S.G.R.U.N.T.

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di Claudio Bosetto

Su La Stampa del 14 novembre don Aldo Bonaiuto, della comunità Giovanni XXIII, commentando il caso delle “baby squillo”, così conclude: “La cosa grave è non aver sentito in questi giorni nessun rappresentante della scuola esprimersi”.

Senza usurpare la dignità di “Rappresentante della Scuola”, ma essendo un insegnante, provo ad esprimermi.

Confesso che la mia difficoltà è stata non avere capito in quale categoria diagnostica o psico socio pedagogica poter inserire il fenomeno della prostituzione minorile. Vedo di spiegarmi.

Negli ultimi mesi ho lavorato nel GLHI o nel GLI per compilare il PAI, il PEI e il POF. Poi ho discusso sui BES per distinguerli dai DSA, dagli ADHD, dai BC, dai DOP e dagli HC; questo per capire se si dovrà richiedere una ICF o una DF, ovvero compilare un PDP o un PEI. Finalmente il CD, presieduto dal DS in collaborazione con le FO e dopo aver sentito le RSU, ha deliberato il PAI che è stato inviato all’UUSSRR, nonché ai GLIP e al GLIR. Solo a tal punto i singoli GLH completeranno il PEI. Tutto questo con l’opportuno sostegno dei CTI e dei CDH. Spero di essere stato chiaro, non aver dimenticato nulla, e mi scuso anticipatamente per i possibili errori.

Credo che la scuola, ed io stesso come insegnante, non ci siamo pronunciati sul fenomeno delle “baby squillo” perché non abbiamo ancora trovato un acronimo per indicarlo.

Mi sento un poco colpevole per il tono ironico (enuncio che è ironico perché temo che alcuni colleghi potrebbero non coglierlo) perché so che dietro agli acronimi si nascondono problemi importanti. Mi chiedo però con preoccupazione se dietro alle sigle BES (Bisogni Educativi Speciali), DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento), DOP (Disturbo Oppositivo Provocatorio), HC (Handicap) ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività) e BC (Borderline Cognitivo) ci siano ancora delle persone, o se gli acronimi si siano trasformati in tanti spilli con cui appuntare alla nostra agenda delle diagnosi così da non vedere più bambine e bambini. Magari proprio quelli che da adolescenti potrebbero diventare vittime o aggressori.

Le baby squillo avrebbero bisogno ora e avrebbero avuto bisogno nel loro passato di qualcuno che le vedesse e si avvicinasse loro. L’enorme visibilità mediatica che oggi le inchioda è forse proporzionale all’invisibilità della loro sofferenza reale: bambine invisibili, per le quali la sovrastimolazione dei sensi è stata causata anche dalla mancanza di “senso”. A questo dovrebbe servire la scuola: dare uno spazio per essere visti, non come un “problema”, o una sigla, ma come una persona; offrire ai bambini, come ai loro insegnanti, la possibilità di trovare un senso nella propria esperienza, in particolare in quella più carica di disagio e sofferenza.

Ma queste sono operazioni che non necessitano di sigle, acronimi, o di raffinati professionisti specializzati. A scuola, e certamente in famiglia, c’è bisogno di prossimità, c’è bisogno di avvicinare l’altro, guardarlo negli occhi. Poi rivolgere quello stesso sguardo dentro di sé, e poi ancora verso l’altro, finché nello sguardo dell’altro riusciremo a vedere qualcosa di noi stessi. E provare finalmente compassione.

Qualche volta sono capace di farlo. Con sorpresa mi accorgo che allora i miei alunni riescono anche ad imparare le tabelline e i congiuntivi.