
01 Mag UNA BAMBINA ABUSATA NEL SILENZIO DI UNA COMUNITA’ OMERTOSA di Elena Comandé
La drammatica morte di Fortuna, una bambina di soli sei anni che ha perso la vita nel giugno del 2014 “cadendo” dal balcone dello stabile in cui abitava ci impone qualche riflessione sulle dinamiche sottese all’abuso sui minori e alla violenza domestica Fortuna “è caduta” dal balcone: questa la versione che gli adulti presenti hanno fornito della tragedia: un evento oscuro, inspiegabile. Ma questa tragedia aveva una causa ben definita: Fortuna si è ribellata all’ennesimo abuso sessuale, si è rifiutata di prestare ancora una volta il suo corpo a quell’uomo, Raimondo Caputo secondo la Procura di Napoli Nord, per soddisfare il suo bisogno di potere e di piacere.
Non voglio addentrarmi nell’esame dei dettagli del caso di cronaca. L’aspetto che maggiormente mi interessa analizzare è quello che riguarda “la rete” che ha sostenuto e permesso che gli abusi su Fortuna e su altri bambini residenti nello stesso stabile si consumassero nel totale silenzio. Questi piccoli sono stati vittime non solo inascoltate, ma addirittura cancellate, annullate, considerate inesistenti di violenze ripetute nel tempo, che si sono consumate giorno dopo giorno.
All’interno del contesto di quel condominio, efficacemente indicato da Concita De Gregorio come “il palazzo delle bugie”, queste atroci realtà trovavano il silenzio e l’appoggio di una parte dei residenti. Molti, infatti, sapevano. Dalla convivente dell’”orco”, madre dell’amichetta da cui Fortuna passava quei pomeriggi che avrebbero dovuto essere di gioco, al primo uomo che ha prestato i soccorsi a seguito della caduta (accusato a sua volta di abuso sessuale ai danni di altri minori dello stesso stabile), fino alla signora dell’ultimo piano che ha negato di aver visto Caputo con la bambina quel pomeriggio: gli abusi si consumavano nel silenzio omertoso di un condominio (o di una parte di esso), di una rete di persone che sapevano ma non hanno denunciato gli atti.
Si tratta di un atteggiamento drammaticamente comune nelle dinamiche di abuso intrafamiliare, dove per abuso non mi riferisco soltanto a quello sessuale: lo stesso meccanismo si innesca (anche se in forme differenziate) per l’abuso fisico e, per altri versi, per quello psicologico. Uno dei due adulti mette in atto la violenza, l’altro lo sa ma non denuncia, i testimoni potenziali si voltano dall’altra parte vuoi perché coinvolti essi stessi in una responsabilità di violenza o comunque di trascuratezza o mancanza di ascolto, vuoi perché hanno qualche ragione per identificarsi con l’adulto violento piuttosto che sul minore oggetto di maltrattamento o di abuso, vuoi perché hanno paura di prendere posizione. Si può creare spesso una sorta di circolo vizioso in cui tutti i membri della famiglia sono invischiati nella violenza e ne sono coinvolti ed assoggettati a tal punto da non poter trovare una via d’uscita.
Così il bambino continua a subire il maltrattamento in modo reiterato e distruttivo.
In questo caso il regime del silenzio si è esteso dal piccolo nucleo familiare in cui le violenze si consumavano quotidianamente (quello dell’amichetta di Fortuna) all’intero condominio: non solo nessuno ha mai denunciato gli atti, ma al momento delle indagini in molti hanno reso false dichiarazioni per proteggere l’abusante, negando ancora una volta. È anche a causa di quel silenzio che Fortuna ha perso la vita, ma l’atteggiamento resta presente e vivo nonostante sia il principale complice della sua morte.
Da questo scuro limbo di omertà si alza, a un certo punto delle indagini, una voce flebile ma decisa: quella dei bambini. È stata proprio l’amichetta di Fortuna, dopo essere stata allontanata dalla madre accusata di violenza sessuale in concorso, a raccontare agli inquirenti la sua verità attraverso le parole e i disegni. Fortuna non è caduta, è stata violentata ripetutamente e poi uccisa, lanciata nel vuoto dall’ottavo piano di quell’oscuro palazzo. La bambina si è ribellata, secondo i racconti dell’amica, dimenandosi e colpendo a calci e pungi il suo aggressore. Poi un grido, un salto nel vuoto, la punizione per il suo rifiuto.
Come racconta De Gregorio nel suo articolo, in quel paesino della Terra dei Fuochi tutte queste realtà sono drammaticamente presenti: l’abuso, le bugie, il silenzio e la morte. L’avvocato della vittima utilizza un’espressione cruda ma significativa quando afferma che in quel luogo bisognerebbe “decretare lo stato di calamità per minori”: i bambini sono vittime innocenti di quella che è stata definita una “calamità naturale” causata dall’uomo.
“Non è meno colpevole di chi violenta e uccide un bambino chi, mentre quel bimbo muore, si volta altrove e parla d’altro”, queste le parole di De Gregorio: una bambina abusata nel silenzio di una comunità omertosa che facilita il lavoro all’abusante e depista le indagini che lo riguardano. Una piccola dichiarata morta per un incidente, quando invece ha perso la vita per un atto di ribellione, disperazione e desiderio di libertà. Una storia spaventosa che impedisce di trovare parole sensate per concludere questo testo.