ROMPERE IL SILENZIO: LA COMUNICAZIONE E’ ANTITETICA ALLA VIOLENZA SUI BAMBINI

ROMPERE IL SILENZIO: LA COMUNICAZIONE E’ ANTITETICA ALLA VIOLENZA SUI BAMBINI

La comunicazione tra adulti e bambini non può che essere antitetica alla violenza e alla perversione, a qualsiasi forma di appropriazione distruttiva dell’altro.

person-906693_960_720.jpgdentro

Abbiamo costituito venti anni fa un’associazione che si chiamava Rompere il silenzio. Proprio in questo periodo ci stiamo ponendo l’obiettivo di ricostituire e di rilanciare su nuove basi questa Associazione. Rompere il silenzio organizzò tre campagne di sensibilizzazione sul tema della sessualità e sul tema dell’ascolto. Abbiamo ribadito in tanti luoghi e sedi che siamo convinti che non ci sia nessuna soluzione operativa nei confronti del disagio o della sofferenza di un minore, se prima non si crea un atteggiamento di ascolto, un clima relazionale positivo, autentico ed accettante tra l’adulto che vuole aiutare e il bambino che chiede di essere aiutato. Solo se aiutiamo il bambino a rompere il silenzio possiamo fare esprimere la sofferenza che rischia di restare nascolta, fare emergere gli abusi che rischiano di restare sommersi. Il fondamento di qualsiasi intervento è la capacità di ascolto, di condivisione, e anche di ammissione delle proprie difficoltà. Dall’ascolto, dalla possibilità di rompere il silenzio nasce la possibilità del cambiamento.

I bambini devono poter parlare con i propri genitori, con gli insegnanti, gli educatori, comunicare i problemi piccoli e grandi, i disagi piccoli e grandi, i segreti piccoli e grandi. Questa è la risposta di prevenzione alla pedofilia. Non illudiamoci di poter risolvere il problema con la sola repressione nei confronti dei pedofili (la repressione risulta certamente necessaria ma non risolutiva). Si tratta di sviluppare la capacità degli adulti ad essere disponibili all’ascolto e alla comunicazione con i bambini, ad avere un atteggiamento emotivo ed un linguaggio che consenta ai bambini di parlare.

Ma qualcuno potrebbe chiedersi: quale silenzio dovrebbe essere ancora infranto in un mondo di comunicazioni, di reti e interconnessioni, in un universo che sembra non desiderare altro che assorbire e divulgare tutto quanto ognuno possa avere da dire. In effetti potremmo interrogarci se esiste ancora davvero un silenzio da rompere.

Qualcuno potrebbe obiettare: quale silenzio si dovrebbe poi rompere intorno ai bambini: sono loro al centro di dibattiti, conferenze, convegni, studi!

In effetti non c’è trasmissione televisiva, giornale, rivista che non si dimostri interessata ai bambini.

Esiste una sorta di puerocentrismo (alimentato in parte dai sensi di colpa, in parte dalle proriezioni narcisistiche degli adulti sui bambini) che tende a bamboleggiare e a consolare i bambini, a fornirgli tante rassicurazioni e soddisfazioni (soprattutto di tipo materiale senza tuttavia aiutarli ad esprimere i sentimenti, a confrontarsi e a crescere in una realtà difficile, ad assumere sempre maggiori responsabilità, prima fra tutti la responsabilità di mentalizzare e di mettere in parola le situazioni di disagio e di difficoltà.

Ma io non mi riconosco in questo rumore. Se m’identifico con un bambino portatore di disagio, se mi calo nei suoi panni, a me, in quanto bambino sofferente, pare che ben pochi siano davvero interessati ad ascoltarmi. Pare che quasi nessuno sia davvero interessato a sapere qualcosa di autentico sulla propria infanzia e sull’infanzia altrui, come dimensione caratterizzata anche da debolezza, incertezza e dolore.

Non è una affermazione di principio, è una esperienza desolata che ha avuto inizio quando, con grandi sforzi, incoerenze e sofferenza, abbiamo cercato di metterci dalla parte dei bambini e, soprattutto, dalla parte del bambino che noi siamo stati.

Allora, in mezzo alle parole e alle immagini dei media e della cultura, abbiamo iniziato a vedere, con incredulità e sgomento, quali sono i muri di silenzio, di vergogna, di colpa, che circondano ancora oggi il maltrattamento all’infanzia e lo rinchiudono, aggravandone la portata e le conseguenze, in una prigione in cui il diniego è la regola.

Dobbiamo rompere allora, innanzitutto, il nostro silenzio interno, autorizzarci a sentire quanto in noi c’è di buono e positivo, ma anche quanto c’è di doloroso e sofferente, ad autorizzarci a gioire e a piangere, a provare amore e a provare rabbia. Sentirci interi per cominciare ad accettare interamente gli altri.