimento di marmo freddo della chiesa e, tenendomi la mano stretta al collo, si prese “cura” di me.
Ancora oggi, ma sempre di meno, se entro in un luogo di culto comincio a tossire come se avessi centinaia di spilli conficcati in gola. In tutto questo la figura paterna è stata vissuta come l’uomo lupo, l’uomo che si trasforma in bestia, l’uomo che dialoga solo con il terrore, la violenza ed il sopruso, inebriandosi di poter, l’uomo che a suo figlio insegna a non sentire né la vita né il dolore, che abusa e maltratta a suo piacimento. Io in tutto questo ero come una barca alla deriva, in balia delle onde e piano piano ho iniziato a chiudermi in me stesso, a bastarmi vivendo nella mia bolla, a sentire un po’ di calore umano abbracciandomi. Mia madre in questo contesto faceva quello che poteva, l’unico bacio glielo rubai facendo finta di dormire, ancora adesso mi porto dentro il cuore quel ricordo che ha riscaldato, e continua tuttora, a riscaldare la mia vita. Comunque la mia vita andava avanti. Mi sposai e diventai padre di due stupendi maschietti, ma il mio persecutore interno imperversava, tanto che lasciai che il mio matrimonio finisse e per i primi anni di paternità non riuscii mai a toccare i miei figli, come se dovessi proteggerli da qualcosa di interiorizzato e incancrenito dentro di me. La paura di poter agire su di loro le stesse violenze da me subite mi bloccava, fino a quando un episodio mi svegliò da questo incubo. Ero nel bagno e mi preparavo ad andare al lavoro, mentre il mio secondogenito giocava vicino a me. In quel mentre dentro di me si risvegliò prepotente il mio persecutore interno e, mentre mi radevo, comparve riflessa nello specchio la faccia di mio padre, occhi negli occhi…….
Nello stesso momento dentro di me successe un terremoto e compresi che non mi sarei trasformato da vittima in carnefice ma avrei rotto questo cerchio, mi chinai e abbracciai forte mio figlio e per la prima volta nella mia vita sentii il caldo di una lacrima rigarmi il viso. A questo punto la marcia per il cambiamento era inserita e la ricerca ebbe inizio portando a farmi incontrare per prima l’analisi e poi lo shiatsu.