LA VENDETTA E LA PERVERSIONE CORRONO IN RETE

LA VENDETTA E LA PERVERSIONE CORRONO IN RETE

Di Mario Cirrito


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La nostra società si evolve verso una dimensione sempre più “tecnologica” e ciò comporta dei cambiamenti in ogni ambito della nostra esistenza. In un mondo che si interfaccia attraverso l’utilizzo del web cambiano anche i legami tra le persone.

Un problema sempre più avvertito riguarda i reati che vengono commessi in rete. L’utilizzo dei socialmedia ha comportato un cambiamento radicale nei legami tra le persone, tanto che ognuno di noi possiede un’“identità virtuale” o di “rete”, che si traduce nella possibilità per le persone di esprimere la propria individualità attraverso i molteplici strumenti di comunicazione del web. È sufficiente inserire un nome in un database per ottenere una quantità impressionante di informazioni, a volte anche strettamente personali.

Nuove realtà però comprendono nuovi bisogni e nuove necessità. Tra i molti reati che vengono perpetrati on-line contro la persona, la diffamazione ha un ruolo sempre più centrale. Tra questi, crescenti risultano le diffamazioni a sfondo sessuale che colpiscono nella stragrande maggioranza dei casi il genere femminile.  I più pericolosi e diffusi sono lo “stupro virtuale” e il revenge porn. Lo stupro virtuale condivide con lo stupro fisico l’atteggiamento dell’aggressore, che vede nella vittima non già un soggetto con pari diritti e pari dignità, quanto un oggetto da poter utilizzare e trattare come meglio si crede, noncurante che quel corpo è abitato da una persona. Nella pratica si assiste alla pubblicazione online di immagini e video che la vittima ha prodotto privatamente, non certo con l’intento di una loro diffusione in rete.  Talvolta, il materiale multimediale è reperito da soggetti terzi che riprendono le inconsapevoli vittime in scene di vita quotidiana, meglio se connotate sessualmente, e le danno in “pasto” alla rete.

Sappiamo che sono diversi i social utilizzati per diffondere i contenuti virtuali, tra tutti Facebook e Telegram. All’interno di questi socialmedia vi sono dei gruppi chiusi, i cui contenuti sono visibili esclusivamente agli iscritti e in cui i partecipanti (che spesso adoperano profili non rintracciabili) possono dare libero sfogo alla loro aggressività e frustrazione attraverso l’“hate speech”, un linguaggio carico di odio.  

Ma cosa spinge un individuo a iscriversi in questi gruppi e quali sono i sentimenti che accomunano i loro membri?

Rabbia, odio, vendetta e frustrazione sono sicuramente i sentimenti più diffusi e che circolano all’interno di questi gruppi. La rabbia  può provenire dal non sentirsi accettati dalla comunità circostante oppure può scaturire dal rifiuto (per es. il rifiuto di un’ex compagna). Il revenge porn, la vendetta virtuale perpetrata attraverso la pubblicazione di materiale personale a sfondo erotico, può diventare così un modo attraverso cui sfogare in modo distruttivo un lutto mai elaborato. Spesso la rabbia è espressa nei confronti del genere femminile percepito come inferiore, meritevole di insulti, minacce, stalking; ma in alcuni casi anche invidiato e percepito come il genere “forte”. La vendetta è quindi la principale motivazione che può spingere a pubblicare materiale in rete come foto rubate, filmati personali a sfondo erotico con cui colpire delle donne, facendole passare per “facili” e farle diventare oggetto di attenzioni morbose  e perversioni. Tra i vari gruppi segreti in voga su Telegram uno dei più conosciuti è “Canile 2.0”. Qui la donna non viene considerato un essere umano bensì un animale, una “cagna”, verso cui ogni tipo di istinto e pulsione è considerato lecito. In un articolo pubblicato su Wired (“Uscite le minorenni”, gennaio 2019) vengono riportati alcuni dei commenti e conversazioni dei membri della chat: “Le femmine sono soltanto carne da fottere e stuprare, da sbattere in rete punto e basta”, nessuna donna è salva da questa logica misogina, infatti le foto rubate e date in “pasto” al branco virtuale spesso hanno come protagoniste le ignare familiari degli utenti stessi: mogli, figlie, sorelle, mamme e nonne. La privacy non è minimamente tutelata e i volti, quando presenti, sono mostrati pubblicamente. C’è chi pubblica foto, nome e numero della propria ex chiedendo esplicitamente di importunarla perché: “Quella stronza deve pagare il torto che mi ha fatto” e in cambio promette di mandare foto di ragazze con cui è in contatto. Qualcun’altro invece commenta: “Oggi a 13 anni sono talmente fregne che gli regalerei la macchina per farmici una pigiatina”.

Gli utenti di questi gruppi sembrano quindi accomunati da una visione svalutante della donna e da sentimenti fortemente connotati da rabbia, odio, rancore, desiderio di  vendetta, dietro ai quali possono intravvedersi solitudine, sofferenza e disistima di sé. Il web diviene così un luogo franco e di conforto, intriso di odio e perversione,  che assume una valenza fortemente consolatoria e che permette agli utenti di sentirsi meno soli e di entrare in relazione con chi condivide il medesimo atteggiamento: “Telegram esiste apposta per fare tutto quello che è illegale e perverso, per dare libertà a tutti i nostri istinti più porcellini… tutto quello che altrove viene censurato qui si fa!”, questo è l’ideologia del gruppo descritta da uno degli utenti. Il genere femminile viene quindi identificato come capro espiatorio della loro sofferenza e nemico comune da “punire e umiliare”.

Possiamo chiederci quali siano i rischi reali circa la possibilità che la violenza virtuale venga poi agita? All’interno di questi gruppi vi sono molti commenti intrisi di una profonda violenza che lasciano presagire al peggio: “Raga avete notato quanto è facile reperire del ghb da usare come droga dello stupro? Se fossi femmina avrei paura di bere dai bicchieri”, scrive uno degli utenti e aggiunge inoltre: “te lo tirano dietro, 200 euro e ti danno i litri, poche gocce ti bastano per fare quel che devi fa” oppure commenta un altro membro: “video magari di qualche stupro. O roba del genere”. Ciò che accomuna i vari commenti è sempre la visione della donna come oggetto sessuale su cui fantasticare fino all’ estremo, giungendo a immaginarne la violenza fisica. Certamente il “mondo virtuale” è un mondo caratterizzato maggiormente dalla produzione fantastica: l’assenza di un corpo in carne e ossa può consentire di esprimersi con maggiore e più rischiosa disinibizione. Ma è senz’altro vero che i dati relativi alle violenze sono in aumento e che non può essere sottovalutato il pericolo che da uno “stupro virtuale” si possa passare a uno stupro vero e proprio.

Il pericolo più grande che le vittime corrono è quello della “gogna mediatica”, di scoprire che la propria intimità e la propria immagine sono state violate irrimediabilmente e per sempre: infatti qualsiasi prodotto venga caricato in rete difficilmente può esserne cancellato. Gli effetti di quello che può essere definito cyberbullismo sono in alcuni casi disastrosi. Sono diversi infatti i casi di cronaca in cui la vittima, ormai esasperata, decide di togliersi la vita. In Italia si ricordano i casi di Tiziana Cantone che nel 2015 a seguito della pubblicazione di un suo video si è suicidata e della quattordicenne Carolina Picchio, anche lei morta suicida dopo la pubblicazione delle molestie sessuali che aveva dovuto subire. Su questi gruppi i video delle due ragazze sono ancora reperibili così come vengono richiesti nuovi video di cronaca su stupri e violenze: “A quando sui nostri canali questo video?” è la domanda di un utente a seguito della notizia di un video sulle violenze subite da una ragazza in discoteca.

Attualmente non esistono ancora in Italia delle leggi specifiche per i reati di “revenge porn” e “stupro virtuale” e ci si appella all’articolo 167 del codice della privacy che prevede la reclusione da uno a sei mesi per chi pubblica foto senza consenso. Nella pratica però il reo rimane quasi sempre impunito ed è per questa ragione che in Italia si sta al momento lavorando ad una bozza di legge per opporsi al fenomeno ad opera dell’associazione Insieme in rete e altri specialisti del settore che hanno raccolto più di 100.000 firme in favore della nuova proposta di legge. L’obiettivo è far sì che il reato venga riconosciuto come condivisione non consensuale di materiale erotico, “la gravità non può essere sminuita in goliardia” spiega una delle attiviste di “Insieme in rete”. La reputazione digitale infatti è ormai quella reale e, come specifica l’avvocato Maraffino: ““I tempi del diritto spesso sono troppo lenti rispetto ai tempi della rete: gli strumenti penali non bastano. È necessario affrontare il tema della responsabilità dei social network”.


Bibliografia e Sitografia

Sul tema della perversione cfr. C. Foti (a cura di), “Psicoterapia dei sex offenders e cura delle emozioni”  e “Recuperare i cattivi. Ma noi siamo veramente buoni?”, Sie edizioni.

www.laringhiera.net/lo-stupro-virtuale-lultima-stupidita-della-rete/

www.bolognatoday.it/cronaca/revenge-porn-condivisioni-porno-disegno-legge.html

espresso.repubblica.it/attualita/2017/03/07/news/stupro-virtuale-parla-la-vittima-del-sito-dell-orrore-1.296705

www.wired.it/internet/web/2019/01/23/telegram-chat-stupro-virtuale-minori-stalking-revenge-porn/i