Un’esperienza di gruppo con detenuti sex offenders presso la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino

Un’esperienza di gruppo con detenuti sex offenders presso la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino

di Claudio Foti

Il gruppo dei detenuti centrato sull’intelligenza emotiva ha cercato di favorire un processo di aggregazione e di avvicinamento autentico delle persone a se stesse e agli altri attraverso la connessione, interna ed esterna, prodotta dal riconoscimento, dall’esplicitazione, dall’accettazione e dall’esplorazione delle emozioni. I partecipanti hanno potuto confrontarsi con le proprie difficoltà ad individuare i vissuti emotivi e a dare loro un nome in un contesto di comprensione reciproca, garantito da una conduzione che ha coerentemente cercato in qualche modo di contrastare – sempre benevolmente – gli attacchi all’interno del gruppo, le squalifiche anche le più sottili e le prese in giro e di favorire, al contrario, un atteggiamento di differenziazione delle soggettività, ma nel contempo di non giudizio.

I detenuti hanno così potuto – embrionalmente, ma significativamente – prendere atto di un analfabetismo emotivo che impoverisce e le relazioni fra le persone, che può condizionare negativamente la comunicazione e che finisce per essere responsabile dell’accumulo di sentimenti inespressi e della conseguente esplosione emotiva e perdita di controllo degli impulsi.

Il giro dei vissuti emotivi è stata una tecnica utilizzata ampiamente per procedere in modo corale nel cammino per avvicinare la testa al cuore, per dare il diritto di cittadinanza alle emozioni. Sono state individuate in un clima di accettazione diverse modalità difensive del gruppo e dei singoli per allontanarsi dai vissuti emotivi più spiacevoli quali la sofferenza, la rabbia, la paura e la tristezza: modalità difensive quali il ragionare, il decantare le proprie virtù, il banalizzare, il distaccarsi al posto di sentire. E’ stato rilevato come anche la rabbia possa essere una via di fuga rispetto alla percezione della sofferenza.

Sono stati riconosciute alcune sorgenti del disagio della comunicazione in gruppo: la paura di essere giudicati, disprezzati, l’ansia di mostrarsi incapaci e diversi dagli altri.

In alcuni momenti i detenuti hanno potuto portare vissuti profondamente autentici e coinvolgenti: la preoccupazione per il futuro, l’ansia per la mancanza di appoggi e di un posto di lavoro all’uscita del carcere, il senso di colpa per avere arrecato un grande dolore ai familiari, la solitudine, il senso di esclusione e di stigmatizzazione , la frustrazione e l’umiliazione nell’esperienza carceraria, in qualche caso limitato il senso di colpa per il reato. Ha cominciato ad essere affrontato il tema dell’immagine difensiva di durezza, di forza, di mascheramento delle emozioni di fragilità che spesso la figura maschile è obbligata a mostrare. E’ stata importante da parte di un detenuto marocchino la comunicazione lucida e sofferta dell’esperienza di essere stato lasciato dalla propria fidanzata, comunicazione particolarmente difficile perché – come ha specificato il detenuto stesso – particolarmente “contro corrente” rispetto alla cultura di appartenenza.

C’è stato un momento significativo in cui una guardia carceraria ha interrotto il gruppo per chiedere se potevamo accogliere un detenuto che in quei giorni era in crisi ed aveva avuto comportamenti autolesionistici. La richiesta ha creato nei conduttori un iniziale disorientamento, che è stato poi superato con una discussione ed un’elaborazione positiva della richiesta da parte del gruppo che non s’è sentito disturbato dal nuovo inserimento e s’è mostrato accogliente.

La prima attivazione proposta all’interno è stata quella di presentarsi con una qualità positiva, per favorire un clima positivo e l’avvio di un percorso orientato alla mentalizzazione di problematiche autentiche, anche penose e conflittuali . E’ stata costantemente sottolineata l’ attenzione al valore straordinario della dignità di ciascun soggetto e delle qualità positive esistenti in ciascun partecipante e nella stessa esperienza del gruppo.

Sono state proposti rudimenti di tecniche di Mindfulness e alcuni giochi psicodrammatici associati all’intelligenza emotiva, come per es. giochi di simulazione di esperienze di ascolto e comunicazione a coppie.

Circa una metà del gruppo è rimasta stabile nel tempo. A questa si sono aggiunti nuovi inserimenti con il passare del tempo. Il gruppo ha suscitato parecchio interesse tra i detenuti che talvolta ne hanno parlato nelle celle: spesso è capitato che diverse persone non inserite nella lista si siano presentate e abbiano chiesto e ottenuto di partecipare al gruppo.

La partecipazione è sempre stata buona, dal punto di vista qualitativo e quantitativo. Significativa l’esperienza dell’ultimo incontro a cui hanno partecipato tredici detenuti per circa due ore allo stretto in uno stanzino angusto su sedie scomode (perché non si riusciva ad aprire la stanza della socialità per un problema di lucchetto) con un livello di lamentela bassissimo e con un impegno di concentrazione notevole sulle consegne del conduttore e sulla comunicazione all’interno del gruppo

Si è cercato d’altra parte di favorire in alcuni passaggi del gruppo un’evoluzione da una modalità “schizoparanoide” di affrontamento dei problemi ad una modalità di “elaborazione depressiva”: un’attivazione particolarmente significativa che ha coinvolto anche il conduttore è stata quella che chiedeva a ciascun partecipante di accennare, ciascuno come se la sentiva, ad un proprio comportamento nobile e ad un proprio comportamento “ignobile”. L’esperienza ha prodotto diversissimi livelli di comunicazione autentica e di chiusura difensiva, ma è stata complessivamente un passaggio maturativo nel gruppo.