SONO STATI BASTARDI, MA DENTRO C’E’ UN BAMBINO SOFFERENTE CHE CHIEDE AIUTO E TALVOLTA GLI POSSIAMO PARLARE. La risposta di Claudio Foti

SONO STATI BASTARDI, MA DENTRO C’E’ UN BAMBINO SOFFERENTE CHE CHIEDE AIUTO E TALVOLTA GLI POSSIAMO PARLARE. La risposta di Claudio Foti

baby DENTRO ARTICOLO

Cara Eliana,

innanzitutto a domanda concreta risposta concreta. La risposta è sì: al nostro interno ci sono anche persone che hanno subito abusi sessuali nella loro storia personale e persone che hanno dovuto affrontare vicende di abuso ai danni dei loro figli, anche piccoli Chi al nostro interno ha patito o assistito a gravi abusi ha cercato di riattraversare e di elaborare attraverso varie forme di psicoterapia queste storie: i fatti, i ricordi e le emozioni. Avendo sperimentato in prima persona quanto sia fondamentale impegnarsi continuativamente in un percorso di elaborazione delle nostre vicende personali di abuso o comunque delle nostre vicende infantili avversive o traumatiche, abbiamo incontrato molto dolore, ma anche qualcosa di vitale, di straordinario, di trasformativo, un qualcosa che tendenzialmente può essere offerto a chiunque.

Cara Eliana, credo di sentire e comprendere la rabbia di chi ha subito una violenza precoce nell’impotenza più disarmante, di chi ha patito la manipolazione e l’imbroglio vincenti, il ghigno trionfante di chi l’ha fatta franca dopo avere commesso violenza ai danni di un essere inerme. Capisco perfettamente il desiderio di vendetta. Anche la Bibbia lo comprende e lo legittima quando parla di comportamenti che gridano vendetta al cospetto di Dio. Ma credo che purtroppo lei non è stata pienamente aiutata ad elaborare la sua sacrosanta rabbia e il suo comprensibilissimo odio verso gli abusanti, o più precisamente verso il suo abusante. Vede, io credo che sia indispensabile che le vittime possano vivere fino in fondo nei percorsi di psicoterapia la rabbia ed anche l’odio per l’autore della violenza. Ne va della loro salute e del loro futuro. La rabbia e l’odio devono essere pienamente legittimati, quando invece spesso rimangono colpevolizzati. La rabbia e l’odio devono essere contattati e sentiti, e non invece soffocati da ragionamenti buonistici o perdonistici, troppo precoci, come purtroppo avviene spesso. La rabbia e l’odio devono essere espressi su un piano emotivo con un contatto vivo, intenso e profondo prima di potersi sciogliere. L’elaborazione presuppone che il paziente (ed il terapeuta ) sappiano avvicinarsi senza paura alla rabbia e all’odio, emozioni e sentimenti che hanno la possibilità di modificarsi e di evolvere tanto più vengono compresi, accettati, “abbracciati”. E questi vissuti emotivi hanno la possibilità di modificarsi e di evolvere secondo i tempi del paziente e non secondo le aspettative morali e psicologiche del terapeuta. Se la rabbia e l’odio non sono elaborati riemergono costantemente nella vita della vittima e rischiano di proiettarsi in forme inadeguate e su bersagli inopportuni, che a ben vedere non sono quelli che meritano le reazioni di rifiuto del soggetto; rischiano di venir fuori e di scaricarsi magari in quelle situazioni che evocano o assomigliano all’evento traumatico che ha generato in origine la rabbia e l’odio.

Mentre ogni vittima deve essere aiutata ad effettuare il proprio percorso, non è certo contraddittorio che un’associazione come la nostra si ponga il problema di aiutare quelle vittime che sono diventati carnefici e che accettino di effettuare un qualche percorso di consapevolezza.

Almeno per tre ragioni:

1. La prima è la più concreta. Attraverso la terapia e il recupero degli abusanti riduciamo il rischio che questi soggetti ricommettano violenze ai danni di nuove vittime. Rischio che è molto presente quando queste persone dopo aver scontato la loro pena escono dal carcere dopo una reclusione che certamente è stata giusta e necessaria, ma che ha finito per ridursi ad una segregazione sadico punitiva e stigmatizzante.

2. Lavorando con gli autori cerchiamo di aiutarli ad entrare in contatto con la loro infanzia violata e vittimizzata. Stiamo sempre dalla parte dell’infanzia e sempre dalla parte delle vittime, cercando di dare ascolto e comprensione a soggetti che sono stati bambini non sempre abusati, ma pur sempre, in ogni caso, disprezzati, maltrattati, dimenticati.

3. Ed infine una ragione che sperimento soggettivamente. Lavorare come psicoterapeuta con i sex offenders significa imparare un’infinità di cose che possono essere messe a frutto con le vittime: quali sono le profonde radici narcisistiche e sadiche della perversione, qual è il fascino manipolatorio che queste persone possono esercitare sulle vittime, ma anche quali sono le potenzialità di amore e di cambiamento presenti nella mente umana.

Forse, Eliana, lei teme ed ha ragione di temere che l’aiuto agli autori di reato possa essere strumentalizzato dagli stessi. Ci sono psicologi in effetti che lavorano con i sex offenders per sostenerne lo strenuo impegno alla negazione e per garantirne l’impunità. Ma il nostro lavoro va in una direzione opposta.

E’ curioso che lei rimproveri a noi la tendenza a giudicare gli altri. Cerchiamo di non farlo anche nei confronti di coloro che riteniamo giusto siano fermati ed arrestati (e che concretamente in molti casi contribuiamo a fermare ed arrestare).

Il fatto è che abbiamo scoperto e sperimentato la funzione trasformativa della consapevolezza. Anche a partire da questa esperienza tentiamo di aiutare le vittime (ma anche gli autori). Aiutarli ad accorgersi di questo potenziale di cambiamento e di benessere che esiste in ciascuno, anche, se molto spesso – non siamo ingenui – verifichiamo che è difficilissimo attivare il suddetto potenziale. Abbiamo appreso che non c’è nessuno che nasce cattivo. Che non c’è nessuno che non voglia guarire. Anche se sono tantissimi quelli che non riescono a farlo. Abbiamo fatto esperienza personale e professionale che sotto la cattiveria c’è sempre la sofferenza. Che ogni essere umano ha nella propria mente una qualche goccia di una pozione risanante e trasformativa, connessa alla funzione psichica della consapevolezza, anche quando il panorama mentale sembra arido come la superficie della luna.