SESSUALITA’, PREVENZIONE E PAURA DELL’AIDS  di  Leopoldo GROSSO

SESSUALITA’, PREVENZIONE E PAURA DELL’AIDS  di  Leopoldo GROSSO

Al convegno “L’educazione sessuale che non c’è, l’abuso sessuale che c’è e il mancato ascolto del bambino” organizzato dal Centro Studi Hansel e Gretel e da Rompere il silenzio, parteciperà fra gli altri Leopoldo Grosso, psicologo, psicoterapeuta, Presidente Onorario Gruppo Abele.

Pubblichiamo qui di seguito alcuni stralci di un suo intervento sul tema dell’educazione sessuale e della prevenzione dell’AIDS tratto da libro “Sessualità e paura in tempi di Aids“, AIED Verona, 1997.

“La paura diventa un problema nel momento in cui ce n’ è troppa o manca del tutto. Se è presente nella giusta “dose” la paura può svolge svolgere un’utile funzione adattiva nei confronti della realtà. La paura contenuta all’interno di una soglia ottimale mette in guardia dal pericolo e stimola dei comportamenti consapevoli e riflessivi. Viceversa la troppa paura, l’ansia non controllata che sfocia nel panico, oppure la rimozione e la negazione della paura, costituiscono il terreno su cui si innestano e prevalgono le decisioni irrazionali e l’incoscienza di comodo….”

“…La paura dell’Aids si ingigantisce all’interno dei contesti di sicurezza urbana,soprattutto nelle grandi città. La battuta in un film giallo di un poliziotto di Los Angeles centra il segno:”E’ diventata una città proprio invivibile:per respirare bisogna andare in giro con la mascherina,per uscire di casa è necessaria la pistola, per fare l’amore ci vuole il preservativo.” . “…Il popolo dei senza dimora è in espansione. Al suo interno più di un migliaio di persone in Aids conclamato vivono in strada. Alle Stazioni, sempre più blindate, non è corrisposta una crescita dei Centri di accoglienza e dei Ripari notturni . Un’industria che oggi non conosce crisi è l’industria della sicurezza. L’auto stessa,soprattutto di sera,non è solo più un mezzo di trasporto,ma un abitacolo protettivo nei confronti del fuori;oppure la “stanza” dove qualche sfrattato dorme la notte. La paura dell’Aids trasforma la malattia in arma di attacco: l’ennesimo rapinatore che, impugnando la siringa,ha rapinato una serie di esercizi commerciali, ha riservato una sorpresa:non era né una persona tossicodipendente e tantomeno hiv positiva,ma un piccolo imprenditore in grave difficoltà economica…”

…” Tutto questo per affermare cosa? Che nel momento in cui l’Aids si coniuga sempre più con le povertà materiali e culturali,più l’infezione ha la possibilità di espandersi al resto della popolazione .La falsa rassicurazione percepita dagli interventi d’ordine pubblico su facili capri espiatori in realtà produce maggiore insicurezza sul piano della salute pubblica e delle possibilità di contagio. Una equazione è emersa con evidenza in questi anni: più emarginazione comporta più solitudine e disperazione. Più solitudine e disperazione generano minore senso di responsabilità per se stessi e per gli altri. ….Mettere in campo più cura ed assistenza, più prendersi cura non è solo un gesto di sensibilità sociale e solidarietà,perché maggiore integrazione sociale significa più sicurezza per la città e maggiore salute per tutti.”

…”Quali strategie preventive?…Innanzitutto strategie mirate,molto contestualizzate,con target molto ben individuati,che richiedono modalità specifiche ,linguaggi declinati. La prevenzione deve riuscire a collegarsi sempre di più a circuiti di comunicazione interpersonale che si riescono a creare. Va sganciata sempre più da un’informazione generalizzata. I messaggi generalisti ,rivolti indiscriminatamente a tutti,che si disperdono nel vuoto, risultano inutili, inefficaci e talvolta anche controproducenti. Occorre invece trovare,costruire,inventare dei luoghi e dei momenti di comunicazione e di confronto in cui ci si guarda negli occhi,individualmente e in piccoli gruppi.”…

…” Inoltre, per districarsi nella complessità,bisogna riuscire ad articolare l’intervento preventivo sulle specificità dei singoli soggetti,rispettando l’identità della persona,i loro contesti familiari e di vita,per metterle meglio in grado di appropriarsi di modalità di scelta responsabile e di gestione del rischio. Sostanzialmente ,anche in molte situazioni preventive è opportuno adottare logiche di riduzione del danno,soprattutto dove non possono attecchire e risultano disfunzionali gli approcci prescrittivi,soprattutto se tradotti nell’imperativo assoluto: “Devi fare così!”. Nel cercare di mediare, perché le precauzioni possibili vengano accettate,bisogna tollerare che si corra e avvenga l’assunzione di qualche rischio. L’informazione, per essere effettivamente compresa, deve calarsi in un progressivo processo d’interazione espansiva. Non basta la correttezza informativa. Dobbiamo occuparci dei modi in cui le informazioni vengono date,possibilmente monitorare le loro vicissitudini,contestualizzarle nell’insieme di conoscenze e emozioni che avvolgono il soggetto nel momento in cui vi impatta. Il che significa riuscire a calare i problemi oggettivi nelle reti dell’intersoggettività.”…

….”Infine è anche importante uscire dagli ambulatori,non occuparsi solo di chi bussa. Viene richiesto un lavoro “extra-moenia”,fuori dalla valenza protettiva fornita dalle nostre sedi usuali. Si impone di lavorare con soggetti sociali difficili,complicati da raggiungere,in territori poco conosciuti dove vigono parametri culturali di cui non abbiamo conoscenza e che dobbiamo imparare. Bisogna farsi accettare,riuscire a creare le condizioni per dialogare ,fornire informazioni credibili non solo di per sé,ma anche per la fonte che li pronuncia e se ne fa carico.”…

Tags:
,